Allora è un po’ difficile parlare del qui presente
Astral Chain in senza incappare in qualche forma di incongruenza e incoerenza. Di fatto si tratta del solito grandissimo, colossale ed eccezionale lavoro di Platinum Games. Dall’altro, andando a considerare il prodotto attraverso i suoi singoli elementi, forse non c’è davvero nulla che possa spiccare e convincere in maniera davvero piena. Delle sue qualità stilistiche ed estetiche poco si può dire oltre al plauso incondizionato per quello che è, a conti fatti, un mirabile contenitore che cita qualche dozzina di opere prime giapponesi con un andamento che a me ricorda più la discorsività di un manga piuttosto che un’opera audiovisiva. Ambientazioni curatissime, forse un po’ abusate per quanto vissute da diversi punti di vista. Credo che lo scopo fosse quello di rendere credibili i luoghi e strutture attraverso una familiarità continua. Con delle cutscene di assoluto pregio dal maestro Katsura (un po’ ingessato rispetto alla sua tipica fisicità) e una colonna sonora non nelle mie corde ma ricercata.
Allora perché è un gioco tutto sommato divisivo, a leggere per i forum oppure a sentire l’opinione personale di molti videogiocatori? Di base, Platinum propone un nuovo modello di beat ‘em up a scorrimento che vada oltre le loro esperienze già digerite. Facendo scelte coraggiose e cambio di paradigma, il problema è capire se queste risoluzioni si siano rivelate tutte vincenti. Per quanto mi riguarda, antepongo per una volta, all’analisi, il giudizio soggettivo: per me
Astral Chain è un gioco riuscito nella misura in cui se ne recepiscano le novità in chiave universale e non specializzata. Più in soldoni, a me il gioco è piaciuto, tanto da passarci più di 150 ore con numerose run e approfondimento di tutte le sfide che di volta in volta si sono offerte. Più ci giocavo e più mi convinceva, più mi convinceva e più ne giustificavo gli aspetti salienti che, tassello dopo tassello, ne costituivano la complessa trama.
Astral Chain appartiene a quella categoria di gioco che definirei olistica, è l’insieme che funziona, sono le parti che si sostanziano, snodi e intermezzi sono pensati e saggiati per solleticare centri d’interesse diversi nel giocatore, atti ad affrescare un’opera rotonda, piena, pesante nel senso di imponenza pur tuttavia composta di tanti elementi apparentemente distonanti. È la filosofia di
God of War 2018 e di tanti altri giochi che sommano modelli ricreativi apparentemente inconciliabili per non annoiare il giocatore con un gameplay specializzato. Ma il tema è proprio quello, ossia quale tipo di giocatore dovrebbe avvicinarsi a questo gioco con la giusta mentalità e con la consapevolezza adatta a fruirne le qualità. Poiché ci sono giocatori che vogliono gameplay focalizzato.
Per questo motivo temo che le qualità di
Astral Chain e i suoi difetti coincidano. Prima di ogni cosa c’è questa filosofia compartimentata di aspetti, meccaniche e modelli che vengono sbloccati e rilasciati gradualmente nel corso della prima run, praticamente fino al termine. Questo dimostra la ricchezza del titolo dal punto di vista dell’organizzazione e della pianificazione ed è sicuramente un bene. Dall’altro, per tutti quelli che vivono il videogioco come esperienza unica e significativa, praticamente una sola volta non è sufficiente a mettere tutte le carte sul tavolo. Ed è anche difficile rendersi competenti e perfezionarsi visto che il titolo diluisce la portata ludica della parte prettamente action con inserti di qualsivoglia genere di cui parleremo dopo. Ecco, questo prevalentemente,
Astral Chain è un gioco di lenta assimilazione e di lunga percorribilità, da incrementare con partite progressive a livelli di difficoltà superiori. Se si è disposti (previo piacere ovviamente) a sottostare a questa ottica, il titolo è capace di tirare fuori un’anima da combat game di tutto rispetto, nel suo tentativo di allargare il genere ai neofiti. Anche e soprattutto perché si tratta complessivamente di un’esperienza rarefatta e “leggera”, nell’accezione positiva della cosa.
E parliamone di questo sistema di combattimento di cui Platinum, si sa, è maestra. Ecco, trovo che il fluire della lotta sia in parte adulterato dalla particolare configurazione di controllo che il titolo propone, che si unisce alla tempistica di attacco/difesa/tempi di reazione di giocatore e nemici. Penso allo slash, che obbliga a una farraginosa concatenazione di input che rende il discorrere delle schermaglie più faticoso di quanto serva. Ma se combatti ogni mezz’ora (eufemismo) la consapevolezza del giocatore non può diventare anche assimilazione, a causa della poca pratica che in effetti si può fare. Diciamo la verità, l’apparato complessivo e generale è davvero più semplice di quello che ci si aspetterebbe da un gioco di questa casa di sviluppatori. Però semplice non vuol dire limitato e neanche mancante, anzi Il gioco non è privo di finezze e di un graduale senso di controllo da cui deriva un decisivo appagamento. Per quanto sia la mappatura dei comandi che input dei legion siano ridondanti, Il gioco presenta davvero un’ottima selezione di nemici che diventano interessanti e sfidanti soprattutto ad Ultimate. La generosità del sistema di valutazione secondo me è da intendersi in chiave di manifesto, non vuole essere un gioco problematicamente inserito nel solco di un action game alla stregua di
DMCV, anzi vuole proprio discostarsene filosoficamente.
