Finito in modo “completo”, tante e deliziose ore.
Non saprei come declinare il videogioco in maniera migliore. Mistero. Stupore. Intrigo. Giocabilità. Difficoltà. Precisione. Pulizia. Meccaniche cristalline. Longevità adeguata. Senso di appagamento.
Returnal sviluppa nel giocatore competenze, che definirei circolari, bisogna imparare a imparare.
Il gioco prevede che il giocatore sappia sparare e muoversi in modo adeguato rispetto alla natura dei nemici, sempre piuttosto aggressivi e totalizzanti nell’approccio ma sempre leggibili e chiari nelle modalità di attacco. Il comportamento degli avversari, la loro diversificazione nel corso dei diversi biomi impone al giocatore l’acquisizione di pattern e ingaggio, pur nella casualità del loro comportamento specifico. Si tratta di un gioco di abilità arcade, pura ed esemplare, perfettamente declinata secondo le ascendenze di Housemarque come softco rappresentativa di un mondo, quello tra la fine degli anni ’80 e gli inizi di ’90.
Un periodo di esperienze ludiche perfettamente compiute e mature che rappresenta ancora oggi una vera e propria miniera di ispirazioni e suggestioni. Si chiama in causa quella competenza del fare e dell’agire che di base rappresenta l’apporto che il giocatore può dare alla pragmatica del videogioco.
Returnal è un titolo che esige tanto dall’utenza, anche al di là del mero dato prestazionale e manuale. La prima e più rilevante qualità consiste nel privare il giocatore di tutorial invasivi e spiegazioni ridondanti atte ad appesantire le traversate e imporre senso derivativo. Al contrario, fedele al genere di esperienza spaziale/esplorativa che si propone, il titolo lascia il giocatore solo e smarrito al cospetto di luoghi, siti, strumenti e meccanismi il cui significato è perlopiù oscuro. Solo provando a nostro rischio e pericolo, sperimentando sulla propria pelle e acquisendo informazioni concrete e spendibili di questo mondo ostile si potranno costruire strategie utili per ricominciare con una rinnovata consapevolezza. In un settore come il nostro, sempre più votato alla sussidiarietà esecutiva, anche per questioni che sarebbe bello e stimolante risolvere da soli,
Returnal rispolvera la gloriosa tradizione ludica che poneva il giocatore al centro della sua personale esperienza a cavarsela in un mondo ostile e a regolarsi di conseguenza. Si tratta anche di una questione estetica e di cromatismi, il fascino misterioso di un mondo da ricostruire, della semplicità dell'impianto di gioco da sostanziare con la bravura e, infine, con la qualità intrinseca della sfida. Il videogioco incosciente e a tratti frustrante di
The Sacred Armour of Antiriad, di
Zamzara, di
Hawkeye, di
Draconus, di
Project Firestart e tanti di quei misteriosi arcade a scenario aperto dai contorni indefiniti e dal magnetismo perverso. Ma, nondimeno, una filosofia videoludica che restituisce al videogioco il suo nobile status ricreativo attraverso l’offerta di un problema che insegni il dispositivo dell’errore e dell’esperienza. A livello di pensabilità, sono delizie che Housemarque non improvvisa, anzi, ricerca e propone con tutta la forza del miglioramento personale che da sempre distingue il videogioco dalle esperienze più o meno interattive.
Il titolo si basa sul concetto di
equip come variabile aleatoria delle diverse partite. Sulla questione del rapporto tra casualità e bravura ci torno dopo, quello che mi preme sottolineare qui è la profondità tattica che il titolo esige e tira fuori lentamente dal principio euristico del fallimento.
Returnal ha molte armi che si adattano allo stile del giocatore, alcune sono più semplici e “classiche” per così dire, altre sono più originali e di difficile utilizzo, almeno al principio. L’uso e la familiarità con esse permette di rendersi conto dell’enorme lavoro di cesello e di equilibrio, e al termine dell’esperienza ogni arma trova la sua ragione d’essere e personalizzazione. Non solo, il gioco è metadiegeticamente un’esperienza di strumenti da scoprire, rinvenire e usare, promuovendo quell’idea di “build” che può davvero cambiare sapore al gioco. Il riconoscimento spazio-temporale degli oggetti, previo sbloccaggio (senso ricreativo a mezzo soddisfazione), la scelta strategica di tenere un oggetto sacrificandone un altro e rivedere il tutto alla luce delle risorse accumulate è davvero un aspetto riuscito. Galvanizzante al punto che, più o meno inconsciamente, costruisce il meccanismo di assuefazione in concreto, tenendo la gente attaccata a questo gioco per ore. La struttura ideata dai programmatori ha del miracoloso e riesce a sopperire alla mancanza di concettualizzazione che si trova tra il “roguelike” e il “roguelite”, introducendo, di fatto, il valore dell’abilità personale a compensare l’acquisizione random degli strumenti. Non esistono partite storte in
Returnal, se il giocatore gioca concentrato e focalizzato; non esistono partite fortunate e facilitate se il giocatore non si cura delle proprie prestazioni; infine, l’unione delle due istanze positive crea quelle partite perfette che permettono di vincere un bioma con classe e naturalezza. Boss permettendo, davvero buoni.
