Autore Topic: [PS2] Devil May Cry  (Letto 3011 volte)

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Offline teokrazia

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[PS2] Devil May Cry
« il: 06 Apr 2003, 16:59 »
Diamo il benvenuto alla nuova creazione di mr. Mikami, presuppongo una delle ultime su PS2, dopo le critiche che il producer Capcom ha rivolto alla console e alla Sony in uno sfogo rilasciato ad una radio privata Japponese[mi sembra sia successo lo scorso autunno]. Diamo il benvenuto al gioco che insieme ad altri, ma PIU' di altri ha messo sulla bocca di tutti le parole "Stylish game". Diamo il benvenuto al suo super-figo [o dovrei dire Stylish?] protagonista: il canuto Dante[#1]. Diamo il benvenuto ad un prodotto dai più collocato nella categoria dei survival horror, e da qualcuno ritenuto RIDEFINITORE del genere... Parolona... Sarà appropriata? [vedremo]
Una volta inserito il DVD, parte un filmato molto "trendy" [ops... ora si dice Stylish, ma ho gradito]. Let's rock baby: dovremo accompagnare Dante in un'avventura dai toni gotici che ci vedrà lottare contro il Male ed i suoi scagnozzi assiepatisi su un'isola [molto] suggestiva. Le premesse narrative ce le offrono 2 filmati [di cui uno fatto col motore del gioco], dai contenuti e dai toni così cliché che più cliché non si può [ma siamo in linea con la tradizione hard-boiled [ops..stylish] ed ho perdonato]. La maggior parte dell'azione si svolgerà in un [bellissimo] castello e nelle sue attinenze. La cura per le location e l'enemy design si rivelano eccellenti, con influenze a volte dissonanti, ma così ben amalgamate da restituire un appeal unico e credibile [in una parola: Stylish]. Ottima la regia virtuale, che si comporta in maniera quasi sempre degna nell'accompagnare i momenti esplorativi, o nell'enfatizzare [Stylish-are?] i combattimenti. Da applauso le animazioni di tutti gli attori a video, in particolare del protagonista, e alcune trovate visive. Meno belle le tante scalette ed il troppo blur impiegato per mascherarle.
[Gameplay] DMC cerca di scrollarsi di dosso le vetuste meccaniche del genere d'appartenenza concentrandosi sul combattimento e su una struttura a missioni. Liberi dai movimenti character relative, potremo performare attraverso l'originale [meglio: Stylish] utilizzo alternato/ibridato di armi bianche e da fuoco una quantità industriale d'attacchi. Il sistema darà una serie di valutazioni alla nostra condotta [che strano, appare anche la parola Stylish], e in base alla quale saremo premiati con eventuali globuli extra rilasciati dai nemici uccisi: globuli che ci faranno banalmente recuperare energia o ci consentiranno in precise occasioni di ottenere nuove possibiltà di movimento e d'offesa o semplici item. Alla fine di ogni missione riceveremo una valutazione per la condotta tenuta. Trovata che incentiva la rigiocabilità. DMC è bene o male tutto qua. Il gioco ha dalla sua un appeal e una freschezza non indifferenti, l'impatto e la fruibilità della prima metà sono a parer mio da vero e proprio MASTERPIECE. I problemi [negli occhi di scrive] stanno nel drastico calo di ispirazione che coinvolge le location e le situazioni incontrate nelle battute finali, nella frustrazione derivante da alcuni combattimenti e nella ripetitività intrinseca del gameplay [comunque apprezzabili sono gli espedienti come le valutazioni, i potenziamenti e alcune variazioni sul tema escogitati per ragginarne i limiti]. La longevità è discreta, considerato il taglio fortemente action della proposta.
[Conclusioni] Ridefinitore del genere? Perchè no. Partire da basi consolidate per arrivare a mettere sul piatto un'esperienza così potente e trascinante da divenire altro, è secondo me fattore sufficiente per promuovere DMC a questo ruolo [lo dimostrano anche il numero di epigoni e le influenze più o meno dirette che il gioco ha generato a partire dalla sua uscita]. Scendere a patti con un gameplay abbastanza inedito ma per sua natura tendente all'autocelebrazione [basterà essere Stylish?] e con un plot narrativo fortemente stereotipato, dipende in questa occasione più che in altre da voi e dal vostro gusto. Sappiate che la raison de vivre di DMC non può prescindere da nessuna delle sue componenti. O lo si ama o si lo odia. Mai stato così vero...

