CHE – L'argentino di Steven Soderbergh
Cosa rappresenta Che Guevara oggi?
Per molti, troppi, è una faccia stampata sulle agende, sulle magliette o sulle bandiere impugnate da brufolosi diciottenni che, invece di sperimentare il sapore della terra da arare o il duro lavoro nelle miniere, poltriscono durante le assemblee autogestite in qualche liceo o università statale pagate dai genitori benestanti. Un ritratto ben girato del Che quindi, poteva essere considerata un'ottima cosa: si tratta di un personaggio carismatico, importante, mitico ma da troppi anni banalizzato e reso dalla storia quasi anacronistico.
I dubbi , sorti nelle menti dei più, alla notizia che Steven Soderbergh , regista capace ma freddo, stava lavorando su un bio-pic di Ernesto Guevara, erano stati inizialmente mitigati dalla scelta di Benicio del Toro come protagonista e le prime foto dell'attore nei panni del Che lasciavano aperte le porte all'ottimismo.
Quelle porte, purtroppo, devono oggi essere chiuse a doppia mandata, perchè se non proprio un fallimento completo, di certo Che - l'argentino è un film molto deludente.
Soderbergh ,che sta al pathos e al dramma come Batista ai diritti umani, firma una pellicola anonima, priva della benché minima capacità di emozionare, algida, asettica e in una parola deludente. Il ritmo del film è blando. La prima parte, ambientata nella giungla è noiosa e priva di spunti interessanti: sembra che Soderbergh non abbia il minimo interesse per le persone e gli ideali ma solo una certa fretta di accatastare quanti più eventi possibili. Si ragiona per quantità e mai per qualità, si susseguono nomi di villaggi, di persone, volti, armi, sigari e bottiglie di rum ma questi vengono portati sullo schermo con la stessa passione che potrebbe avere un impiegato statale intento ad archiviare pratiche di scarsa importanza. In quest'ottica, il fatto che il film sia diviso in due parti (per carità, adesso non diffondiamo ANCHE questa barbara pratica mascherandola sotto inesistenti pretese autoriali) è del tutto incomprensibile, visto che le due ore e un quarto di questo primo “episodio”, avrebbe potuto benissimo essere condensate in un'ora scarsa di narrazione.
Soderbergh fa un film per coloro (pochi) che sanno già tutto della questione cubana e non mette mai lo spettatore in condizione di capire il complesso background politico e sociale che fa da sfondo alle vicende narrate. Il rapporto tra il Che e Fidel Castro è appena accennato, la descrizione del regime di Batista completamente assente, i rapporti tra il governo americano e quello del Dittatore mai messi alla berlina o oggetto di approfondimento. Lo stesso personaggio principale viene spesso abbandonato a sé stesso: chi è, da dove viene, perchè lo fa? Quesiti che restano senza risposta. L'unico appiglio è rappresentato dalle frasi dei discorsi del Che, dalle sue riflessioni che vengono disseminate qua e là per il film senza una ratio che permetta peraltro di capirne bene il senso e la portata. In uno scenario globalmente molto deludente, spicca Benicio del Toro , anch'esso un po' trattenuto, ma aiutato da una somiglianza impressionante con l'iconografia classica del Che (e anche Demian Bichir nei panni di Castro non scherza). Che - L'argentino insomma, parte con il piede sbagliato e affida le sue (scarse) possibilità di riscatto alla seconda parte, prevista tra un mese e dedicata alle avventure africane del Che e alla sua scomparsa in Bolivia.
La sgradevole sensazione che si sia buttata alle ortiche un'ottima occasione per scrivere un pagina di grande cinema però, c'è tutta.
In sala da venerdì 10 aprile