Autore Topic: Poesia  (Letto 15361 volte)

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« il: 16 Dic 2004, 09:16 »
Che ne dite di postare, anche ogni tanto, una poesia che vi ha particolarmente colpito?

Ho preso spunto dalla voglia di farvi conoscere una poesia che ho postato anche in un altro thread.

Eccola qui per voi:

IO VULESSE TRUVA' PACE
Eduardo De Filippo - 1948


Io vulesse truva' pace;
ma na pace senza morte.
Una, 'mmiez' a tanta porte,
s'arapesse pe' campa'! (1)

S'arapesse na matina,
na matin''e primmavera,
arrivasse fin''a sera
senza di': "nzerrate lla'! (2)

Senza sentere cchiu' 'a ggente
ca te dice: "io faccio...io dico,
senza sentere l'amico
ca te vene a cunziglia'

Senza sentere 'a famiglia
ca te dice: Ma ch'he fatto?
senza scennere cchiu' a patto
cu' 'a cuscienza e 'a dignita'.

Senza leggere 'o giurnale
'a nutizia 'mprussiunante,
ch'e' nu guaio pe' tutte quante (3)
e nun tiene che ce fa. (4)

Senza sentere 'o duttore
ca te spiega 'a malatia
'a ricetta in farmacia
l'onorario ch'he 'a pava'

Senza sentere stu core
ca te parla 'e Cuncettina
Rita, Brigida, Nannina...
chesta si'... chell'ata no.

Pecche' insomma si vuo' pace
e nun sentere cchiu' niente
'e 'a spera' ca sulamente (5)
ven' 'a morte a te piglia'? (6)
Io vulesse truva' pace
ma na pace senza morte.
Una,'mmiez'a tanta porte
s'arapesse pe' campa'
S'arapesse na matina
na matina 'e primmavera
e arrivasse fin'a sera
senza di' "nzerrate la'!"


(1) si aprisse per vivere

(2) chiudétela

(3) per tutti

(4) che non c'é niente da fare

(5) devi sperare solamente

(6) che venga la morte a prenderti

Offline marmy

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« Risposta #1 il: 16 Dic 2004, 09:23 »
Questa è una delle mie preferite  :oops:  in questo momento:


Nel crepuscolo del mattino i pali telegrafici
La strada
Nel crepuscolo del mattino l’armadio con lo specchio che luccica

La tavola
Le pantofole
Gli oggetti si vedono l’un l’altro e si riconoscono

Nella nostra stanza il crepuscolo del mattino si fa chiaro come una vela
Nella nostra stanza la freschezza azzurra è un’onda di brillanti
Le stelle sbiancano nella nostra stanza

Molto lontano in fondo al ruscello ch’è in cielo
Le pietre si bagnano

La testa della mia rosa è sul guanciale
La sua testa è sul guanciale di piume infinitamente largo
Le sue mani sulla coperta come tulipani bianchi
Nei suoi capelli gli uccelli cominciano a cantare

Nel crepuscolo del mattino la città coi suoi alberi le sue ciminiere
Nel crepuscolo del mattino gli alberi sono umidi le ciminiere tiepide
Nel crepuscolo del mattino carezzando l’asfalto
I primi passi attraversano la nostra stanza
E il primo rombo di motore
Il primo scoppio di risa
La prima imprecazione
Il primo vapore del carretto delle frittelle
E l’autista con gli stivali che entra nella latteria
E il bambino dei vicini che piange
La colomba del manifesto azzurro
Il manichino che sta in vetrina
Con le scarpine gialle
E i ventagli cinesi di legno di sandalo
E la bocca rossa della mia amata
Il più fresco il più felice di tutti i risvegli
Passa per la nostra stanza nel crepuscolo del mattino

Nel crepuscolo del mattino apro la radio
I metalli dai nomi di giganti si mescolano a cifre giganti
I pozzi di petrolio fanno a gara coi campi di granoturco
E il pastore decorato con la medaglia di Lenin
- ho visto la  sua fotografia in prima pagina
ha dei baffi neri pesanti che cadono in giù-
parla schermendosi come una fanciulla
poi si passa alle notizie del polo
e stamane alle sei
mentre il terzo sputnik compie l’8879° giro attorno alla terra
si aprono sul guanciale gli occhi grandissimi della mia rosa
sono ancora come laghi montani nella foschia
vi guizzano pesci azzurri
traspaiono pigne verdi nel fondo
guardano profondamente dritto
la fine del loro sogno scintillante nel crepuscolo
m’illumino
mi vedo e mi riconosco di nuovo
ho un po’ di vergogna
ma solo un poco
al mattino il crepuscolo nella nostra stanza
è come una vela pronta per il viaggio
come una vela chiara
la mia amata esce dal letto
nuda come un’albicocca
il letto nel crepuscolo del mattino
è bianco come la colomba del manifesto.

