Grazie a Turrican3 per aver creato il topic!
Allora, provando a mettere insieme il discorso...
Io provengo da una generazione manichea dal punto di vista dell’approccio al gioco, dai coinop s’è passati a console casalinghe come sistema chiuso, a cui si contrapponeva la provvisorietà, a volte di prestazioni e altre di tenuta, dei computer casalinghi. Questi trovano nella flessibilità della configurazione (un pregio, di fatto) il sospetto che il gioco, nella sua forma “tecnicamente oggettiva” fosse il frutto di compromessi dettati dall’hardware di riferimento. E anche il suo contrario, in un contesto che si trova a spingere la vendita di schede grafiche in virtù delle configurazioni (ora minime ma spesso anche ottimali) del gioco del momento, si crea un a dinamica viziata in cui lo sfruttamento saggio ed economo delle risorse è tutto fuorché ricercato ed auspicato. Questo ha creato, con alterne fasi, un rapporto conflittuale col gaming via computer che, dalle simmetrie accettabili dei lustri C16, C64/Spectrum e Amiga/Atari ST, è poi confluito nel Personal Computer, feticcio delle dinamiche “malate” evidenziate poco sopra.
Non è mai mancato un Pc a casa mia e ogni tanto lo boosto quel tanto per non rimanere indietro ma fino a questo momento ho preferito il risultato “ottimizzato” a quello “infinitamente ottimale”, dove il primo è facilmente determinabile dal possesso di una sola console o dalla scelta della versione migliore tra tutte, mentre il secondo è un processo di indefinibile insoddisfazione a causa delle numerose variabili. Oltre, in effetti, a tutti gli aspetti collaterali che storicamente distinguono il gaming Pc da quello console (televisore, controller, logistica ecc.)
Ma, potendo scegliere e se si gradisce, perché no? Giocare un titolo nella sua forma più smagliante significa goderne il risultato in modo più compiuto. Ma tra giochi di un medesimo periodo (quando non si tratti proprio dello stesso titolo) sarebbe interessante capire se tra un 30 fps/720 e un 60 fps/1080 (per dire) si intenda un’intera generazione tecnologico-ludica tale da giustificare giudizi diversificati.
Sì. No. Forse. Boh. Parliamone.
Fin qui giocare con una console significava muoversi all’interno di una forza computazionale compartimentata e limitata, quella sorta di recinto entro cui arrangiarsi. Che, in realtà, è sempre stato il motivo per cui le console hanno tenuto botta rispetto ai numeri superiori di un Pc di alta fascia. Razionalizzare i mezzi e lavorare sul metallo, in modo tale da produrre nuove emozioni e allo stesso tempo tracciare efficacemente il cammino evolutivo della tecnologia.
Tornado al problema del capolavoro legato alla tecnica, mi sembra legittimo che ognuno di noi esprima la propria idea programmatica. Per quanto mi riguarda (e lontano dall’essere l’ultima parola sul discorso ovviamente), nel marasma di definizioni ho provato a tirarmi fuori dalla soggettività.
Quindi quando parlo di capolavoro intendo espressione delle potenzialità della macchina che si esplica in due modelli "tecnici" che vanno a convergere al termine di un ciclo evolutivo.
1) Una realizzazione tecnica che illustri lo stato dell’arte nell’utilizzo delle risorse in divenire ma superabile (è il caso del discusso Super Mario World, sorprendente per quando è uscito ma non in assoluto);
2) Una realizzazione tecnica che esprima la potenza dell’hardware nella sua maturità (sono quei titoli a cura di team talentuosi che escono alla fine del ciclo vitale di una macchina).
Ecco perché non mi ritrovo con coloro che sostengono una sostanziale indipendenza dalla realizzazione tecnica rispetto al concetto di “capolavoro” in senso assoluto. L’utilizzo saggio, oculato, equilibrato e sostanziale delle disponibilità è arte nell’arte, poiché mi fa comprendere il profondo lavoro di cesello e calibratura che portano una visione favoleggiata a fattibilità concreta. Edificare la propria idea orientando e facendo scelte, affrescare quello che prima non era immaginabile o comunque avviarsi lungo la strada della stupefazione. "Capolavoro" significa superare le frontiere della tecnica grazie alla tecnica.
