Dopo aver vinto una guerra sparando probabilmente più "ca%&i" che proiettili (parlo del protagonista, ovviamente, perché io sono un gentiluomo e non sparo nessuno dei due), ho finito Bulletstorm, un gioco di risolvere le situazioni a colpi di calci in culo. Come nel Ventennio, per dire, con la differenza che questo è un videogioco, quell'altro lasciamo perdere.
Bulletstorm ha un pregio: scivola via con una leggerezza che non ti aspetti. Puoi giocarlo come uno sparamuretto qualsiasi, ovvio, ma rende al meglio quando si lascia l'istinto poetico-marziale libero di esprimersi. Tira un nemico con il cappio, calcialo contro un altro, poi scivola sugli zebedei di un terzo mentre spari a una palla esplosiva che ne uccide un quarto e un quinto. Consulta l'elenco dei colpi abilità, equipaggia l'arma giusta e predisponiti in modo da completarne uno specifico.
Ed è questo che può riuscire a convincere anche chi, come me, è orientato agli sparacchini-WWII, quelli da trincea, in cui muoversi passo passo e caricare il singolo proiettile per tentare il colpo alla testa del nazista. Bulletstorm è una questione di pollici, ma anche di osservazione dell'ambiente (40%), di pianificazione (20%) e di improvvisazione (40%). È veloce, ma non schizofrenico. È concitato, ma raramente confusionario. Nella sua velocità d’azione, insomma, ti concede sempre i tuoi tempi.
Sulla stessa falsariga si muove anche tutta la narrazione. Come noto, Bulletstorm ha una cifra stilistica così greve che Army of Two, al confronto, è Il Piccolo Principe di Saint-Exupéry. Eppure, è quasi impossibile sentirsi “offesi” da tanta trivialità. Nonostante si tratti di un Gears of War ancora più ignorante, infatti, qui nessuno si prende sul serio. E allora ben vengano personaggi iperdopati, situazioni paradossali e scambi di battute ricolmi di parolacce. Cosa ce ne frega? In un certo senso, è proprio la dinamica di gioco che giustifica il suo approccio narrativo.
Cosa avrei voluto di più? Beh, se si accetta il suo genere, accusarlo di essere a volte ripetitivo o geneticamente ignorante non ha senso. Peraltro il gioco offre una discreta varietà di situazioni, cosa vuoi dirgli? Forse avrei lavorato di più su qualche fase scriptata, magari accompagnata da tiri abilità speciali, come accade più spesso negli ultimi due atti. Al limite, avrei limato qualche tiro abilità troppo intricato, che rischia di lasciare in ambasce i più. Ma oltre questo, poco altro. In sostanza...
Bulletstorm è un gioco che ridefinisce un genere. Nella sua apparente prosaicità, è uno sparatutto con una propria poetica dell'uccisione. Un'insospettabile penna per scrivere il proprio endecasillabo della sparatoria. Poi ognuno può interpretarlo come vuole, ma se si accetta la sua sfida (non molto impegnativa, peraltro, ma secondo me è un vantaggio) si apre un piccolo mondo di affascinante sofferenza. Altrui, ovviamente.
Mio voto (considerando che è stato pubblicato nel 2011): 8