-Il crepuscolo del mattino- di N. Hikmet
i]... Fiore di scienza e libero pensiero, ancora senza nave e vela, senza veliero....[/i]
FdG

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« Risposta #2 il: 16 Dic 2004, 09:28 »
marmy, è una meraviglia...

Offline Darkside

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« Risposta #3 il: 16 Dic 2004, 09:45 »
Fuoco centrale di Mariangela Gualtieri.
Questa versione è tratta dal testo teatrale, in realtà la versione "letteraria" è diversa. Però in rete ho trovato solo questa, non ho il libro sottomano

--------------------------------------------------------------------------

Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo,
io sono sempre cinque minuti fa,
il mio dire è fallimentare,
io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo
all'essere e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo all'essere, all'essere e non lo so dire

io sono senza aggettivi, io sono senza predicati,
io indebolisco la sintassi, io consumo le parole,
io non ho parole pregnanti, io non ho parole
cangianti, io non ho parole mutevoli,
io non disarticolo, non ho parole perturbanti,
io non ho abbastanza parole, le parole mi si
consumano, io non ho parole che svelino, io non ho
parole che riposino,
io non ho mai parole abbastanza, mai abbastanza
parole, mai abbastanza parole

ho solo parole correnti, ho solo parole serie,
ho solo parole di mercato, ho solo parole
fallimentari, ho solo parole deludenti,
ho solo parole che mi deludono,
le mie parole mi deludono, sempre mi deludono
sempre sempre mi deludono, sempre mi mancano

io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo
all'essere e non lo so dire, non lo so dire, io
appartengo e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo all'essere, all'essere e non lo so dire

oh! ascolto!
oh! pazienza dell'udire!
oh! udire! udire!
oh! totalità!
oh! parola piena!
oh! perdita!
oh! perdita che mi caratterizzi!
oh! solitudine da cui parlo!
oh! essere! oh! esserci!
oh! cosa che non ti consumi!
oh! il tutto che ho dimenticato!
oh! discorso che non puoi essere tradito!
oh! discorso che non puoi essere tramandato!
oh! discorso che non puoi essere articolato!
oh! sapere! oh! verità!
oh! cangiante, tu, mutevole, tu sempre incinta!
oh! intelligenza dei sentimenti!
oh! il mondo della vita!

Offline fulgenzio

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« Risposta #4 il: 16 Dic 2004, 10:10 »
EDGAR ALLAN POE
IL CORVO


I.
Una volta in una fosca mezzanotte, mentre io meditavo, debole e stanco, sopra alcuni bizzarri e strani volumi d'una scienza dimenticata; mentre io chinavo la testa, quasi sonnecchiando - d'un tratto, sentii un colpo leggero, come di qualcuno che leggermente picchiasse - pichiasse alla porta della mia camera.
«È qualche visitatore - mormorai - che batte alla porta della mia camera.»
Questo soltanto, e nulla più.

II.
Ah! distintamente ricordo; era nel fosco Dicembre, e ciascun tizzo moribondo proiettava il suo fantasma sul pavimento.
Febbrilmente desideravo il mattino: invano avevo tentato di trarre dai miei libri un sollievo al dolore - al dolore per la mia perduta Eleonora, e che nessuno chiamerà in terra - mai più.

III.
E il serico triste fruscio di ciascuna cortina purpurea, facendomi trasalire - mi riempiva di tenori fantastici, mai provati prima, sicchè, in quell'istante, per calmare i battiti del mio cuore, io andava ripetendo: «È qualche visitatore, che chiede supplicando d'entrare, alla porta della mia stanza. Qualche tardivo visitatore, che supplica d'entrare alla porta della mia stanza; è questo soltanto, e nulla più».

IV.
Subitamente la mia anima divenne forte; e non esitando più a lungo:
«Signore - dissi - o Signora, veramente io imploro il vostro perdono; ma il fatto è che io sonnecchiavo: e voi picchiaste sì leggermente, e voi sì lievemente bussaste - bussaste alla porta della mia camera, che io ero poco sicuro d'avervi udito». E a questo punto, aprii intieramente la porta.
Vi era solo la tenebra, e nulla più.