Perché giocare, nella sua forma di esperienza audio-visiva, significa essere colti e folgorati lungo un progetto che mi faccia vivere quello che non ho mai vissuto. E questo sarà sempre un filo doppio che legherà questa forma espressiva e ricreativa ai mezzi di realizzazione. Chi asserisce il contrario non mi trova solidale, anzi mi sembra negare quanto avvenuto negli ultimi 30 anni in questo campo. Fregarsene della realizzazione tecnica è una scelta che può essere dettata da numerosi aspetti concernenti lo sviluppo (tipo di gioco, tipo di piattaforma, budget ecc.) ma estromette dalle caratteristiche che per me, a mò di manifesto, caratterizzano il concetto di “capolavoro”:
1) Un gioco mirabile da punto di vista tecnico e convincente dal punto di vista delle meccaniche, capace però di introdurre una serie di elementi originali/seminali/rivoluzionari nella concezione di videogioco fin lì apprezzata. Longevità e rigiocabilità sono fattori legati alla tipologia di gioco.
2) Un gioco che spinga la realizzazione tecnica in modo paradigmatico e che raccolga/riassuma la tradizione sedimentata di un dato genere portandola a perfezione (relativa ovviamente). Non è richiesta una forte dose di originalità, quello che conta è solidità globale dell’esperienza.
Ora, secondo me il “
capolavoro globale e completo” cade in una di queste due categorie e conoscere/giocare questi giochi è necessario e praticamente obbligatorio per comprendere l’evoluzione di quel particolare fenomeno. Ma se qualcuna di queste caratteristiche viene meno è opportuno specificare che può trattarsi di un “capolavoro di genere” o di un “capolavoro” nell’accezione qui sposata da molti, vale a dire totale focus sulle meccaniche senza tuttavia tenere conto di aspetti tecnici.
Ho già espresso la mia perplessità ma voglio aggiungerne un’altra. I videogiochi sono caratterizzati dal progresso tecnologico e dalla conseguente obsolescenza, la potenza computazionale è anche potenza creativa. Quello che “appare” procede parallelamente con quello che si gioca, sono due aspetti che si sostanziano e si aiutano a creare nuovi mondi.
Cazzo, non esiste Zelda Ocarina of Time senza potenza, non può esserci una ridefinizione dell’action-game senza le punte tecnologiche di Ninja Gaiden per Xbox. Se non ho un cd il FMV di FFVII non può avere luogo.
La potenza genera la possibilità, la possibilità genere realtà, la realtà pone la base di una nuova evoluzione. Non si aggira questo processo nei videogiochi, significa negare il medium.
Mi si è risposto:
“La grafica non fa il capolavoro!”
Mai scritto. Ho scritto che il capolavoro obiettivo si realizza tra nell’incontro tra tecnica decisiva e game design sopraffino, dove il secondo aspetto deve essere comunque presente. Vale tanto quanto il primo aspetto.
Certo, può avvenire anche senza il primo aspetto, per cui ha (sembra avere) la precedenza. Però, sempre per me, se è presente solo il secondo non si può comunque parlare di “capolavoro”, come in realtà sostenuto da alcuni di voi. Cioè, sì, si tratta di un gioco compiuto, diverte, può essere rivoluzionario ma per me sarebbe più corretto parlare di altre fenomeni, di singolarità, di prodotti unici o, al massimo, di capolavori “
di genere”.
Ma se penso ai titoli che hanno cambiato il modo di videogiocare io vedo sempre il fortunato incontro tra una tecnica che si evolve e si perfeziona e un’idea precisa di gioco, rivoluzionaria o conservatrice ma impeccabile. La storia sembra confortarmi.
E’ l’unica regola che mi sono dato per non sprofondare in eccessivi personalismi.