Bene, sto leggendo i commenti e devo dire che un certo moto di contentezza mi pervade.
Per me Demon’s Soul è esperienza dello scorso anno, un’atmosfera tutt’altro che sorprendente in virtù della familiarità che ho con l’esperienze e i meccanismi che caratterizzano i giochi di ruolo di From Software.
DS sposta l’attenzione sulla difficoltà del costrutto di gioco in luogo della radicalizzazione della difficoltà di gioco. Il cancro del videogioco moderno è la semplificazione della problematicità videoludica, intendendo con questo termine ostico l’incontro tra bravura arcade, discrezionalità strategica.
Aumentare il livello di difficoltà di un gioco come, per dire, Uncharted 2 non qualifica la stessa esperienza come intrinsecamente più difficile, in quanto la stessa, nel caso specifico, è caratterizzata da una levità di fondo che non viene complessificata dall’aumento di parametri oggettivi quali danni dei nemici, energia del giocatore diminuita e numero di nemici. Il gioco rimane elementare nell’offerta e nell’interpretazione dei suoi canoni costitutivi. E’ l’inganno supremo a cui deve far fronte il giocatore navigato di fronte all’errata mozione che vuole il livello di difficoltà quale panacea dalla casualizzazione imperante. Nulla di più falso.
DS è un ottimo esempio di videogioco coerente con quelli che sono i tratti distintivi del videogiocare. Non aiuta il giocatore, il gioco, in quanto tale, prevede un fallimento, che occorre quanto e più si ignorano le regole potenzialmente poste. Il gioco, che per sua costituzione non è ascrivibile al novero di passatempo, prevede una senso di potenza e soddisfazione laddove si riescano a visualizzare le problematiche insite in un gioco che si dà e non si deve dare. Per fallimento non s’intende il danno calcolato del checkpoint scattato 15 secondi prima dell’avvenuta morte, poco male per chi ha poco tempo e deve divertirsi. In DS quando non si raggiunge l’obbiettivo si viene cancellati, sia come oggetto che come soggetto. La responsabilizzazione di scelte, gesti ed esecuzione restituisce al concetto di “quest” il suo vero significato, sinistro e senza appello, di munere sine missione. Per questo siamo videogiocatori, altrimenti cosa ci distingue dal bamboccio impenitente che restarta ad ogni innocente morte?
Altrimenti, provocatoriamente, ci sono decine e decine di modi migliori di passare il tempo, il videogioco per costituzione rimane un hobby vuoto, assai inferiore alla cultura che può trasmettere la lettura di un libro o l’imparare a suonare uno strumento.
La differenza è notevole. L’errore interpretativo e decisionale è alla base del fascino di DS. Il tutorial ad oltranza, vero male del videogioco moderno, prova a supplire l’esigenza di pensiero laterale che utilizza l’errore in quanto orizzonte fecondo del videogiocare. Non ho trovato molto ostico DS e questo non per grazia ricevuta o per una superiore abilità insita nel mio modo giocare. Non ho trovato difficile DS perché esso si avvale delle proprietà ermeneutiche e cognitive del giocatore che devono essere poste quale causa del videogiocare e quindi, attivamente, prerequisiti di un fine che trova nel soddisfacimento di talune richieste il suo gustosissimo esito. Duro, ma corretto. Ostico ma leggibile nella sua grammatica. Utilizzare interamente la propria massa cerebrale non significa “difficile”, significa che il pensiero umano è fatto per risolvere problemi, altrimenti si muore. E siamo morti tantissime volte con il videogioco moderno, che non richiede null’altro che la nostra presenza di fronte allo schermo.
Compreso il controsenso? Il gioco che più di ogni qualifica la sua appartenenza viene accettato dal popolo del videogioco come un messia della ritrovata difficoltà e per far ciò ci si affida ad una software house, From Software, che in silenzio, con Capcom in sciopero, ha perseguito la sua visione anacronistica di videogioco. Pensiamo ad Armored Core, a King’s Field e a questo Demon’s Soul. Giochi poco rifiniti rispetto alle superne simmetrie e politezze del videogioco mainstream, con comandi poco agevoli, interfacce a volte astruse, richieste al limite della demenza e difficoltà senza appello. Ma chi oggi, può fregiarsi di continuità della gloriosa tradizione nipponica se non From, appunto? Oggi DS si erge a paradigma dell’indipendenza del videogioco dai nefasti esiti commerciali della serializzazione e della semplificazione. Forse, dieci anni fa, sarebbe solo stato l’ennesimo gioco di ruolo di seconda fascia realizzato più o meno bene, ad appannaggio dei fanatici dell’import. Oggi, rischia di essere l’esperienza migliore della sua epoca. Anestetizzati da un triennio di titoli validi e scintillanti, il gioco della From Software, assieme a Super Mario Galaxy 2, si propone quale manifesto del modo giusto di giocare (sì, esiste un modo giusto, al di là del rispetto altrui e del politicamente corretto) perché utilizza tutti gli strumenti validi di questo contesto.
Non bisogna giocarci perché è bellissimo, bisogna giocarci per capire che gli altri, tutto sommato, così belli non sono…