GRAFICA: 8  
SONORO: 8    
GIOCABILITA': 8.5    
LONGEVITA': 7.5    
GLOBALE: 8

[#1] Per la cronaca, ma sono l'unico che appena ha visto Dante ha pensato ad una versione maschile di Ivy di Soul Calibur? Nessuna critica, semplice constatazione. Ah, fatevi un piacere, giocatelo in vers. NTSC/USA.

Offline Sol_Badguy

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[PS2] Devil May Cry
« Risposta #1 il: 26 Apr 2003, 16:47 »
Publisher: Capcom *** Developer: Interno ***  System: Playstation 2

DEVIL MAY CRY
Interpretazione Yin
Talvolta, neologismi e forzate catalogazioni, possono distogliere lo sguardo dell’utente da ciò che di più riuscito un videogioco possiede: Devil May Cry (DMC) non è solo “stilysh-game”, è anche (soprattutto?) un ottimo esempio di come strutture ludiche bidimensionali possano essere efficacemente trasportate nella terza dimensione. In particolare Capcom, è stata in grado di tradurre in termini “poligonali” le meccaniche di gioco e le atmosfere del Dracula di Konami.
Alastor: lame e sangue
Nato come spawn-off della struttura di Resident Evil (RE), DMC è un arcade-adventure interamente poligonale, incentrato più sull’azione che sugli enigmi. Probabilmente nell’intento di sfuggire alle accuse di “riciclo di idee”, Capcom ha autodefinito la sua creazione “stylish-game”, facendo perno sulla caratterizzazione del protagonista, Dante, e del suo stile di combattimento. Dante è un cacciatore di demoni, metà uomo e metà diavolo egli stesso, dall’aspetto e dai modi “cool”, che viene ingaggiato dalla misteriosa Trish per indagare sugli inquietanti eventi accaduti nell’isola di Mallet. Tale missione si risolve in game, nel vagare per i gotici manieri dell’isola, infestati da creature demoniache, raccogliendo occasionalmente gli oggetti necessari a rendere accessibili determinate aree di gioco. Il tutto si svolge in una vasta mappa “unica”, il cui attraversamento è però guidato dalla ripartizione dell’azione in brevi missioni da completare in rigorosa sequenza, rendendo così meno dispersivi ed impegnativi gli enigmi, e concentrando più l’attenzione sugli spettacolari combattimenti. Un funzionale alternarsi automatico dei controlli tra screen e character relative, unito a l’enviroment completamente poligonale, rendono possibile utilizzare con immediatezza ed efficacia le innumerevoli risorse offensive di Dante. Il protagonista ha infatti a disposizione un discreto arsenale (da ampliare nel corso del gioco), costituito  sia di armi da fuoco che da taglio. Queste ultime sono in grado di conferire a Dante poteri speciali come attacchi a base elemntale o la possibilità di trasformarsi temporaneamente in un devastante demone. Tali poteri possono essere potenziati in appositi “negozi” in cambio di orbs, dei globi di energia lasciati dai nemici uccisi. La