
Sull'ultima nota: sarebbe un po' come ridimensionare il giudizio su un buon libro perché una volta arrivati all'ultima pagina non stimola la voglia di rileggerlo da capo.
Il voto alla rigiocabilità ha il suo pieno senso per i giochi
giocattoli.
Una narrazione interattiva ha piuttosto un inizio, uno svolgimento e una fine. Necessario e sufficiente.
Certo, c'è chi ha la brillantezza e l'intelligenza di giocare con il medium e mescolare le carte (vedi i segreti di Inside o il peculiare New Game di Oxenfree, per dirne due), ma sono aggiunte non richieste.
Prendi Journey, per esempio: la sua forza emotiva si esprime tutta nella prima incosapevole cavalcata (e solo se condivisa: già perde se fatto da soli, come testimoniano i molti giudizi tiepidi di chi ha deciso di affrontarlo così).
Rigiocato con consapevolezza, è ben poca cosa. Anche cercare i pochi segreti, puntando scentemente ad "evolvere" il personaggio, rischia di lasciare con un sapore amaro in bocca.
Questo però non toglie una briciola al capolavoro che è. Ci mette piuttosto di fronte alle nostre aspettative errate.
Io son passato dalle lacrime agli occhi della prima volta a una nera delusione della seconda. Ma ho dovuto mettere da parte il fastidio e biasimare solo me stesso. La mia bulimia, il desiderio di continuare a riempirmi la pancia con un cibo così delicato, che va piuttosto assaporato con parsimonia.