8 mesi dopo, l'ho finito
A inizio anno lo avevo dovuto accantonare, pure se mi stava piacendo molto, perché non potevo dargli l'attenzione che meritava. Ho deciso quindi di ricominciarlo da capo in questi giorni, finendolo al 100%
Che dire: perché di giochi così non se ne vedono quasi più?
Il fascino di Siren risiede in primo luogo nel confrontarsi con qualcosa di diverso, un meccanismo nuovo - ma preciso e puntuale come un orologio - che non si appoggia a strutture di design ormai ben oliate e preconfezionate. Oggi, quando inizi un nuovo gioco, 99 volte su 100 sai già cosa aspettarti. Il design dei generi ormai è talmente standardizzato che l'originalità dei meccanismi di base non è neanche più oggetto di valutazione.
E quindi con Siren ti ritrovi a manipolare e ispezionare questo oggetto strano, quasi alieno, dal funzionamento sfuggente e dai contorni insoliti, che cerchi appunto di incasellare in qualcosa di già visto, senza però riuscire mai a farlo combaciare perfettamente. Non è già questo il fondamento dell'horror?
Man mano che giochi, cominci piano piano a distinguerne gli ingranaggi (una visione che però rimane sempre parziale, mai onnicomprensiva). Capisci che non è il frutto del caos. Che dietro c'è un disegno; il che lo rende, se possibile, ancora più inquietante. Ma se c'è un disegno, allora vuol dire che esiste la possibilità di comprenderlo. A maggior ragione, quindi, senti di volerne di più, e così passi all'osservazione minuziosa, all'esplorazione sistematica, alla messa in pratica delle ipotesi. Insomma, passi dalla fascinazione all'ossessione.
E quindi ogni nuova missione diventa il banco di prova delle ipotesi precedenti. Tuttavia il gioco è abilissimo nel contrabbilanciare la soddisfazione di veder confermate le proprie congetture, con altrettante nuove domande a cui trovare risposta. Qui entra in gioco l'uso ricorrente delle stesse location. Quando pensi di aver perfettamente compreso una mappa, ecco che il gioco ti svela un lato nascosto o una prospettiva nuova. È il sogno di ogni producer e il santo graal di ogni level designer.
Anche una volta finito al 100% (e dopo aver letto i preziosissimi documenti che mi ha spedito
@hob ), permane comunque attorno al gioco una certa aura di "inconoscibilità", indispensabile per preservarne il fascino del mistero. È una cosa tipica degli autori nipponici, che non sempre azzeccano la dosatura del detto e non-detto (obiettivamente, la stessa trama di Siren, senza alcuni documenti pubblicati esternamente, è davvero ostica da comprendere), ma che sicuramente hanno una marcia in più degli occidentali nel saper utilizzare il potere della suggestione.
È una delle tante similitudini con i titoli From Software che mi sono venute in mente mentre ci giocavo.
Altre considerazioni a margine:
1) Ancora non mi capacito di come nessuno abbia preso in eredità le meccaniche di Siren. Il sightjack è uno strumento straordinariamente potente, sia dal punto di vista ludico che narrativo. Assurdo che, ad esempio, un gioco come Dishonored non ne abbia approfittato.
2) Siren richiede uno sforzo di attenzione, calma e pazienza a cui non siamo più abituati. E questo dice più su quello che siamo diventati, che su quello che eravamo. Lo stealth - per dirne uno, ma si applica a tutti gli elementi di Siren - è rigoroso: osservazione, pianificazione, esecuzione. Affrettare i tempi di anche una di queste tre fasi porta quasi sistematicamente al fallimento. Si può dibattere se e quanto sia un approccio ludicamente godibile (oggigiorno si preferisce contrarre le tre fasi e dare enfasi sull'improvvisazione per rimanere nel loop), di sicuro è una filosofia di vita.
3) Nel meccanismo puntuale che propone Siren, sono rimasto un po' deluso da quei (rari) casi in cui ho completato alcuni obiettivi in maniera "sporca". Alla fine del gioco, dopo aver terminato anche tutte le missioni secondarie, nei miei appunti ho visto che c'erano ancora un paio di interazioni/items per i quali non avevo trovato un utilizzo (la radio, il frigorifero, il panno di tessuto; in seguito anche l'apparecchio ECG, di cui ho scoperto l'esistenza solo quando, per trovare gli ultimi dieci documenti dell'archivio, ho dovuto ricorrere a una guida). Non a caso, quegli items andavano utilizzati proprio per quelle missioni per le quali avevo avuto l'impressione di aver raggiunto l'obiettivo in maniera poco ortodossa:
Ad esempio, la radio raccoglibile con Tamon serviva per attirare lo shibito nel pozzo, così da non averlo tra i piedi nella missione di Akira; però la missione con Akira era comunque completabile nonostante il disturbo dello shibito alla base della scaletta. Allo stesso modo, il frigorifero e la pezza di tessuto servivano per distrarre lo shibito poliziotto nel ristorante, ma in realtà sono riuscito comunque a completare quella missione facendo sparare a vuoto lo shibito e attaccandolo durante la ricarica del suo revolver.
Mi viene da pensare che, forse, proprio perché quelli erano gli enigmi più convoluti del gioco, si è scelto di non renderli "bloccanti". Tuttavia, completando le due missioni in quella maniera, non ho avvertito quella soddisfazione nel vedere due pezzi del puzzle che combaciano, e questo - a posteriori - mi è un po' dispiaciuto.
Comunque, per concludere, gran bella esperienza. Il fatto che son dovuto tornare al 2003 per poter assaporare qualcosa di nuovo la dice lunga. Recupererò anche il seguito a tempo debito. Nel frattempo, hype per il nuovo di Toyama