C'è del buono nei videogiochi cattiviUna ricerca sembra dimostrare che l’esposizione virtuale alla violenza può rendere meno aggressivi Violenti si nasce o si diventa? Che influenza ha l’ambiente? «Vedere» la violenza, reale o in una fiction, induce a diventare più aggressivi? E’ una domanda che viene sempre rivolta sia agli psicologi, sia ai criminologi: difficile dare una risposta definitiva. Ora una ricerca statunitense, del professor Craing Anderson della Iowa University e del dottor John Paul dell’Università di San Diego, aggiunge alla questione un nuovo elemento di valutazione. I risultati sembrano, infatti, contraddire le conclusioni di precedenti ricerche (condotti anche dagli stessi autori di quest’ultimo lavoro) e cioè che l’esposizione a videogiochi violenti aumenta sentimenti e comportamenti aggressivi. Il nuovo studio dimostrerebbe, infatti, che l'esposizione a videogiochi violenti può ridurre la violenza reale.
Gli scienziati parlano, in proposito, di desensibilizzazione alla violenza, ovvero di «riduzione della reattività fisiologica emozionale». In pratica, affermano: «Chi utilizza, anche solo per 20 minuti videogiochi violenti scarica la propria aggressività e assume poi, nella realtà, un comportamento più tollerante». La ricerca, pubblicata sul Journal of Experimental Social Psychology, ha preso in esame 257 studenti, 124 maschi e 133 femmine, di cui sono stati inizialmente valutati i parametri fisiologici correlati alle emotività e la propensione all’aggressività. In una prima fase della sperimentazione, a ciascuno dei partecipanti, scelto casualmente, è stato proposto uno di otto videogiochi, quattro dei quali giudicati molto violenti (tra cui Carmageddon e Mortal Kombat). Nella seconda fase, i partecipanti alla ricerca hanno guardato un video, della durata di dieci minuti, che raccoglieva scene violente tratte da programmi televisivi (esplosioni di rabbia in aule giudiziarie, interrogatori di polizia, aggressioni all'interno di carceri). Nel corso di entrambe le fasi della sperimentazione sono state ripetute le registrazioni dei parametri fisiologici legati all’emotività: frequenza cardiaca e riflesso psicogalvanico. Al termine degli esperimenti, si è visto che chi aveva utilizzato un videogioco violento, davanti al filmato con le scene di aggressività, mostrava per i parametri fisiologici indicativi valori inferiori rispetto a chi aveva utilizzato videogiochi non violenti. I ricercatori sono così arrivati alla conclusione che la violenza nei videogiochi può «desensibilizzare» alla violenza reale.
E' verosimile che l’uso dei videogiochi violenti consenta di creare un modello mentale che aiuta a scaricare la rabbia in modo sostitutivo e a prendere coscienza della capacità di gestire le reazioni emotive correlate alle situazioni di violenza. «La ricerca è interessante e innovativa, ma la cautela sulle possibili implicazioni pratiche è d'obbligo — dice la professoressa Isabella Merzagora Betsos, titolare della Cattedra di criminologia clinica della Facoltà di medicina e chirurgia dell'Università di Milano —. L’origine della violenza è multifattoriale, come dimostra la letteratura scientifica. Non va dimenticato che, se cause biologiche o genetiche non sono da escludere come fattori predisponenti, da sempre la psicologia ha visto gli aspetti ambientali e quelli legati alla esperienza, come elementi di primo piano nell’indurre alla violenza. Il fatto, poi, che ci possa essere un’esposizione alla aggressività tramite un videogioco dipende dal fatto che si crea una situazione partecipatoria virtuale: il giocatore si immedesima nel protagonista del videogioco. Quando assiste a un filmato, invece, ha un ruolo di spettatore passivo e la sua risposta emotiva è ridotta». «La ricerca — conclude Merzagora — non autorizza a sperare di aver trovato una "terapia" della violenza. «E’ prematuro pensare a immediate applicazioni di questi studi; ma questo è un tema con il quale dobbiamo confrontarci ed è giusto che ci sia la massima allerta nella comunità scientifica».
Angelo de’ Micheli
06 agosto 2006 Sul Corriere di oggi.------------------------------------------------------------------------------------
Un articolo (fortunatamente?) asettico, scevro da considerazioni personali, purtroppo troppo spesso catto-moralizzanti.
Fa piacere sapere che c'è anche interesse a riportare certe notizie/studi/opinioni che vanno controcorrente rispetto al solito trend forcaiolo.
Speriamo sia l'inizio di una maggiore apertura mentale da parte del giornalismo generalista che troppo spesso in Italia si è autonominato giudice, giuria e boia di ciò che nemmeno prova a comprendere.