V.
Scrutando in quella profonda oscurità, rimasi a lungo, stupito impaurito sospettoso, sognando sogni, che nessun mortale mai ha osato sognare; ma il silenzio rimase intatto, e l'oscurità non diede nessun segno di vita;
e l'unica parola detta colà fu la sussurrata parola «Eleonora!»
Soltanto questo, e nulla più.

VI.
Ritornando nella camera, con tutta la mia anima in fiamme; ben presto udii di nuovo battere, un poco più forte di prima.
«Certamente - dissi - certamente è qualche cosa al graticcio della mia finestra.»
Io debbo vedere, perciò, cosa sia, e esplorare questo mistero.
È certo il vento, e nulla più.

VII.
Quindi io spalancai l'imposta; e con molta civetteria, agitando le ali, si avanzò un maestoso corvo dei santi giorni d'altri tempi; egli non fece la menoma riverenza; non esitò, nè ristette un istante ma con aria di Lord o di Lady, si appollaiò sulla porta della mia camera, s'appollaiò, e s'installò - e nulla più.

VIII.
Allora, quest'uccello d'ebano, inducendo la mia triste fantasia a sorridere, con la grave e severa dignità del suo aspetto:
«Sebbene il tuo ciuffo sia tagliato e raso - io dissi - tu non sei certo un vile, orrido, torvo e antico corvo errante lontanto dalle spiagge della Notte dimmi qual'è il tuo nome signorile sulle spiagge avernali della Notte!»
Disse il corvo: «Mai più». (1)

IX.
Mi meravigliai molto udendo parlare sì chiaramente questo sgraziato uccello, sebbene la sua risposta fosse poco sensata - fosse poco a proposito; poichè non possiamo fare a meno d'ammettere, che nessuna vivente creatura umana, mai, finora, fu beata dalla visione d'un uccello sulla porta della sua camera, con un nome siffatto: «Mai più».

X.
Ma il corvo, appollaiato solitario sul placido busto, profferì solamente quest'unica parola, come se la sua anima in quest'unica parola avesse effusa.
Niente di nuovo egli pronunziò - nessuna penna egli agitò - finchè in tono appena più forte di un murmure, io dissi: «Altri amici mi hanno già abbandonato, domani anch'esso mi lascerà, come le mie speranze, che mi hanno già abbandonato».
Allora, l'uccello disse: «Mai più».

XI.
Trasalendo, perchè il silenzio veniva rotto da una risposta sì giusta:
«Senza dubbio - io dissi - ciò ch'egli pronunzia è tutto il suo sapere e la sua ricchezza, presi da qualche infelice padrone, che la spietata sciagura perseguì sempre più rapida, finchè le sue canzoni ebbero un solo ritornello, finchè i canti funebri della sua Speranza ebbero il malinconico ritornello:
«Mai, - mai più».

XII.
Ma il corvo inducendo ancora tutta la mia triste anima al sorriso, subito volsi una sedia con ricchi cuscini di fronte all'uccello, al busto e alla porta; quindi, affondandomi nel velluto, mi misi a concatenare fantasia a fantasia, pensando che cosa questo sinistro uccello d'altri tempi, che cosa questo torvo sgraziato orrido scarno e sinistro uccello d'altri tempi
intendea significare gracchiando: «Mai più».

XIII.
Così sedevo, immerso a congetturare, senza rivolgere una sillaba all'uccello, i cui occhi infuocati ardevano ora nell'intimo del mio petto; io sedeva pronosticando su ciò e su altro ancora, con la testa reclinata adagio sulla fodera di velluto del cuscino su cui la lampada guardava fissamente; ma la cui fodera di velluto viola, che la lampada guarda fissamente Ella non premerà, ah! - mai più!

XIV.
Allora mi parve che l'aria si facesse più densa, profumata da un incensiere invisibile, agiato da Serafini, i cui morbidi passi tintinnavano sul soffice pavimento,
«Disgraziato! - esclamai - il tuo Dio per mezzo di questi angeli ti ha inviato il sollievo - il sollievo e il nepente per le tue memorie di Eleonora! Tracanna, oh! tracanna questo dolce nepente, e dimentica la perduta Eleonora!»
Disse il corvo: «Mai più».

