Platinato. 180 ore. 420.000 like. E sto.
Considerazioni finali:
Death Stranding è un gioco estremamente furbo. Gli obiettivi che si era prefisso Kojima per questo titolo erano due: trasmettere il mistero, la solitudine e la fatica di un viaggio in una terra ostile e desolata, e controbilanciare poi il tutto con la scoperta e la consapevolezza di non essere, in fondo in fondo, così soli. C'era però un problema a monte da risolvere: le motivazioni del giocatore. Non si può portare quel tipo di esperienza al grande pubblico senza delle motivazioni che spingano i giocatori a intraprendere quei viaggi.
Ora, le motivazioni intrinseche ("voglio riconnettere il mondo", "voglio esplorare", "voglio aiutare gli altri porter") in DS non funzionano un granché: le ragioni fornite nel proseguimento della missione/storia sono spesso pretestuose, l'esplorazione non è incentivata da luoghi che catturino l'attenzione, l'aiuto ad altri porter - inteso come disinteressato - probabilmente non avrebbe attecchito.
Ecco quindi che Kojima è dovuto ricorrere alle motivazioni estrinseche. In linea con il discorso sull'ossitocina affrontato nel gioco, il giocatore è letteralmente bombardato di gratificazioni: i like dagli altri porter, le ricompense dei prepper, la valutazioni generose, lusinghe e adulazioni in ogni mail o dialogo. I compiti (che sia una consegna o la costruzione di un'autostrada) danno sempre la sensazione di essere affrontabili con un piccolo sforzo in più.
Le motivazioni estrinseche sono un mezzo estremamente potente. È lo stesso meccanismo con il quale funzionano i free-to-play, da Fortnite a FarmVille. È lo stesso meccanismo dei trofei/achievements. Funzionano perché fanno appello a certi processi mentali che lavorano a un livello inferiore a quello cosciente; e lo fanno talmente bene che illudono me giocatore di stare facendo quelle attività non "perché devo", ma "perché voglio". Gran parte di noi ha avuto l'impressione di aver maturato una certa dipendenza da DS. Gran parte di noi, sono pronto a scommetterci, quando era il momento di staccare si diceva "faccio questa consegna e poi spengo" e puntualmente si ritrovava due ore dopo, pad alla mano, a chiedersi come avesse fatto il tempo a passare così in fretta. Sono campanelli d'allarme. Sono segnali che vanno interpretati, perché non necessariamente significa che ci si stia divertendo.
Il vero problema di DS è tutto qui, secondo me: ci si muove molto ma smuove poco dentro. Ed è un peccato che Kojima abbia dovuto ricorrere così tanto a quel tipo di motivazioni per dare una struttura al suo titolo (che non significa che sia stato facile realizzarlo, intendiamoci; solo che, a stimoli finiti, lascia un certo vuoto).
In questo senso Death Stranding è un gioco sì originale (nell'immaginario, nelle intenzioni) ma molto poco innovativo, perché fa leva su meccanismi ormai estremamente rodati (e in un certo senso nocivi) che lo accomunano alle produzioni più sterili.