Assassin’s Creed è lo spazio di gioco, sul serio. Anzi, scusate il gioco dello spazio, senza che andare oltre l’atmosfera terrestre. Non esiste altro luogo inesistente (o realmente non esistente in quanto feticcio di una dimensione perduta e smarrita) dove la presenza illusoria del giocatore rappresenta il cardine fondamentale dell’azione. Un luogo dove, anzitutto, “stare”. Non vivere o interagire, non lo consente il genere, lo scopo di AC è quello di solleticare le superne sfere estetiche del giocatore, attraverso il riconoscimento di un background, più o meno pervenuto. SotC si occupava di definire un contesto religioso attraverso la sua forma mitica e biblica, AC1 si preoccupava di far pervenire al giocatore uno spaccato di convivenza fra le 3 più grandi religione monoteiste del pianeta, in cui il nome di Dio viene declinato e forzato in tutte le maniere concepibili. AC2 tutto sommato, rinascimento a parte, rientra in un contesto storico medievalisticamente inteso. La vera differenza con l’ambientazione del primo in realtà consiste nella latitudine, nel contesto mediorientale.
AC1 è visivamente basato su “Le Crociate” di Ridley Scott. Pur mantenendo forti richiami estetici a questa pellicola, c’è da dire che le atmosfere dei libri di Dan Brown fondano concettualmente questo AC2. Le atmosfere soffuse, talvolta oscure come nel caso di Acri, talaltra imbevute di sole sbiadito come nel caso di Damasco del primo AC hanno lasciato spazio a un’atmosfera apparentemente più lieve ma corrotta dallo specchio deformato di una realtà distorta, intuita ma non dimostrata.
Coreograficamente e visivamente il gioco non lascia scampo, alla faccia di coloro che credono che la creatività prescinda dal calcolo computazionale. Praticamente si tratta di un generatore continuo di emozioni, di scorci, di visioni. Non è difficile abbandonarsi alla visione del dolce declivio del borgo di San Gimignano, seguire con lo sguardo il riflesso argenteo di ulivi e cipressi al sole adamantino, contemplare con viva curiosità un vicolo perduto fra polverose ed antiche contrade, scrutare il passaggio dei nembi dalle colonne del teatro romano che si trova nella campagna toscana. Signori, qui ci troviamo di fronte ad una rappresentazione non comune, ed a prescindere dalle deficienze del titolo, bisogna registrare un nuovo passo in avanti nell’edificazione di quei mondi ludici che generazione dopo generazione rinnovano lo stupore. Ma non paghi della direzione artistica, sono proprio i freddi numeri a testimoniare quello che senza timore di smentita può essere definito, in accordo con tutti i suoi aspetti, la dimostrazione più limpida e cristallina di superiorità tecnica. Dai campanili di Firenze, la distesa infinita di case si spinge oltre i limiti dell’umana visione, senza che il quadro generale venga corrotto eccessivamente da tearing o cali di frame rate (Xbox 360), o almeno nulla che non possa essere sopportato visto il sontuoso spettacolo offerto. Per i maniaci del particolare architettonico quale sono, non posso fare a meno di sottolineare l’immane lavoro di diversificazione estetica a cui sono state sottoposte città maggiori e minori.
Si, dài, occorre ribadirlo: dopo 2 capitoli della saga risulta chiaro che la serie di AC propone un’istanza meramente ambientale subordinando ogni altro aspetto relativo al videogioco. Non lo mostrerei al cosiddetto alieno sbarcato sulla Terra e desideroso di capire cosa sia un videogioco. Neppure lo porterei sulla famosa isola deserta per rimirarlo fino alla nausea. Rimane una singolarità più o meno compresa da quel popolo di videogiocatori che da una parte lo attacca e dall’altra ne compra milioni di copie quasi fosse un titolo di Mario alla vecchia maniera. Un cristallino esempio di “non-gioco”, colmato, nel caso di AC2 da ulteriori elementi di “non-gameplay” che creano un “non” a cui, francamente non so dare risposta.
Lasciato al suo scheletro concettuale, a cui segue un pragmatismo ludico, Assassin’s Creed non ce la può fare, oggi come ieri. Non si combatte così, no, nemici narcolettici alle prese con il gioco delle parti, ossia colpire uno per volta. Altro che assassino, il giocatore è uno sterminatore senza opposizione apparente, purtroppo Ubisoft non si riesce a liberare delle incertezze di Prince of Persia, anche un quel caso il combattimento è deputato a questioni “altre”, per cui lamentarsi ha poco senso. Più che altro, Barman Arkham Asylum ha dimostrato che in un contesto esplorativo e variegato nell’offerta ci si può permettere il lusso di un combat system che non sia meramente coreografico, non sia tristemente funzionale, addizionando quel qualcosa in più dei grandi titoli.
