[…] A me avevano dato fastidio allora e ricordo bene che anche i muri invisibili di Gran Turismo non furono accolti senza storture di naso. Gran Turismo è del 1998, Shen Mue2 del 2001.
Sì, chiaro, ma in un gioco di guida simulativo o arcade, come
Gran Turismo o
Ridge Racer, schiantarsi su un invisible wall quando si usciva dal tracciato definito dagli sviluppatori provocava un effetto notevole, non solo sull’immersione, ma anche sul gameplay stesso, restituendo l’idea di un enviroment chiuso, coercitivo.
Nel 2000, se in una città virtuale dettagliata, interattiva e ‘viva’, come la Yokosuka di
Shenmue, una strada era chiusa da un invisible wall, l’utente medio pensava semplicemente che in quel momento lì non ci dovevi passare. In fondo era un retaggio del precedente game design da avventura/RPG, che veniva recepito dal giocatore con una certa immediatezza e non deteriorava più di tanto l’esperienza, casomai, in un certo senso, la indirizzava.
Poi, visto che il tuo primo approccio alla serie è stato con
Shenmue 2 per Xbox, capisco benissimo la reazione che hai avuto ai tempi. All’uscita della versione Xbox del gioco (2003) l’utenza era abituata a
Grand Theft Auto III e comunque la sfida degli sviluppatori era quella di creare ambienti sempre più vasti, interattivi e complessi (già Molyneux favoleggiava di
Fable e del poi unreleased
BC). In tal senso, l’invisible wall era dichiaratamente uno dei limiti di design da abbattere e questo di conseguenza influiva sulla fruzione critica dei giocatori.
Quoto svariate cose, ma la parola "sandbox" e "Shenmue" assieme non possono proprio stare.
Non ce n'era di sandbox in Shen-Mue: di fatto il tipo di interazione era quello di un'avventura o di un titolo multi-evento [attivi l'hotspot, poi via di dialogo, di ispezione di un oggetto, di combattimento, QTE e vattelapesca]. Poi sì, c'era la gente che andava in giro e la vecia che se passavi da una certa parte a una tale ora ti chiedeva della nipote, ma quello è scheduling, roba RPG, non sandbox.
In GTA III c'erano N elementi che interagivano tra di loro, dinamicamente, gerando processi causa-effetto, azione in real time.[...]
Hai ragionissima
Sefanush, però c’è un piccolo misunderstanding. Tu ti riferisci a ‘sandbox’ dal punto di vista informatico, di codice del gioco e suoi algoritmi. Io intendevo l’accezione che assume termine nell’ambito del design concettuale, ovvero quella d’insieme di possibilità offerte all’utente d’interagire piuttosto liberamente con l’ambiente virtuale e di ‘giocare’ con esso in qualsiasi momento, deviando ad libitum dagli obiettivi principali/scriptati del gioco. In tal senso, l’esempio che avevo riportato della sala giochi di Yokosuka, con i cabinati arcade da fruire, rientra appieno in quest’accezione di sandbox.
Comunque, ho scritto ‘anticipa i concetti di…’ e non ‘introduce’, ché son pienamente d’accordo con te sul fatto che
Shenmue fosse ancorato a stilemi RPG e adventure ancien règime e che il sandbox vero e proprio viene sdoganato da
Grand Theft Auto III .
[…]Ma è indubbiamente un titolo molto affascinante, ipercuratissimo fin nei minimi dettagli (perlomeno per lo standard di quei tempi) e all'epoca grazie anche ad esigenze personali diverse mi conquistò, mi piacque molto. Oggi un franchise nuovo del medesimo genere di Shenmue lo inizierei cor cazzo (ho mollato pure GTA da un bel pezzo), ma Shenmue III è tutto un altro paio di maniche e francamente spero che prima o poi possa uscire.
Concordo su tutto, erano altri tempi anche per me. Avevo più tempo libero e c’era l’effetto novità, oggi un nuovo brand à la
Shenmue non mi sognerei mai di comprarlo e, sì, nella remota possibilità uscisse il terzo episodio della saga di Suzuki, lo giocherei solo per una questione affettiva e per vedere come va a finire.
Shenmue è sicuramente un titolo innovativo e importante, ma non lo definirei ‘riuscito’. Anch’io, come
Wis, lo trovai a tratti snervante già ai tempi (e l’ho pure scritto due post fa), però la struttura all’epoca piuttosto rivoluzionaria, la cura nei dettagli e la grande atmosfera riuscirono a catturarmi.