Non sono d'accordo. Non v'è reinvenzione nell'ambiente di gioco grazie ad una camminata (azione tra l'altro nemmeno così originale: s'era vista l'anno prima in Prince Of Persia Le Sabbie del Tempo). Così come ci si trova, nonostante la terza dimensione, in ambienti fintamente estesi, costretti a corridoi invalicabili così come lo erano i livelli della serie ai tempi del 2D. […]
Però recepire il mio punto di vista come un “
Ninja Gaiden è innovativo perché puoi fare il wallrun dove ti pare e l’ambiente è scevro dai limiti tecnici-strutturali del videogioco tradizionale” mi sembra un po' degenerarne il senso
.
Di conseguenza, trovo poco ficcante l’esempio di
Prince of Persia: The Sands of Time, perché, sì, de facto si cammina sui muri, ma la rapportualità personaggio-ambiente resta ancorata alla filosofia à la
Tomb Raider prima maniera, fondata sul concetto di dover far combaciare le abilità del protagonista con la sequenza di ostacoli che s’incontrano lungo l’ambiente di gioco. In poche parole, il level design è concepito in un’ottica discreta, dove è sostanzialmente ‘sfondo’ tutto ciò che non rientra in un hitbox di elementi isolati e interattivi, funzionali a tradurre in sfida ludica quel percorso da rintracciare (prima) e percorrere (poi) per avanzare nell’avventura.
Nel caso di
Ninja Gaiden, invece, il level design mi pare realizzato secondo un’innovativa concezione analogica, che si traduce in un insieme materiale continuo, dove architetture antropiche e naturali non sono costruite attorno alle capacità del personaggio e al percorso da seguire (benché esso resti univoco). Si tratta di pura materia virtuale, che solo talvolta deve essere sfruttata unicamente per progredire nell’ambiente (in fin dei conti questi casi sono piuttosto rari e, qui do ragione a
Wis, talora mal concertati). Al di là del percorso, l’immanenza della materia è sempre presente, come elemento sfruttabile per il combattimento o, al di là di fini ludici primari, come pura fisicità esperibile in vari modi. Questi ultimi hanno il loro limite unico nelle capacità atletiche del protagonista. Perciò, in una struttura logica, ancor prima che ludica, di questo tipo, diventa ‘sfondo’ solo quello che non è realisticamente raggiungibile dalle possibilità fisiche del personaggio.
Inoltre, come ha messo bene in evidenza
Xibal, Ryu “volava tra gli ostacoli”. Anche la rappresentazione fisica del personaggio, infatti, esprime un’inedita consapevolezza della meccanica, per quanto essa risulti esasperata, ovviamente. Far eseguire ad Hayabusa le acrobazie più spettacolari è all’atto pratico semplice e immediato, al punto che il personaggio ti ‘sfugge quasi dalle mani’, e sono proprio l’improvvisa accelerazione che acquista o l’inerzia che deve essere gestita le variabili da saper controllare per farlo muovere con perizia e totale efficacia.
Nelle fasi più concitate dell’azione, tutto questo si traduce in ricami così rapidi e articolati che nemmeno la telecamera (talvolta un po’ pigra) riesce a seguire a dovere. Ma è proprio la totale coerenza analogica tra personaggio e ambiente che rendono possibile comprendere al volo la situazione di gioco con la mente, anche quando questa non è propriamente inquadrata su schermo.
Sulla questione delle armi, il tuo punto e quello di
Furu sono perfettamente in linea con il mio pensiero: non è il gioco a suggerirti/importi quale devi usare e quando, puoi affrontare quasi tutto con uno qualsiasi degli strumenti a tua disposizione. Al contempo, però, questo non si traduce in un arsenale dove tutti gli elementi sono ludicamente equivalenti, diciamo che non sono studiati a tavolino per essere più o meno efficaci verso determinati avversari. Puoi avere la meglio su tutti i tipi nemici con pressoché tutti i tipi di armi, ma ogni tipo di arma implica un diverso approccio strategico a ogni tipo di nemico. In una run non te ne rendi conto molto, ma già se provi a seguire gli achievement di
Ninja Gaiden II (apparentemente balzani) ti accorgerai che completare l’intero gioco con un solo tipo di arma, anziché con un altro, impone di rivedere molte strategie (sempre più, in funzione del maggiore livello di difficoltà). Questa mi sembra un’ulteriore libertà espressiva fornita al giocatore, perché, e son d’accordo con
J.J., chi vuole approfondire per piacere o si vuole esprimere nel gioco con una propria personalità trova una buona quantità di ciccia da masticare.
Un’ultima nota va al ‘gore insistito ed esibito’. Non è assolutamente per pignoleggiare, ma solo perché è un elemento su cui volevo esprimermi in merito a quanto è stato mostrato nei video del terzo episodio.
Non vedo dove il primo
Ninja Gaiden insista sul gore, c’era al massimo qualche decapitazione, che, già ai tempi, era roba da sacrestia (e la cosa saltò all’attenzione della cronaca di settore solo per un eccesso di perbenismo mostrato dell’organo censorio teutonico). Nel secondo episodio, sangue e mutilazioni sono diventati effettivamente più evidenti, ma non mi paiono assolutamente forzati. Volendo dare una lettura ‘romantica’, quella di
Ninja Gaiden II è una violenza di stampo hagakure, dove c’è piena consapevolezza degli aspetti truci della morte in battaglia, ma l’io di Hayabusa non indugia compiaciuto o strafottente sul nemico agonizzante (nel modo in cui fanno invece Kratos e Dante, rispettivamente), ma guarda oltre, verso il prossimo avversario, o ancora più in là, verso il suo obiettivo finale (al pari di un samurai, più che di uno shinobi). Anche le esecuzioni sono coreografate con quell’algida austerità marziale da seppuku, in cui Ryu non tradisce nessun sentimento di esaltazione nel ‘giustiziare’ i nemici, né esso viene trasmesso al giocatore. È proprio quell’insistere grafico sull’avversario dilaniato, proposto da
Ninja Gaiden III, che, invece, mi ha fatto saltare subito all’occhio una differenza concettuale marcata, la quale si potrebbe tradurre in eccesso di gore fine a se stesso (o in cattivo gusto, per chi è più sensibile).