spettacolarità del come si combatte per portare alla morte i mostri è direttamente proporzionale alla quantità di orbs successivamente rilasciati. Ciò incentiva il giocatore all’uso delle tecniche più “cool”, dando così una valenza ludica allo “stilsh-game”. Quello che invece segna un significativo cambiamento dall’impostazione alla RE, è il ruolo centrale del salto, il cui uso intensivo è necessario non solo durante i combattimenti, ma anche per gli spostamenti stessi nell’area di gioco. Tale scelta arricchisce la struttura di una squisita componente platform, che è anche l’ultima “variabile” per far tornare l’equazione “DMC = Dracula in 3d”.
“Devil May Cry, we are closed tonight”
“Dejavù”, inteso freudianamente come accostamento degli stessi archetipi in contesti diversi, è il modo migliore per descrivere la sensazione che prova, di fronte a DMC, chi ha giocato a Dracula, in particolar modo Dracula X (DX). Sia dal punto di vista ludico che estetico-stilisitco, sono infatti molti gli elementi che il prodotto Capcom riprende e ricontestualizza in 3d dal titolo Konami.
Le locations: in DMC si và dallo stile medieval-rinascimentale del castello, che ricorda non poco le “Marble Halls” di DX, sino a quello romanico del “Colosseum” (volutamente?) ispirato all’omonimo livello del gioco Konami.
Gli stages dal punto di vista ludico: sia Dante che Alucard iniziano l’avventura con una breve “passeggiata” introduttiva sino al castello, per poi trovarsi entranbi, a vagare in una mappa di gioco vasta e unica, da esplorare gradualmente tramite il ritrovamento di oggetti atti ad aprire alcune aree prima inaccessibili.
Il protagonista e il suo game-play: sia Dante che Alucard hanno tratti efebici, lievemente androgini, una chioma argentea ed abiti che, con il loro ondeggiare, ne sottolineano le eleganti movenze. Ambedue sono figli “bastardi” di un padre non umano, da cui ne ereditano i poteri di metamorfosi (Dante in demone, Alucard in lupo, pipistrello ecc.), e di agilità  (doppio salto), ambedue hanno un arsenale a lungo raggio ma poco efficace, atto principalmente a “tener a bada” i nemici, (in DMC le pistole, in DX coltelli, asce ecc.) da combinare con vari tipi di spade, ciascuna con precisi poteri speciali.
Le creature: l’overall-design dei mostri nei due prodotti, è simile e spesso spiccano casi di evidente analogia, sia nell’aspetto che nei pattern d’attacco (gli uomini lucertola in grado di combattere anche in acqua ricordano da vicino i rossi tritoni di DX).
DMC è quindi un prodotto poco originale? No tutt’altro, è riuscito nel difficile compito di sviluppare un concept bidimensionale in 3d, mantenendone inalterate immediatezza e “feeling”.
Compito che Konami stessa aveva fallito su N64 e che ora, con la soluzione di Capcom in tasca, cercerà di raggiungere su PS2.