E’ vero, il suo stealth è diurno, si fonda sul numero invece che sulla sostanza, rimane la luce a nascondere le gesta di Ezio. Il problema è l’impunibilità a causa dell’errore. Laddove non sia prevista la benedetta disincronizzazione coatta, la missione tipo di AC2 può svolgersi, procedere e terminare con una corsa rocambolesca verso l’obbiettivo. La cosa peggiore che può capitare è una lotta impari (di numero, a discapito del giocatore ma di qualità a discapito della CPU) che vede la lama quale strumento pacificatore senza “se” e senza “ma”. Oppure, per i più romantici, si può fuggire per l’area di gioco balzellon balzelloni cercando un covone, un gazebo, due vecchi sulla panchina, con l’unica incombenza quella di strappare qualche manifesto o corrompere qualche funzionario.
E no, non funziona. Chi se ne frega della lama avvelenata, dello spadone gallico, della spada longobarda, dello stiletto, della lancia dei pugnali, delle bombe fumogene e di tutto il resto se in realtà non esiste una regia adatta, un progetto ludico granitico? Sotto quest’ottica mi ricorda le minchiate di Hideo Kojima, uno che ti infarcisce il gioco di ottomila gadget per fare prove, esperimenti, frizzi e lazzi ma che in realtà è incapace di fornire un gameplay forte e coeso nelle sue parti. Inoltre, si è provveduto a creare un sistema di ampliamento delle proprie risorse finanziare che risulta ingiustificato alla luce dello scopo. Svilluppare la villa per ottenere denaro? Ma a cosa serve il denaro? Per comprare armi di cui non necessito? Per acquisire armature che non hanno altri effetti se non quello coreografico? Seminare il mondo di tesori per ottenere nuovi fondi per comprare oggetti collezionabili ma non effettivi dal punto di vista ludico? Relegare le tombe dell’assassino con le fasi piacevolmente platform all’ottenimento di un nuovo oggetto da collezione che non fa altro che essere una nuova armatura che mi rende ancora più invulnerabile?
Occhio, non dico che non possa essere divertente raccattare l’effimero (io mi ci sono divertito), ne contesto il valore ludico, dichiarando che la natura di AC2 non si discosta troppo da quella del suo predecessore ma la conta delle attività collaterali colma quel “nulla” con un “qualcosa” che non è, ancora, propriamente gioco. AC deve ancora dimostrare tutto, ludicamente.
Una realtà a cui detrattori della prima ora e sostenitori dell’ultima devono guardare in faccia considerando serenamente il tutto per non cannare il giudizio su questo gioco.
Si diceva, non si combatte in Assassin’s Creed 2, più che altro si tratta di una messa in scena allo scopo di esaltare le caratteristiche degli assassini. Hai voglia a metterci dentro guardie corazzate, gente che si chiama, la paccottiglia di armi diverse e in più quattromilacinquecento colpi da poter incassare. Oggi (e forse anche più di AC1) risulta veramente impossibile rendere l’anima nell’Italia del quindicesimo secolo, la contromossa rimane la via più appetitosa per inanellare una serie di all perfect senza patemi ma anche l’ignoranza fatta button smashing paga non poco, il tutto con la lama retrattile. Calcolando il know how di Ubisoft con Prince of Persia, ho paura che l’”how”non rientri propriamente nelle competenze dei programmatori. Sarebbe il caso di prendersi una mesta in qualche chalet di montagna portandosi dietro Ninja Gaiden 2, Devil may cry 4 e God Hand. Qualsiasi capolavoro dell’ingegno umano verte sulla comprensione dell’altrui lavoro e sull’emulazione. Per poi, eventualmente apporre il proprio sigillo.
Veniamo alle città:
Firenze: Dov’è il battistero?!! Vabbè, il luogo migliore del gioco a mio avviso, per qualità della resa visiva, vitalità dell’ambiente di non-gioco e fedeltà nella riproduzione dei monumenti. Il color ocra dominante conferisce una connotazione prettamente toscana e l’Arno rappresenta quell’interruzione dell’omogeneità che da sempre è un’esigenza della percezione estetica. Il Duomo rulla sovrano, vi sono ottimi momenti di schermaglie cittadine nel corso della disputa Pazzi- De Medici, il problema si pone nel momento in cui la gran parte delle vicende che la riguardano è inquadrata in un tutorial estenuante, seguito da altre parti meramente accessorie. Non so, ho avuto la sensazione di farci poco, in termini di pura qualità delle missioni, avrei preferito un maggiore coinvolgimento e palleggio tra le due grandi città del gioco, per lungo tempo, piume a parte, Firenze scompare dai pensieri del giocatore.
