Non capisco, signori.
Nel 2016, Dark Souls 3 mi portò al profluvio di bestemmie tonanti, a dare pugni contro il muro, al ragequittone con disinstallazione del gioco dall’hard disk e a crisi esistenziali.
Nel 2018, Celeste mi fa comunque tirare dei bestemmioni (è un mio brutto vizio che non so nemmeno come ho sviluppato)... ma persisto e vado avanti. Anche quando un livello 6-B a caso mi fa morire oltre 600 (SEICENTO) volte, e dire che ho finito la campagna con oltre 140 fragole e meno di 1400 morti. Insomma, una prestazione divina considerata la mia non verdissima età e la mia facilità alla frustrazione.
Ad un certo punto verrebbe da pensare che, nella vita, di Super Meat Boy ne basti e avanzi uno, e che i platform old-style che puntano tutto sulla difficoltà e sul prova e riprova [e riprova e riprova (e riprova e riprova) e riprova] abbiano anche rotto il cazzo.
Eppure, continuo a preferire 30 ore di ‘sta roba a un’ora di Quantum Break o RDR. Ci metto anche trenta ore di meno a scaricarli, questi giochini, e mi costano tre volte meno. Vorrà dire che sono abituato ad avercelo piccolo (il gioco).
Quello che odio visceralmente di Celeste è che sai sempre in anticipo quando hai sbagliato, e ogni volta è solo colpa tua.
No, momento: quasi ogni volta. Perché su Switch, Joycon o Pro Controller che sia, qualche volta ci si confonde tra verticale e diagonali. Posso giurare sui testicoli di chi volete che il D-pad del mio Pro Controller mi ha fatto delle diagonali laddove io premevo solo in su.
A riprova che il sistema di controllo conta moltissimo, ho guardato la speedrun dell’attuale world record. Ovviamente, su PC. Ovviamente, con combinazioni di tasti che consentono di fare cose del tutto impossibili su console, perché sembra di guardare un flipper e non un platform.
Il 10/10 mi pare comunque un vezzo dei soliti recensori che devono fare gli alternativi (e poi danno 10/10 a qualsiasi cosa targata Rockstar comunque).
Per dire: va bene la pixel art - ho giocato col NES Mini solo la settimana scorsa - ma c’e un limite. È vero, in un gioco del genere non ho bisogno di vedere i dettagli del volto del personaggio... ma la risoluzione dei personaggi è criminalmente bassa, e oltretutto ogni tanto li zoomano pure. Bleurgh.
Poi la storia. Va bene, i videogiochi non sono solo principesse da salvare e divinità schizofreniche da distruggere per salvare il mondo. Ma non è che parlare di depressione e attacchi di panico (in modo ampiamente fantastico, nel senso che il gioco non ha quasi nulla di realistico) mi elevi automaticamente un gioco a “maturo” e gli conferisca uno status artistico superiore. Forse la mia professione mi rende cinico e disincantato nei confronti di queste cose. Ma insomma... Celeste è un gioco di piattaforme con brevi, sporadiche cutscene con una ragazza depressa, la classica vecchina alla Miyazaki, e l’immancabile (in un gioco indie degli anni 2010) coprotagonista hipster.
Che se poi voglio essere immensamente stonzo, posso dire che questi protagonisti depressi, oggi come oggi, sono sempre donzellette fragili e preferibilmente rosse di capelli, mentre 20 anni fa Cloud Strife ci mostrava una brutale storia di schizofrenia, abuso e plagio. Insomma, non venitemi a dire che Celeste, a livello narrativo, fa qualcosa di mai fatto prima, o che lo fa meglio di altri esempi venuti prima. Sarebbe sinceramente umiliante nei confronti del medium.
Consiglio per gli indecisi: se avete trovato difficile VVVVVV... lasciate perdere.