IL PRIMO è acerbo ed è mal bilanciato. Nonostante fosse un Dragon Quest riverniciato, era vent'anni avanti quando è uscito. Non è indispensabile giocarlo, ma gli si può dare una botta dopo il secondo, o anche dopo il terzo. Per motivarsi, oltre alle guide e alle patch facilitanti, c'è la colonna sonora ufficiale (tutta riarrangiata). Quella sì che è indispensabile. Si apprezzerà anche l'overworld "geografico" e in scala 1:1. Si apprezzeranno meno alcuni dungeon. Potenzialmente, è un viaggio che vi resterà nel cuore più degli altri, perché nonostante sia acerbo, vi prende alle spalle.
Finito un paio di giorni fa.
Gioco stranissimo, con un gameplay macinamaroni che francamente penso fosse inaccettabile anche nel 1989. L’ho giocato su NES Mini, patchato per poterlo giocare come la versione GBA patchata. Ma alla fin fine, pur risparmiandomi un po’ di grinding, la patch non ha cambiato più di tanto l’essenza del gioco.
C’è da dire che il gioco è... molto, molto particolare. Il gameplay sembra volutamente opporsi a qualsiasi concetto di Quality of Life, con una prospettiva assurda e un mondo di gioco spropositatamente grande, dove non sai mai da che parte andare e non è improbabile non vedere anche intere città, passandoci accanto e non sapendo che sono lì, a pochi pixel di distanza, ma fuori dall’inquadratura.
La GUI è una tortura, navigare i menu non ne parliamo, certi “dungeon” e certe sezioni dell’overworld provocano pura disperazione, l’inventario limitato è da denuncia, il denaro sembra non bastare mai anche se di cose essenziali da comprare ce n’è poche, e in combattimento si può finire shottati abbastanza a random in qualsiasi momento.
In compenso, quello del pane e delle briciole è uno dei sistemi più geniali mai visti.
Quello che succede nella storia è qualcosa di speciale, comunque. A volte sembra di essere finiti in un’avventura Lucasarts, ma con una sensibilità tutta giapponese che ti fa esclamare WTF!! e poi ti dipinge un sorrisone in faccia. Credo non ci sia un singolo dialogo “normale” in tutto il gioco, a cominciare da ciò che il padre di Ninten dice ogni volta prima di riappendere il telefono, passando per il Nowhere Man nei sotterranei di Magicant, accettando da bere in un locale, fino alla scena
ex abrupto nella baita sulla montagna, improvvisa, sconvolgente e tenerissima.
Il tutto accompagnato da una colonna sonora che definire un classico è dire troppo poco, e che ha goduto di un album di arrangiamenti a dir poco sublime - e non meno strano del gioco.
Sono contento di aver tollerato il gameplay pallosetto per circa 10 ore (grazie, savestate!) pur di vedere le sorprese del gioco. Peccato che da giocare sia un discreto chiavicozzo, ma questa frase spiega tutto:
, ma anche pervasa dalla convinzione che i JRPG siano un po' una minchiata.
Perché Mother è esattamente questo. Qualcosa che voleva e doveva essere tutto tranne un JRPG, ma che per qualche motivo si poteva esprimere come si esprime solo nei panni del JRPG.