NOTA IMPORTANTE
Per una migliore fruizione di questo scritto e del successivo, leggere cortesemente la mia nota introduttiva postata su http://www.thefirstplace.it/forum/viewtopic.php?t=1210&start=200
I'm having fun...

Offline teokrazia

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[PS2] Devil May Cry
« Risposta #2 il: 26 Apr 2003, 16:51 »
Publisher: Capcom *** Developer: Interno ***  System: Playstation 2

DEVIL MAY CRY

Interpretazione Yang
La saturazione dell'offerta videoludica è il dazio che il giocatore di fine/inizio millennio deve pagare all'allargamento del mercato. E' prassi consolidata che qualsiasi titolo riesca ad ottenere un briciolo di successo a livello critico ed economico diventi inevitabilmente un franchise. Dopo anni di sfruttamento dell'archetipo Resident Evil, Mikami, uno degli eroi di Capcom, cerca di fare il punto della situazione con una sua personalissima [re]visione del modello da lui stesso creato: Devil May Cry.

Ebony & Ivory: piombo bollente
La ridefinizione del genere d'appartenenza [i c.d. survival horror] in Devil May Cry viene perpetrata ritoccando gli equilibri dei suoi el ementi fondanti [meno adventure più action] ed attraverso la sostituzione delle influenze estetiche. Volendo raccontare quest'ultimo aspetto utilizzando paragoni cinematografici, all'abusato modello dell'orrore romeriano, viene preferita una dinamica narrativa ed estetica figlia dei moderni action-movie hollywoodiani: quelli per intenderci che hanno saputo rinnovare il cinema d'azione occidentale facendo prezioso tesoro dei suggerimenti arrivati da Honk Hong ed i cui capomastri più rinomati sono identificabili in John Woo ed i fratelli Wachowski.
DMC se ne sbatte della storia [assolutamente stereotipata e monocroma], e concentra tutta la sua raison d'etre su un'azione belligerante che sia anche [e sopratutto] esteticamente appagante. Stylish game? Certo perchè no. Sotto il nostro diretto controllo Dante affronta il Male producendosi in una serie di movimenti e vere e proprie pose [chi ha dimestichezza con il mondo del rock capirà] che non hanno nessun mezzo fine se non quello di alimentare il feeling dell'esperienza nel breve periodo. Impugnare due pistole [ Ebony & Ivory] e vomitare piombo addosso agli avversari con un impeto tale da sollevarli dal suolo, mentre il nostro eroe è già pronto ad estrarre la spada e tagliarli in due prima ancora che tornino a terra è un'attività totalmente fine a se stessa: non giova a nessuno, se non a noi e all'appagamento del nostro senso estetico. La ricerca, lo sfruttamento ed il potenziamento delle innumerevoli possibilità di manovra offerte al giocatore sono il nucleo attorno a cui si sviluppa l'intera esperienza.
Un gioco che mi piace definire "figlio di questi tempi", ossia esteticamente propenso ad appropriarsi di alcuni degli umori che vanno per la maggiore in certi ambiti, e ludicamente volto a mischiare linguaggi e contenuti dall'origine disparata per porli al servizio di un risultato univoco [qualcuno ha detto crossover? Allora ho forse chiuso più di un cerchio...]. Un impianto di gioco così particolare, è sicuramente favorito negli intenti da un comparto audio-visivo che perdonate alcune sbavature [scalette a go-go e motion blur da miopia] ed alcuni cali di ispirazione [tutta la parte relativa alla discesa negli inferi] si dimostra eccellente. L'utilizzo di fondali full 3d consente alla camera di seguire il giocatore con molta più dinamicità e pathos, non risparmiandoci [sopratutto negli esterni] alcuni scorci davvero suggestivi ed ispirati. La caratterizzazione dei personaggi e le loro animazioni [Dante in primis] sono straordinarie, le location sono ben arrangiate, piene di dettagli e molto evocative. Il sonoro da il suo fondamentale contributo mediante effetti sempre adeguati ed un accompagnamento musicale la cui gamma espressiva passa in scioltezza dai momenti classico-ambientali delle fasi esplorative alle sferzate di un apocalittico metal moderno per i combattimenti.

“Let's rock baby!"
Permettemi un'ulteriore personalissima considerazione. Devil May Cry è una bellissima e maledetta terra di mezzo: perfetta sintesi di immaginari e contesti disparatissimi. Da questo punto di vista l'opera di Mikami è al tempo stesso dannatamente coraggiosa e [attenzione] spudoratamente ruffiana.
Prendete un'eroe dei nostri tempi, impavido e versatile come Neo di Matrix, proiettatelo in un contesto gotico-vampiresco [staran fischiando le orecchie a qualcuno?] sospeso nel tempo, e fatelo combattere contro il Male, che non esita a manifestarsi attraverso icone della mitologia greca, medievale ed ottocentesca.
Conferite al tutto un mood molto particolare, a tratti onirico, a tratti epico e a tratti violentemente lancinante. Prendete questo ancora imperfetto meltin' pot ed affidatene la direzione ai più talentuosi e visionari registi d'azione contemporanei, insaporite il tutto con un grado di coinvolgimento emotivo fottutamente dirompente e stiloso...cosa abbiamo per le mani? Un nuovo termine di paragone, un prodotto in grado di tracciare nuove linee evolutive per un genere ormai agonizzante e putrescente: date il benvenuto al redentore dei survival horror.