Monteriggioni e Villa: immerse nelle tenebre più fitte e solo alla fine deliziate da un pallido sole invernale, la location interattiva inganna con le sue promesse di edificabilità. In realtà, a parte la piacevole quest delle statuette, il borghetto perde presto di senso e appare alquanto posticcia nella sua forma a losanga tronfia e nella limitatezza dell’offerta. Carina l’idea della ristrutturazione che apre nuove zone, ma nel giro di un’ora il luogo perde ogni interesse. Dopo qualche ora, tornarci per il recupero crediti è un po’ lezioso (leggi: una frantumazione totale delle palle), forse nelle intenzioni di Ubisoft doveva trattarsi di un hub confortante e affascinante. Ormai sono ore che non ci torno, mia sorella si sarà messa con l’architetto, alla faccia di zio Mario. (Aritanghetè!!!).
San Gimignano: uno dei mie luoghi preferiti, per via della struttura digradante della città, invero un po’ sottoutilizzata nel corso del gioco. Tutti questi campanili e torrioni di pietra grezza creano un panorama molto frastagliato e movimentato, mitigato dall’orizzonte della campagna toscana. E’ efficace (come Forlì del resto) per via di un buon equilibrio fra dentro e fuori le mura, una zona rurale contrapposta ad un nucleo abitativo. Molto piacevole da attraversare via tetti a causa della vicinanza delle strutture e quelle poche piazzette ricavate tra 4 vie che si incrociano.
Campagna toscana: Ottima come contorno di S. Gimignano, triste se presa da sola. Molte delle magagne tecniche vengono fuori in questi spiazzi vessati dall’aggiornamento texturale e il frame rate soffre immeritatamente. Rispetto alla Terra Santa di AC1 è un po’ triste, però devo ammettere che il teatro romano appena fuori dalla porta sud di San Gimignano ha il suo perché, l’avrei sfruttato un po’ meglio, qualche tardivo scontro tra gladiatori toscani. Pure fantasie onanistiche.
L’Appennino: vabbè, è una zona di raccordo, bene per la carrozza, però attraversata in chiave piume o tesori, sa un po’ di Crash Bandicoot. Ma un bel boscone labirintico con guardie e di sincronizzazione a vista? No eh?
Forlì: ottima città fluviale, con tanto di zone allagate, l’atmosfera è più medievale qui, con tanto di miseria palustre. Purtroppo c’è poco da fare ( a parte una degna trombata in mezzo all’acqua fetida e in mezzo alla gente…), la trama non prevede molte distrazioni, il nucleo abitativo è più fatiscente e il perimetro delle mura con tanto di rocca tipo Maschio che danno tanta personalità e dignità. Molto bello il faro sul fiume e in generale è resa benissimo l’idea di città di frontiera, di luogo di passaggio, di approccio all’assassinio. Come nel caso di Monteriggioni, una luce atlantidea e nubi della Creazione infestano l’aere inquieto…
Venezia: non l’ho molto amata e le ho preferito Firenze. Prima di tutto per motivi legati alla deambulazione, prima o poi le sgroppate si sono concluse con una caduta dei canali con faticoso recupero della terraferma. Campanili e torri in chiave Ikea, com’è possibile che siano tutte uguali? Menzione d’onore per l’interno di San Marco, il posto più texturizzato del gioco e un’atmosfera sacrale niente male. In realtà, Venezia è visualizzata in modo un po’ antesignano rispetto alla realtà del periodo, decisamente più povera. Le qualità dell’ambientazione veneziana pervengono in materia di varietà delle missioni e complicazioni in merito, tra palazzi da violare, macchine volanti da padroneggiare e carnevali da sfruttare. Ottima, comunque, soprattutto il tempio romano sepolto.
Roma: Ok, non puoi ambientare un qualsivoglia gioco in Italia senza passare da Roma. Però sul serio, qual è il senso?
Qualche nota:
1) Ho detto dei bambini scomparsi? Ah, si…
2) Un plauso alla mamma di Ezio, una donna colpita dalla disgrazia che per 40 ore di gioco è rimasta INGINOCCHIATA IN CAMERA SUA PREGARE, con tanto di problemi di minzione, defecazione, idratazione e tutto il resto…
3) Sequenze 12 e 13…DLC?
4) AC3? Rivoluzione Francese, lumi della ragione. Ecco, l’ho detto…
Quindi? Semplice, come prima, meglio di prima. AC è l’alfiere dell’esperienza sul gameplay, un non-gioco capace di rifulgere di decadente luce propria in un contesto di fatiscente offerta.
Io ne sono sedotto oltremisura e mi sento di chiudere come ho fatto un paio di anni fa:
“Il mondo è illusione, tutto è lecito” anche considerare AC2 un capolavoro soggettivo!!!