XV.
- «Profeta - io dissi - creatura del male! - certamente profeta, sii tu uccello o demonio! -
- «Sia che il tentatore l'abbia mandato, sia che la tempesta t'abbia gettato qui a riva, desolato, ma ancora indomito, su questa deserta terra incantata in questa visitata dall'orrore - dimmi, in verità, ti scongiuro
- «Vi è - vi è un balsamo in Galaad? dimmi, dimmi - ti scongiuro. -
Disse il corvo: «Mai più».

XVI.
- «Profeta! - io dissi - creatura del male! - Certamente profeta, sii tu uccello o demonio!
- «Per questo Cielo che s'incurva su di noi - per questo Dio che tutti e due adoriamo - di' a quest'anima oppressa dal dolore, se, nel lontano Eden, essa abbraccerà una santa fanciulla, che gli angeli chiamano Eleonora, abbraccerà una rara e radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Eleonora».
Disse il corvo: «Mai più».

XVII.
- «Sia questa parola il nostro segno d'addio, uccello o demonio!» - io urlai, balzando in piedi. «Ritorna nella tempesta e sulla riva avernale della notte! Non lasciare nessuna piuma nera come una traccia della menzogna che la tua anima ha profferita! Lascia inviolata la mia solitudine! Sgombra il busto sopra la mia porta!
Disse il corvo: «Mai più».

XVIII.
E il corvo, non svolazzando mai, ancora si posa, ancora è posato sul pallido busto di Pallade, sovra la porta della mia stanza, e i suoi occhi sembrano quelli d'un demonio che sogna; e la luce della lampada, raggiando su di lui, proietta la sua ombra sul pavimento, e la mia, fuori di quest'ombra, che giace ondeggiando sul pavimento non si solleverà mai più!
ANCHE UN TANUKI PUO’ SORPRENDERE UNA TIGRE CHE DORME.

Offline Squall84Leonheart

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« Risposta #5 il: 16 Dic 2004, 11:19 »
Ungaretti

Soldati

Si sta come
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Gioco su travian3 s1 nick Baci e Abbracci

Offline EGO

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« Risposta #6 il: 16 Dic 2004, 12:58 »
"Il corvo" avrebbe dovuto essere postato in originale, ha una musicalità straordinaria.

Offline fulgenzio

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« Risposta #7 il: 16 Dic 2004, 13:02 »
Citazione da: "EGO"
"Il corvo" avrebbe dovuto essere postato in originale, ha una musicalità straordinaria.


basta chiedere........

The Raven
by Edgar Allan Poe
First Published in 1845

Once upon a midnight dreary, while I pondered, weak and weary,
Over many a quaint and curious volume of forgotten lore,
While I nodded, nearly napping, suddenly there came a tapping,
As of someone gently rapping, rapping at my chamber door.
" 'Tis some visitor," I muttered, "tapping at my chamber door;
Only this, and nothing more."

Ah, distinctly I remember, it was in the bleak December,
And each separate dying ember wrought its ghost upon the floor.
Eagerly I wished the morrow; vainly I had sought to borrow
From my books surcease of sorrow, sorrow for the lost Lenore,.
For the rare and radiant maiden whom the angels name Lenore,
Nameless here forevermore.

And the silken sad uncertain rustling of each purple curtain
Thrilled me---filled me with fantastic terrors never felt before;
So that now, to still the beating of my heart, I stood repeating,
" 'Tis some visitor entreating entrance at my chamber door,
Some late visitor entreating entrance at my chamber door.
This it is, and nothing more."

Presently my soul grew stronger; hesitating then no longer,
"Sir," said I, "or madam, truly your forgiveness I implore;
But the fact is, I was napping, and so gently you came rapping,
And so faintly you came tapping, tapping at my chamber door,
That I scarce was sure I heard you." Here I opened wide the door;---
Darkness there, and nothing more.

Deep into the darkness peering, long I stood there, wondering, fearing
Doubting, dreaming dreams no mortals ever dared to dream before;
But the silence was unbroken, and the stillness gave no token,
And the only word there spoken was the whispered word,
Lenore?, This I whispered, and an echo murmured back the word,
"Lenore!" Merely this, and nothing more.

Back into the chamber turning, all my soul within me burning,
Soon again I heard a tapping, something louder than before,
"Surely," said I, "surely, that is something at my window lattice.
Let me see, then, what thereat is, and this mystery explore.
Let my heart be still a moment, and this mystery explore.
" 'Tis the wind, and nothing more."

