Ma cos'altro può significare tutta la storia dello zio e della torre e dei solidi e del duce parrocchetto? Non sentitevi obbligati a fare il lavoro dei vostri padri/nonni? Mi sembra la montagna che partorisce il topolino.
L' Architetto del mondo diventa Architetto di mondi fantastici, le cui costruzioni si basano sull'uso della medesima geometria. Il fatto che i solidi siano rappresentati come costruzioni da gioco è un dettaglio che ulteriormente lega la narrazione all'idea di un mondo in cui si sia rifugiato Myazaki, sin da piccolo, per superare le ambasce del reale.
Ora, uno può decidere di trascorrere tutta la vita in quei mondi, creando strutture a tenuta perfettamente stagna che mantengano al riparo dalla vita, oppure può decidere che quella perfezione sia sghemba senza l'apporto del reale, che ad essa è legata da un rapporto di mutua reciprocità (ogni elemento reale ha il suo corrispondente, e le due cose si sovrappongono e confondono continuamente).
Il Duce parrocchetto, in questo senso, rappresenta la medesima funzione dell'Hitler immaginario di Jojo Rabbit, è un elemento del reale che nel mondo di fantasia si trasla andando a rappresentare la violenza impositiva con cui si manifesta la volontà di non rinunciare a quel mondo ideale, al sicuro dall'imperfezione imprevedibile del reale (il che, a sua volta, diventa anche una sintesi perfetta di tutte le utopie dittatoriali, come quelle che hanno caratterizzato la vita dell'autore). La presa di coscienza della necessità di abbracciare la vita nel mondo, fatta di dolore ma anche di dolcezza e amore, e rinunciando al "gioco delle costruzioni", per costruire dal vero, passa attraverso la lotta contro quell'io violento e "dittatore" che non vuole rinunciare, e si traduce in finale nella realizzazione che, così come si rinuncia ad una fuga totale creando una famiglia e generando figli (il quadretto finale con il fratellastro, che è anche un ipotetico figlio dell'autore), così si accetta che la propria eredità non venga raccolta in toto, perchè il percorso di ognuno è differente, e questo passa attraverso la consapevolezza di dover prima realizzare pienamente la coscienza di sè. Mahito significa "sincero", ma la ferita autoinflitta per nascondere il conflitto generato dalla rabbia è il primo vagito della volontà violenta di fuggire la realtà, e riconoscerlo il primo passo per scoprire, e realizzare, se stessi e la necessità di occupare un posto nel mondo, anche se non è il mondo che vorremmo.
Il vecchio Dio costruttore rappresenta l'immagine interiore del Myazaki che sia invecchiato in quei mondi, e stia prendendo coscienza della necessità che almeno una parte di sè (che sia se stesso o un figlio) viva nella realtà. Per questo viene accusato di tradimento dall'altra componente del sè, quel Duce che al contrario vuole imporre violentemente la negazione della realtà.
Come con le costruzioni da gioco, il fatto che sia rappresentato come un parrocchetto è un divertente dettaglio reale caratterizzante, i parrocchetti in natura sono esseri molto voraci e "violenti", capaci di imporre la loro presenza su un territorio depauperandone rapidamente le risorse (nel film sono ritratti sempre indaffarati a preparare e consumare cibo, in un gustoso parallelismo con le sembianze delle dittature storiche).
Anche i waruwaru, gli spiriti dei bambini mai nati, un culto diffuso nel giappone shintoista, hanno una funzione importante, gettando uno sguardo ipotetico sui sentimenti che questo bambino, via via uomo, ha provato entrando in contatto, nelle sue "dimore filosofali", con la prospettiva di dare ad uno di questi spiriti un corrispondente reale nella sua vita, come accaduto per ogni altro elemento della sua vita, e così con la consapevolezza progressiva che quello spirito, una volta partorito, non più solo dalla sua mente, avesse diritto naturalmente alla propria libertà di movimento, in quanto, al pari della terra cantata nella struggente sigla finale, continuerà a "girare" per la sua strada anche quando chi l'abbia partorito non ci sarà più.
Credo che il film, in definitiva e senza troppi pipponi, voglia davvero essere un bilancio della domanda che abbia accompagnato Myazaki per tutta la vita: Io come voglio vivere?E la risposta, quando si avvicina la fine, non è meno confusa, dolorosa e rocambolesca di quando ce la si poneva da fanciulli, ma magari venata di quella dolcezza in più data dalla consapevolezza che, ormai, non ci sia altro da cercare che l'ovvio davanti ai propri occhi:
così...