Autore Topic: [Spectrum] Manic Miner  (Letto 3520 volte)

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Offline Kiki76

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[Spectrum] Manic Miner
« il: 23 Ago 2005, 17:02 »
Come si diventa leggenda?
Matthew Smith non saprebbe rispondere a questa domanda,lui si è limitato a sparire e nell'assenza il mito l'ha innalzato ad icona.
Per essere uno che ha all'attivo solo una manciata di titoli preistorici e che ha passato lo scorso decennio in una comune olandese (così dicono),oggi il programmatore inglese non compare certo nella lista dei game designer più noti,ma basta chiedere a qualche residuato degli eighties e sarà un coro unanime: Manic Miner
Lui,il platform senza gli occhi a mandorla,pressato nei 48k del piccolo di casa Sinclair e atterrato sui nostri schermi nell'anno di grazia 1983,prima che Mario scoprisse le proprietà anabolizzanti del fungo,prima che Sonic imparasse a camminare e prima che coppie di pelosi incroci zooantropomorfi diventassero padroni del platform de'noanti.
La messa in scena è degna del miglior trip lisergico,tipico del periodo: guida il minatore pazzoide Willy attraverso le 20 caverne di una civiltà perduta,evita mostriciattoli e oggetti non bene identificati e conducilo sano e salvo a casa.
Se la trama non è propriamente cinematografica,il design è un vero e proprio inno al kitsch:amebe,camminotteri,telefoni mutanti,robot isterici e atomi rotanti sono solo alcuni esempi del delirante campionario partorito da Smith.
Andando sul tecnico,i livelli sono composti unicamente da schermate statiche,con una manciata di chiavi da raccogliere per passare al successivo.
In basso,sullo schermo,un indicatore di ossigeno scende inesorabilmente,esortandoci ad agire rapidamente per non perdere una vita.
Per gli standard dello Spectrum (ho sempre pensato che il nome sia stato scelto da Sir Clive in un impeto di delizionso humor anglosassone),la grafica appare colorata,ma la definizione generale è decisamente spartana.
Buone invece le animazioni.
Se dunque tecnicamente non si urlava al miracolo neppure all'epoca,è il game design che appare ancora oggi monumentale.
I livelli sono strutturati in maniera diabolica,a metà strada tra il platform e il puzzle e l'impossibilità di utilizzare qualsiasi arma,ci vede costretti a scavalcare i nemici a balzi.
Camina a destra,cammina a sinistra,salta,un contatto e sei morto,una caduta da zona elevata e sei morto,una distrazione e sei morto.Puro trial and error condito da una difficoltà a tratti aberrante.
Oggi Manic Miner è assolutamente improponibile,eppure una volta raggiunto il Nirvana nella coordinazione occhio-mano,è impossibile non notare come ci troviamo davanti ad un'autentica enciclopedia di game design.
Dalle piattaforme mobili a quelle a tempo,dal terreno cedevole a quello scivoloso,sono decine le idee che hanno costituito la base per quasi 20 anni di platform 2d.Prima dei Giapponesi,prima di Miyamoto.
Tra le chicche un comparto sonoro delirante,con "Il Danubio Blu" di Strauss (title song) e "Nella stanza del re della montagna" di Grieg (in game),entrambe massacrate dal leggendario altoparlantino dello Spectrum.Ma ai tempi non era affatto poco.
Nemmeno il game over poteva dirsi normale,rappresentato da un piedone enorme nell'atto di schiacciare il povero Willy.
Decisamente altri tempi.
L'anno successivo sarebbe uscito Jet Set Willy,trascendendo i concetti di delirio e di difficoltà,ma questa è un'altra storia,l'ultimo tassello nella breve carriera di una leggenda.
cribacchino su: www.ludus.it
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