Open here I flung the shutter, when, with many a flirt and flutter,
In there stepped a stately raven, of the saintly days of yore.
Not the least obeisance made he; not a minute stopped or stayed he;
But with mien of lord or lady, perched above my chamber door.
Perched upon a bust of Pallas, just above my chamber door,
Perched, and sat, and nothing more.

Then this ebony bird beguiling my sad fancy into smiling,
By the grave and stern decorum of the countenance it wore,
"Though thy crest be shorn and shaven thou," I said, "art sure no craven,
Ghastly, grim, and ancient raven, wandering from the nightly shore.
Tell me what the lordly name is on the Night's Plutonian shore."
Quoth the raven, "Nevermore."

Much I marvelled this ungainly fowl to hear discourse so plainly,
Though its answer little meaning, little relevancy bore;
For we cannot help agreeing that no living human being
Ever yet was blessed with seeing bird above his chamber door,
Bird or beast upon the sculptured bust above his chamber door,
With such name as "Nevermore."

But the raven, sitting lonely on that placid bust, spoke only
That one word, as if his soul in that one word he did outpour.
Nothing further then he uttered; not a feather then he fluttered;
Till I scarcely more than muttered, "Other friends have flown before;
On the morrow he will leave me, as my hopes have flown before."
Then the bird said, "Nevermore."

Startled at the stillness broken by reply so aptly spoken,
"Doubtless," said I, "what it utters is its only stock and store,
Caught from some unhappy master, whom unmerciful disaster
Followed fast and followed faster, till his songs one burden bore,---
Till the dirges of his hope that melancholy burden bore
Of "Never---nevermore."

But the raven still beguiling all my sad soul into smiling,
Straight I wheeled a cushioned seat in front of bird, and bust and door;
Then, upon the velvet sinking, I betook myself to linking
Fancy unto fancy, thinking what this ominous bird of yore --
What this grim, ungainly, ghastly, gaunt and ominous bird of yore
                                       Meant in croaking "Nevermore."

Thus I sat engaged in guessing, but no syllable expressing
To the fowl, whose fiery eyes now burned into my bosom's core;
This and more I sat divining, with my head at ease reclining
On the cushion's velvet lining that the lamplight gloated o'er,
But whose velvet violet lining with the lamplight gloating o'er
She shall press, ah, nevermore!

Then, methought, the air grew denser, perfumed from an unseen censer
Swung by seraphim whose footfalls tinkled on the tufted floor.
"Wretch," I cried, "thy God hath lent thee -- by these angels he hath
Sent thee respite---respite and nepenthe from thy memories of Lenore!
Quaff, O quaff this kind nepenthe, and forget this lost Lenore!"
Quoth the raven, "Nevermore!"

"Prophet!" said I, "thing of evil!--prophet still, if bird or devil!
Whether tempter sent, or whether tempest tossed thee here ashore,
Desolate, yet all undaunted, on this desert land enchanted--
On this home by horror haunted--tell me truly, I implore:
Is there--is there balm in Gilead?--tell me--tell me I implore!"
Quoth the raven, "Nevermore."

"Prophet!" said I, "thing of evil--prophet still, if bird or devil!
By that heaven that bends above us--by that God we both adore--
Tell this soul with sorrow laden, if, within the distant Aidenn,
It shall clasp a sainted maiden, whom the angels name Lenore---
Clasp a rare and radiant maiden, whom the angels name Lenore?
Quoth the raven, "Nevermore."

"Be that word our sign of parting, bird or fiend!" I shrieked, upstarting--
"Get thee back into the tempest and the Night's Plutonian shore!
Leave no black plume as a token of that lie thy soul hath spoken!
Leave my loneliness unbroken! -- quit the bust above my door!
Take thy beak from out my heart, and take thy form from off my door!"
Quoth the raven, "Nevermore."

And the raven, never flitting, still is sitting, still is sitting
On the pallid bust of Pallas just above my chamber door;
And his eyes have all the seeming of a demon's that is dreaming.
And the lamplight o'er him streaming throws his shadow on the floor;
And my soul from out that shadow that lies floating on the floor
Shall be lifted---nevermore!
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Offline iusestrars

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« Risposta #8 il: 16 Dic 2004, 13:23 »
Citazione da: "Squall84Leonheart"
Ungaretti

Soldati

Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.


da sempre la mia preferita
ius est ars boni et aequi
 "La diagnosi pre-impianto svelerà il disabile che è in ognuno di noi"  W. grazie per aver detto: "no human life should ever be produced and destroyed for the benefit of another."

