Nonostante la demo mi avesse lasciato piuttosto perplesso, un gioco capace di provocare entusiasmo nel trittico composto da
Cryu,
Teo e
Maxx doveva avere quantomeno dell’ottimo potenziale. In effetti, dopo aver goduto duro per tre run di fila ed essermi spolpato a dovere tutte le missioni Echo, debbo dire che
Bulletstorm è una spugna immersa nel gameplay puro e servita, ancora gocciolante, al giocatore.
Non è azzardato affermare che il gioco scompone e rielabora il codice ludo-genetico stesso del first person shooter, creando qualcosa d’innovativo, frizzante, coinvolgente, capace di svecchiare il genere, trovandone un’inedita declinazione, in grado si regalare un gameplay che lascia ampi spazi di manovra alla creatività, senza doversi appoggiare ansimante al salvagente del multiplayer (cooperativo o competitivo che sia). Con l’esperienza ancora impressa sulla retina e nei polpastrelli, lo strillone che campeggia sulla cover della Epic Edition e che lusinga l’acquirente con la promessa un posto in prima fila per la beta di
Gears of War 3 pare quasi una battuta di cattivo gusto. Questo perché è tanta è la goduriosa sazietà di aver fruito di uno shooter veramente NUOVO, che le strutture ludiche precedenti, per quanto possano venire parzialmente evolute, ti sembrano inevitabilmente vecchie e polverose.
Non mi era mai capitato di ricaricare un checkpoint solo perché insoddisfatto di come stavano andando le cose su schermo (e mi riferisco a cose come l’aver accidentalmente rotto una bottiglia di rhum, che doveva essere bevuta al momento giusto per moltiplicare all’inverosimile il bonus prodotto da una mattanza di massa, oppure l’aver semplicemente massacrato un paio di nemici in maniera poco pirotecnica). Queste manie si addicono più a titoli come
Ikaruga e mai, per me, sono state pulsioni da FPS, eppure
Bulletstorm riesce a evocarle, stando sempre lì, col fiato sul collo, pronto a punirti con un gameplay mediocre se giochi in modo mediocre, ma sei uno cazzuto, lui ti regala un gameplay stracazzuto.
E dopo questa sfacciata dichiarazione d’amore, mi rimetto giacca, cravatta e spargo un po’ di veleno, perché non è che il titolo dei People Can Fly mi abbia sollazzato esattamente a trecentossanta gradi. ‘Gameplay wise’ nulla da ridire(*), ma, a livello di design e approccio stilistico generale, il gioco non mi ha esaltato, ma proprio per niente. Sui protagonisti rimango dell’opinione iniziale: anonimi, piatti, sciatti. Un clone di Hugh Jackman in versione Wolverine (Grayson), uno yakuza in formato cyber-catorcio fastidioso a vedersi per quanto risulta privo di qualsiasi coerenza estetica (Ishii) e, peggio di tutti, un modello 3D qualunque, che pare preso di peso da
Renderosity e vestito in canotta e pantaloni mimetici (Trishka).
Però, mi son detto, magari questi tre sfigati potrebbero assumere colore attraverso dei dialoghi sopra le righe. E invece no, dato che la maggior parte delle battute scandalizzerebbero a malapena un'orsolina, mentre le uscite più brillanti non valgono un “it’s time to kick ass and chew bubble gum” pronunciato dal dal Duca. Da un gioco del genere pretendo un ‘mood’ oltremodo grezzo e creativamente maleducato, con battute intinte nel cattivo gusto come il pollo fritto nella salsa piccante. E invece sembra di ascoltare i dialoghi presi dalla sceneggiatura di un
Pierino nel Pianeta Maledetto (feat. Alvaro Vitali).
La medesima sensazione di cafonata depotenziata viene trasmessa dall’estetica e dalla sceneggiatura. Di momenti veramente \M/ ce ne sono pochi
(a voler essere stronzi, principalmente uno: il godzillone telecomandato)
, il resto è can che abbaia ma non morde le chiappe dell’utente. E da qui si va a ponte sulla questione creature ed enviroment design.
Più che a Bisley e alla scuola
Heavy Metal, mi pare che i grafici si siano rifatti al fumetto inglese in stile
2000 AD di fine anni Ottanta e primi anni Novanta, come
Judge Dredd,
Marshall Law o
ABC Warriors, con l’aggiunta di un’ombra di
Lobo nella cattiveria ‘skratzata’. Il punto è che, al di là delle fantasiose e strampalate esecuzioni dei nemici,
Bulletstorm non offre quell’ironia esagerata, grassa e a grana grossa dei suoi modelli ispiratori. Per dire, spedisci mutanti in aria a cento metri d’altezza, li scheletrizzi con una fiammata, li finisci dando fuoco a un loro peto… e a contorno di tutto ciò c’è una ‘normalità’ disarmante. Da Grey e soci mi sarei aspettato che avessero ‘aperto il culo al pianeta’, creando un bel cratere con un’esplosione gigatonica, in cui infilare l’Ulysses (con tanto di Sarrano dentro) come fosse un suppostone, poi tutti di corsa a ubriacarsi, tra rutti e commenti pesanti sulle tette di Trish. Invece non c’è nulla di ché (e stendo un velo pietoso sul finale, indifendibile, dài… sono arrivati a citare involontariamente anche i Nomadi e Guccini
). Non c’è delirio sfrenato, niente fuochi d’artificio, né bad taste schietto e compiaciuto.
Insomma, dal punto di vista stilistico,
Bulletstorm mi pare un bulletto di sei anni che ti vuol impressionare provando a fare la voce grossa, avrebbero dovuto adattare il titolo italiano in Bullettostorm, cazzo. In tal senso, mi auguro che la lacuna di grettezza videoludica venga colmata a breve dal ritorno Duca e spero che affidino la sceneggiatura e il design di un eventuale seguito di
Bulletstorm a gente come Pat Mills e Kevin O’Neill, rispettivamente, allora sì che avremmo tra le mani un titolo cazzuto tout court.
(*) tranne che per il livello Molto Difficile, il quale spinge verso un approccio prudente e ripetitivo, che mal si sposa con il concept stesso di
Bulletstorm. È la run che mi sono goduto meno, trovandomi spesso invitato ad ‘aggirare l’ostacolo’, puntando sulle esecuzioni ambientali o sulle combo veloci, a colpo sicuro e redditizie (come la classica “siluro-azione a pompa-topless-colabrodo”). Avrei preferito avversari molto resistenti, che virtualmente si potessero eliminare solo con esecuzioni potenti, a fronte dei quali ci fosse una soglia di resistenza del personaggio un po’ più alta, per potermi esporre maggiormente e variare al massimo l’azione.