SPIDERMAN 3 di Sam Raimi
Da grandi poteri derivano grandi responsabilità.
Questo storico assunto, vera e propria dichiarazione d’intenti e di identità della saga di Spiderman, assume un valore particolare, una volta terminata la visione ed i titoli di coda.
La sensazione dominante è quella di aver assistito ad uno spettacolo di eccezionale qualità visiva, ma del tutto incompiuto, confuso e, cosa più grave, senz’anima. Era il rischio più grande e Sam Raimi è caduto nella trappola. Forse schiacciato dalla responsabilità di dover portare salva in porto un’ingombrante nave da 250 milioni di dollari, il regista di Darkman affastella situazioni e personaggi, preoccupandosi troppo di piacere a tutti i costi e perdendo di vista l’equilibrio tra ironia, dramma, azione e riflessione, che aveva contraddistinto il precedente capitolo della saga.
Due donne, tre cattivi, un eroe, tanti personaggi di contorno: troppi anche per un film di quasi due ore e mezza, che Raimi utilizza nel peggiore dei modi, partendo a rotta di collo con una serie di sequenze di grande spessore visivo ed eccezionale fattura tecnica, ma frenando bruscamente nella parte centrale del film, mezz’ora di nulla assoluto, mortalmente noiosa, che anticipa un finale il cui “colpo di scena” è tale solo sulla carta.
Spiderman 3 è indubbiamente uno dei film più spettacolari mai prodotti da Hollywood ed i momenti memorabili non mancano: le sequenze che vedono protagonista Sandman, quella con la gru impazzita, il lungo combattimento finale, Peter e Mary Jane dolcemente sdraiati su una ragnatela (peccato “sprecare” un momento così toccante nel trailer) sono palpitanti e suscitano emozioni genuine. A lasciare sbigottiti è invece la faciloneria e la superficialità con la quale la sceneggiatura propone gli snodi narrativi più importanti: un’azione a ritroso per giustificare cambi repentini di atteggiamento da parte dei protagonisti-chiave che lascia esterrefatti (esemplari in questo caso sono la “confessione” del maggiordomo ad Harry Osborn o la dichiarazione del capitano George Stacy a May Parker) . In pratica è come se il secondo episodio, a questo punto lo si può dire con cognizione di causa, il migliore della trilogia, non fosse mai esistito.
A dir poco demenziale è il modo con il quale si presenta al pubblico il “nuovo” Peter Parker, “posseduto” dal simbionte e protagonista di una sequenza grottesca nella quale l’eroe si trasforma in un Tony Manero di quart’ordine. Persino i camei di Bruce Campbell e le poche sequenze con J.K. Simmons/J. Jonah Jameson appaiono più ridicoli che divertenti.
Il cast funziona a corrente alternata: da un lato ci sono gli eccellenti Kirsten Dunst, molto brava nel rappresentare il dolore e le inquietudini della fidanzata incompresa e frustrata e Thomas Hyaden Church, cui bastano due inquadrature per tratteggiare un indimenticabile Sandman, sfortunata vittima delle necessità e del fato, dall’altro un Tobey Maguire in stato semi-catatonico, incapace di cambiare il passo quando la sceneggiatura lo richiede, un antipatico e bolso Topher Grace ed una irritante e svampita Bryce Dallas Howard che di certo non rappresenta al meglio il personaggio di Gwen Stacy (fondamentale nel fumetto, qui ridotto a mera comparsa).
Anche la tanto decantata “pietas”, perno emozionale attorno al quale dovrebbe ruotare tutto il film del film si riduce ad uno mero “ti perdono” pronunciato da Spiderman a Sandman nel finale della pellicola, che ricorda tristemente il poco convinto “mi spezzi il cuore” di Starwarsiana memoria. Tecnicamente mostruoso,Spiderman 3, delude perché non riesce ad elevarsi al di sopra degli standard medi di questo tipo di produzioni: dall’episodio conclusivo di una trilogia così importante era lecito aspettarsi qualcosa di più, ma stavolta qualcosa è andato storto.
Giralo ancora, Sam.
In sala dal 1 maggio