Offline bubbo

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« Risposta #9 il: 16 Dic 2004, 14:40 »
Eugenio Montale. Meriggiare pallido e assorto.

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d' orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch' ora si rompono ed ora s' intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com' é tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
bubbo

Offline Lampofinale

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« Risposta #10 il: 16 Dic 2004, 14:51 »
Spleen di Charles Baudelaire

Quando come un coperchio il cielo pesa
grave e basso  sull'anima gemente
in preda a lunghi affanni, e quando versa
su noi, dell'orizzonte tutto il giro
abbracciando, una luce nera e triste
più delle notti; e quando si è mutata
la terra in una cella umida, dove
se ne va su pei muri la Speranza
sbattendo la sua timida ala, come
un pipistrello che la testa picchia
su fradici soffitti; e quando imita
la pioggia, nel mostrare le sue striscie
infinite, le sbarre di una vasta
prigione, e quando un popolo silente
di infami ragni tende le sue reti
in fondo ai cervelli nostri, a un tratto
furiosamente scattano campane,
lanciando verso il cielo un urlo atroce
come spiriti erranti, senza patria,
che si mettano a gemere ostinati.
E lunghi funerali lentamente
senza tamburi sfilano né musica
dentro l'anima: vinta, la Speranza
piange, e l'atroce Angoscia sul mio cranio
pianta, despota, il suo vessillo nero.

Offline Gold_E

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« Risposta #11 il: 16 Dic 2004, 14:54 »
Poesia 1

Niente fa più rumore
del silenzio
nel dolore
Niente  è più uguale
alla pace
di quest' urlo
che tace


Poesia 2

Gocce d'azzurro
in mezzo al tuo viso
e il cielo in quegl' occhi
dà luce al sorriso
Nel cuore rintocchi
di cose d'immenso
e lampi d'azzurro
se solo ti penso

Queste due poesie sono tratte da "Quest'urlo che tace", il numero 22 del fumetto Julia. Non so se sono di qualche poeta famoso o le ha inventate G. Berardi, comunque a me paicciono un casino..
GOLD EXPERIENCE REQUIEM POTERI:                         
Le sue emanazioni azzerano il potere, le azioni e la volontà di chi lo attacca. Chi resta colpito fisicamente da Requiem vede la propria morte riportata a zero, e continua a riviverla ogni volta.

Offline marmy

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« Risposta #12 il: 16 Dic 2004, 15:25 »
Il vino sa rivestire il più sordido tugurio d'un lusso miracoloso e  
innalza portici favolosi nell'oro del suo rosso vapore, come un  
tramonto in un cielo annuvolato.

L'oppio ingrandisce le cose che già non hanno limite, allunga  
l'infinito, approfondisce il tempo, scava nella voluttà e riempie l'anima  
al di là delle sue capacità di neri e cupi piaceri.
 
Ma tutto ciò non vale il veleno che sgorga dai tuoi occhi, dai tuoi  
occhi verdi, laghi in cui la mia anima trema specchiandovisi  
rovesciata... I miei sogni accorrono a dissetarsi a quegli amari abissi.  

Tutto questo non vale il terribile prodigio della tua saliva che morde,  
che sprofonda nell'oblio la mia anima senza rimorso, e trasportando
la vertigine, la rotola estinta alle rive della morte!

Il veleno - Baudelaire


Amo questa poesia.... :oops:  :oops:  :oops:
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Offline Darkside

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« Risposta #13 il: 16 Dic 2004, 15:29 »
Bella :D
Adesso mi faccio prestare qualcosa di Baudelaire. Purtroppo ho un rapporto di amore(1mese) e odio (11 mesi) con la poesia.

Offline marmy

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« Risposta #14 il: 16 Dic 2004, 15:45 »
Citazione da: "Darkside"
Bella :D
Adesso mi faccio prestare qualcosa di Baudelaire. Purtroppo ho un rapporto di amore(1mese) e odio (11 mesi) con la poesia.


Non so gli altri che rapporto hanno con Baudelaire, ma io non riesco a leggere più di una quarantina di poesie al giorno, perchè mi deprime un po'... cerca di leggerlo lentamente (magari nell'arco del mese favorevole!), così lo gusterai in pieno!

Ciau!
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