Copincollo le considerazioni di M.T.I. di Lab24 su AstraZeneca. Nulla di nuovo, ma repetita iuvant.
Rispondiamo oggi alle molte domande ricevute sulla sicurezza del vaccino AstraZeneca, dopo il via libera dell’Ema e la decisione italiana di somministrarlo in modo preferenziale (non esclusivo) ai soggetti sopra i 60 anni di età. Possiamo riassumere i messaggi in una sola domanda: “il vaccino è davvero sicuro?”. La risposta è “assolutamente sì”: ma vediamo come possiamo arrivare a dimostrarlo usando, come facciamo spesso, i numeri. L’Ema ha valutato le informazioni contenute nel database EudraVigilance, che raccoglie le segnalazioni relative a sospette reazioni avverse a farmaci: in particolare, in relazione al vaccino AstraZeneca, alla data del 22 marzo si trovavano 62 casi di trombosi cerebrale e 24 di trombosi venosa, per un totale di 86 segnalazioni sospette. Tra questi 86 casi si sono verificati 18 decessi. Dobbiamo a questo punto considerare il numero totale dei soggetti vaccinati: circa 25 milioni sommando i dati della popolazione dell’Unione europea a quella di Uk (fonte: Ema). Se valutiamo il rischio relativo a un possibile decesso arriviamo allo 0,000072%: in altri termini abbiamo 7 decessi ogni 10 milioni di vaccinati (72 ogni 100 milioni) potenzialmente collegabili alla somministrazione del vaccino. Iniziamo un confronto con la malattia che cerchiamo di combattere usando (anche, non solo) il vaccino in questione. La Covid-19, in Italia, ha una letalità “ufficiale” del 3,0%. Diciamo ufficiale perché più volte, eseguendo il calcolo inverso a partire dalle terapie intensive, abbiamo visto come sia possibile ipotizzare che il numero degli italiani venuti effettivamente a contatto con il Sars-CoV-2 sia “almeno” il doppio rispetto ai 3.700.393 individuati con test tampone alla sera del 7 aprile: abbattiamo quindi il tasso di letalità, dimezzandolo, e portiamolo all’1,5%. Se proiettiamo questo valore su 25 milioni di soggetti contagiati il numero dei decessi arriva a 375.000 (contro i 18 che sono stati segnalati): pari a 15.000 morti per milione di infettati “reali”. Possiamo tentare un’altra spiegazione utilizzando il “micromort”: una unità di misura, se così vogliamo chiamarla, anche se è più corretto definirla unità di rischio, introdotta nel 1979 da Ronald Arthur Howard della School of Enginnering (Stanford University), considerato uno dei padri della moderna analisi decisionale. Con questo criterio Howard puntava a definire in modo scientifico il rischio connesso allo svolgimento delle attività quotidiane, rappresentandolo in “una probabilità di morte su un milione”. Con 18 decessi su 25 milioni di vaccinazioni, si ottiene un valore di 0,7 micromort per quanto riguarda la possibilità di morire per un evento trombotico causato dal vaccino. Un livello di rischio identico (0,7) a quello legato a un’attività che facciamo senza nessuna preoccupazione: sciare. Abbiamo poi un rischio di 1 micromort ogni volta che guidiamo un’auto per 370 chilometri, magari per andare in vacanza, oppure ogni volta che percorriamo in moto (o scooter) una distanza assai più breve: 10 chilometri. Oppure ogni 27 chilometri percorsi camminando. E anche se può sembrare incredibile è stato calcolato il rischio (1,3 micromort) legato a un’attività banalissima, che magari da oggi guarderemo con sospetto: sedersi su una sedia, per la letalità legata alle cadute. Incorporiamo inoltre il rischio di 1 micromort ogni 1,4 sigarette fumate, oppure vivendo per 2 mesi con un fumatore. Correndo una maratona il livello sale a quota 7, per arrivare fino a 37.932 tentando la scalata dell’Everest. A pesare sulla nostra percezione di rischio, molto più dei numeri, è un meccanismo psicologico che ci porta a fare collegamenti immediati con eventi direttamente vissuti o conosciuti, oppure dei quali sentiamo parlare spesso. Da questo meccanismo dipende per esempio la sensazione (errata) di un rischio maggiore dell’aereo rispetto alla macchina: ogni incidente aereo viene ripreso dai media, mentre non accade per quelli automobilistici. La ripetuta segnalazione degli eventi avversi legati al vaccino distorce la nostra percezione, portandoci a considerare un rischio molto maggiore di quanto sia nella realtà. Torniamo al vaccino AstraZenca e all’Italia: dove, a nostra maggior tutela, è stato deciso di utilizzare “preferenzialmente” AstraZeneca sopra i 60 anni. Escludendo in questo modo la popolazione (dai 59 in giù) all’interno della quale sono state rilevate le reazioni avverse e i decessi.