In realtà il valore aggiunto di
Astral Chain consista proprio nella rimozione della memorizzazione dei pattern tipici del genere, a favore di una simmetrica configurazione di controllo che viene mandata a mente molto in fretta e con facilità. Con effetti positivi e negativi in base a come si valuti la questione. Il risultato è immediatamente più divertente e soprattutto innovativo rispetto agli altri picchiaduro specializzati del genere di epoca contemporanea e non costringe il giocatore a lunghe sessioni di studio di determinate stringhe di comandi. Piuttosto, nel procedere del gioco, l’economia prestazionale del comando dato al momento giusto e con la giusta efficacia rappresenta il dispositivo competente che rende la curva di apprendimento piuttosto interessante. Gli strumenti offensivi e difensivi in dotazione (o che si rendono tali procedendo) sono pensati, calibrati e realizzati per personalizzare determinate strategie di gioco attraverso una comune interfaccia. Ecco il motivo del contendere. Ci troviamo davvero agli antipodi per rispetto ad una filosofia picchiaduristica tipica di
Devil may cry. Oppure
Sekiro. Per non parlare di
Ninja Gaiden. Per certi versi somiglia a quei prodotti di Platinum Games un po’ più di seconda fascia, mi viene in mente
Transformers: Devastation.
Ora, chiariamoci, Il gioco allo stato attuale può essere definito come una sorta di diamante grezzo. Ossia il suo nucleo ricreativo, la sua offerta, gli elementi che lo compongono e la presentazione del pacchetto ecc. possono essere senz’altro ricondotti a un livello di qualità che definirei all’altezza. La dimensione grezza e assolutamente perfettibile si riferisce invece a tutti quegli aspetti non perfettamente compiuti, abbozzati. Leggevo alcune critiche di
@Zefiro e
@xPeter e non posso trovarle destituite di verità, è davvero possibile che per qualche tipologia di giocatore il fastidio provato sia direttamente proporzionale alla sommatoria di varie componenti di gioco non del tutto integrate e compiute. Il ritmo di gioco è disomogeneo e oltre a questo il problema è dato dalle altre parti, non necessariamente di combattimento. Tutta roba che, in un ipotetico secondo capitolo oppure nei prossimi giochi sul tema di Platinum, dovrebbe essere quanto meno ripensata e sostanziata. Oppure omessa, con il rischio però di modificare decisamente il senso globale dell’esperienza.
Faccio riferimento soprattutto al tenore medio delle missioni secondarie, che davvero rappresenta un manifesto trasversalmente riconoscibile di tutto quello che non funziona nel gaming nipponico, inteso in modo variabile. Non so quanto siano scusabili questi compiti così elementari, non perfettamente a fuoco rispetto al contesto, semplificati, votati a ispessire un monte ore di gioco che davvero non ne avrebbe bisogno. Fanno un po’ temere per la consapevolezza e per la bontà del progetto, visto che la quantità spesso supera la qualità. Esempio, la questione riguardante le incursioni nel piano astrale. Di per sé sono piuttosto limitate, spesso pretestuose e con poca dinamica al loro interno. Non ho difficoltà a credere che qualcuno le abbia trovate estenuanti. Di fatto, invece, è un modo per sostanziare incredibilmente Il rapporto tra giocatore e legion, per mettere a sistema una maggior consapevolezza delle loro caratteristiche, sia sul piano ideale e successivamente tradotto sul piano esecutivo. E la stessa identica cosa vale per le sezioni investigative, piccoli intermezzi narrativi e discorsivi che in realtà hanno il preciso scopo di rendere più credibile il mondo sospendendo l’attrattiva principale del titolo.
Però, appunto, non mi sembrano critiche campate in aria. Se dovessi giudicarle singolarmente, queste diverse fasi/sezioni, credo che ci troveremmo di fronte a uno dei titoli più mediocri di Platinum. I conti con
Astral Chain si fanno in questo frangente e ci si divide tra quelli che trovano il tutto perfettamente pensato e chi no.
Io sono un sostenitore di questo gioco ma ne comprendo bene le criticità. Però, allo stesso tempo, lo considero un’esclusiva molto interessante dell’universo Switch, da giocare e conoscere.