Una partita a
Returnal può durare 2 ore ma quella partita, lunga, estenuante e difficile, può portare la prossima a durare mezz’ora ottenendo lo stesso risultato. Fin quando non si prova il gioco questo concetto non può essere capito, il titolo è pensato per essere dilatato e contratto in base alle decisioni del giocatore. Prepararsi bene? Allora si esplorano i biomi dal principio. Voglio tornare nel punto esatto in cui sono morto? Il gioco lo permette ma poi devi essere capace di compensare con le tue forze. Il risultato non è mai scontato ma, incredibilmente, è sempre corretto. Ecco perché
Returnal è una droga, spinge al meglio e spinge a stressare il sistema. L’unica critica che mi sentirei di muovere è quella del ricorso alla sospensione della partita grazie alle caratteristiche della console, il gioco non prevede alcun sostegno in tal senso e, purtroppo, non tutti potrebbero avere il tempo da dedicare a un gameplay così esigente. Il biasimo consiste proprio nella soluzione, esterna al gioco e concettualmente forzata.
La sua natura procedurale è mascherata da una composizione a blocchi tematici che mischia e ricompila i medesimi elementi per permettere al giocatore di orientarsi senza soffrire sempre le stesse dinamiche. Un lavoro massiccio e imponente, con elementi estetici significativi e affascinanti. I biomi sono variazioni derivate da significativi film di fantascienza
(Alien, Prometheus, Alien Covenant, Interstellar, Solaris ecc.) e ambientazioni aliene di stampo letterario (la foresta, la cittadella morta, la superficie desertica e così via), il tutto in modo molto semplice ma artisticamente eccelso. Come già detto,
Returnal è un gioco che strizza l’occhio alla grande tradizione di ludica della seconda metà degli anni ’80 e i primi anni dei ’90 e lo fa anche da un punto di vista prettamente estetico/visivo. All’interno delle sue scelte grafiche e di genere si possono trovare decine e decine di riferimenti a quel mondo e a quella cultura, in un modo così gratificante da sfiorare la commozione, soprattutto se si ha qualche anno di più. Il pensiero corre alle copertine dei giochi Psygnosis di Peter Andrew Jones, quella commistione biomeccanoide tra “l’assolutamente altro” e la stilizzazione antropologica delle nostre fattezze in contesti che ne trasformino il senso.
In una parola “fantascienza”. Anche in questo caso giova ricordare gli spazi di maturazione del team che ha dato i natali al gioco e l’idea di
space opera tattile, pioneristica e scevra dal concetto di virtualità e smaterializzazione che dalla fine degli anni ’90 in poi ha preso piede all’interno dei mondi immaginifici e narrativi.
Returnal è un gioco che parla con il suo ambiente e questo ci porta inevitabilmente a discutere di narrativa.
La storia di
Returnal è davvero preziosa. Non è originale in sé ma è gustosamente citazionista ma in questo frangente voglio citare il maestro
@The Metaller:
Ma infatti credo che il vg funzioni bene a livello narrativo quando consegna un ruolo attivo al giocatore.
Ecco, riassumendo, penso che il vg, più che adatto a raccontare belle storie in senso stretto, sia il solo medium capace di metterti la penna in mano consegnandoti un ruolo attivo in una fitta rete input/output più o meno gradevole a seconda di quanto allestito dai designers.
Poi sì, anche nel vg con storytelling passivo a la maniera di altri media ci sta il bello e il brutto, con tante sfumature di grigio in mezzo.
E comunque son del parere che né vg, né cinema necessitino di buona scrittura per raccontarsi bene. Ideologicamente, e gli esempi non mancano su ambo i fronti, bastano esperienze di puro gameplay (lato vg) e di pura regia (lato cinema) per assolvere il compito con dignità, consegnando qualcosa che non patisca la sudditanza dalla letteratura, in primis per la diversità di mezzo espressivo.
Nel momento in cui ti esponi, con scrittura in senso stretto, pretendendo di impegnare il mio tempo, o lo fai in maniera accettabile o lascia stare.
Esattamente questo e non avrei saputo dirlo meglio.
Returnal consegna nelle mani del giocatore i mezzi per ricostruire, svelare e infine accettare il destino di Selene in un pianeta che si chiama Atropo, dal nome di una delle Moire che reca in sé il concetto di “in nessun modo” e “non si può evitare", opportuno sfondo alle vicende del gioco. La posta in palio è altissima, la ricompensa è una vita che abbia davvero senso e significato e il gioco, nel suo dipanarsi, non lesina colpi di scena, momenti emotivi e clamorosi cambi di campo. La peculiare agnizione a cui è soggetta la protagonista si distende in abissali proiezioni dell’essere e il tutto si avviluppa in una disarmonia romanzesca e mitizzante. Lo storia del destino di un essere umano al cospetto del mistero della morte, in una fine del mondo senza fine, il suo, di Atropo. Ma la fine del mondo non coincide per caso con la fine della nostra stessa vita? Non è il caso di rivelare oltre e a mio avviso meriterebbe un approfondimento filosofico. Ebbene, nemico dopo nemico, ambiente dopo ambiente e attraverso delle significative epifanie,
Returnal ottempera al suo scopo,
il videogioco che racconta una storia con i suoi propri mezzi e non il contrario.E di questi tempi non è poco. Complimenti a
@Ivan F. per aver reso la storia al meglio.
Bene, un gioco eccellente per un titolo che dona senso e significato a questo inizio generazione. Per adesso se la deve vedere con
Ghost’n Goblins Resurrection per il titolo di
GOTY.