Xibal, papira oggi che me lo stampo e me lo leggo in viaggio!
In realtà non c'è molto da papirare, raramente mi accade di provare quel senso di completezza e soddisfazione miste a leggero sbalordimento da non trovare le parole o anche solo il motivo per analizzare e spezzettare qualcosa che abbia conseguito una tale alchimia, eppure con The Last of Us è accaduto.
Mi riferisco in particolare all'equilibrio reciproco delle parti, un equilibrio fatto di ritmo soprattutto, i momenti di esplorazione meravigliata si alternano e si confondono con quelli di tesa cautela, per poi esplodere in iniezioni di adrenalina brucianti che catturano pe qualche interminabile secondo prima di rilasciarci di nuovo nella quiete...una vera e propria montagna russa di sensazioni, ma al contrario di Uncharted l'esplorazione di mondi emotivi prima che archeologici ha reso l'esperienza più densa e intensa, quasi un sabbia mobile in cui sono affondato annaspando non per uscirne, ma alla ricerca del suo soffocante fondo.
E quel fondo colpisce duro, perchè se c'è un merito assolutamente enorme di questo titolo, è la capacità di spingere il videogiocatore/spettatore scafato a tentare di anticipare tramite il suo bagaglio di conoscenze pregresse, quale sia l'esito più probabile della vicenda, e gli indizi puntano continuamente in direzioni a noi note e prevedibili, a volte come se quella prevedibilità rappresentasse una rassicurante certezza di fronte allo squasso generato dall'altalena di emozioni e situazioni che ci investe durante il cammino.
Invece è tutto incredibilmente semplice, naturale, e per questo impensabile nella sua quotidiana banalità, e per un attimo lascia paralizzati, a fare i conti con le proprie aspettative non deluse, ma letteralmente schivate con la grazia leggera e pungente di un pugile, a cui non si può non riconoscere di averci atterrati in maniera assolutamente
fair, ma inaspettata e stordente.
Ho particolarmente apprezzato
il fatto che le motivazioni di Joel ed Ellie procedessero su binari assolutamente paralleli, per cui alla fine, come per tutto lo svolgimento della storia, l'esito sia stato deciso da un atto di prepotenza e sopraffazione, abbiamo tutti i nostri motivi per compiere un gesto o fare una scelta, che si tratti di un soldato che spara ad una ragazzina o di una ragazzina che decida di morire sotto i ferri per salvare l'umanità, l'unica differenza sta nel riuscire a realizzarla, e il modo più rapido è farlo con la forza, essere più furbi, più spietati, più decisi, anche se è per amore.
Durante l'incontro con Tommy ho rifiutato la foto di Sarah, volevo dimenticarmi del passato, in modo assurdo poco dopo il gioco mi ricorda con le testuali parole di Joel, quando Ellie gli riconsegna la foto, che "non si può sfuggire dal passato". Era dai tempi del primo MGS su Playstation che un gamedesigner non mi "precedeva" in questo modo. Proprio per questo, se all'inizio avrei preferito e desiderato un finale doppio, ovvero la possibilità di scegliere se condannare l'umanità o Ellie, in seguito ho capito che quello poteva essere l'unico finale possibile, quello in cui non hai scelta, perchè è così che hai vissuto fino a quel momento, confrontandoti con situazioni e persone che non ti davano scelta.
Penso di non essermi ritrovato mai in nessun titolo, mentre giocavo, a parlare tra me e me a voce alta, riflettendo sugli avvenimenti e sui mutamenti del mondo che mi circondava come se fossi Joel, un livello di partecipazione mai raggiunto personalmente, e credo di doverlo non solo allo script, ma al modo in cui si sia sviluppato a video, con personaggi vivi e pulsanti, giammai pupazzi da telecomandare ma veri e propri avatar plausibili di un mondo possibile, e terribilmente suggestivo nella sua malinconica decadenza da un lato, e rinascita dall'altro.
All'inizio ho trovato l'AI molto soddisfacente, i comportamenti non sempre erano totalmente logici e coerenti, ma paradossalmente in ogni situazione ben rappresentavano quell'erraticità dell'agire umano che si verifica quando ci si trovi in situazioni incredibilmente stressanti, come un conflitto a fuoco, e avere a che fare con avversari nascosti che, magari per pura coincidenza, all'udire il rumore del tendersi del mio arco prorompevano in un "Porca puttana!", per poi lanciarsi contro di me con un urlo disperato, riuscendo a disarmarmi e buttarmi a terra, sono eventi che impediscono qualsiasi analisi o vivisezione dei perchè e dei percome di un comportamento, e ti lasciano così, a bocca aperta, a riflettere se ciò a cui hai assistito fosse un normale game over, o un episodio della vita, e come tale a volte strano, incoerente, brutale, inaspettato.
Dopo ogni scontro la sensazione che avevo, giocando a Difficile, era di avercela fatta, magari non per un soffio, magari riuscendo ad attuare una tattica (sono, piano piano col tempo, diventato un fan di arco e frecce, persino la soddisfazione di padroneggiare un'arma dopo i primi tentativi malriusciti era parte della sopravvivenza, e non un dettaglio da criticare come mal implementato nella gestibilità di mire ed altre cazzabubbole da videogiocatore incallito), ma sempre e comunque di essere riuscito in qualcosa di difficile, pericoloso, di assolutamente non certo. Continuamente sul filo del rasoio.
In altri frangenti l'AI ha mostrato il fianco più francamente a critiche e comportamenti anomali passibili di viziare l'esperienza, ma niente che potesse farmi riconsiderare il quadro generale, e soprattutto le emozioni generate da ogni singolo incontro, che per quanto rispondente a precisi criteri e pattern, spesso acquisiva i caratteri della casualità procedurale.
Dal punto di vista tecnico-visivo non ho molto da dire, ancora una volta mi sono sorpreso di come il quadro di insieme mi spingesse a non fare considerazioni puntiformi, ma a godere del risultato finale, con ogni stanza pronta a raccontarti una storia diversa, ogni scorcio a calarti fin dentro i cambiamenti climatici dello spazio-tempo in cui mi trovavo, senza che le piccole idiosincrasie tecniche come qualche texture slavata o uno specchio che non riflette, mi allontanassero dalla profonda concentrazione di un'atmosfera di immagini e suoni che mi rendeva di fatto l'unico soggetto/oggetto che dovesse preoccuparsi di riflettere davvero.
Non saprei cosa aggiungere, le emozioni che mi ha lasciato sono un moto caotico a cui con difficoltà riesco a dare una forma compiuta da buttare giù ordinatamente, e a volte mi scopro a pensare quanto il farlo mi appaia come un atto di violenza a qualcosa che trova la sua forma perfetta proprio nel non averne una ben definita da riconoscere fuori di sè, ma dentro, sfuggente e imprevedibile, quel qualcosa di impalpabile ma presente nell'animo, che all'improvviso si condensa come un sasso nel petto, ti fa agire senza riflettere, e poi dire, senza troppa convinzione, che non avevi scelta...
Gioco del cuore e gioco dell'anno, non sarei in grado di ricominciarlo, non adesso, perchè sta continuando a vivermi dentro, e forse non credo che lo riprenderò mai, ha creato dei ricordi, ha lasciato delle emozioni, non ho rimpianti, il che significa che, per quanto possa sembrare stucchevole, è diventato parte della mia vita e del mio passato, e voglio che resti così, un ricordo da cui non si può sfuggire e che non si potrà ripetere.