No, Einstein non negava l'idea di Dio anzi, andando avanti con gli anni si rafforzava in lui l'idea di una presenza ordinatrice del cosmo e dell'universo, una grammatica dell'essere non casuale che l'uomo deve imparare a leggere. Semplicemente negava l'idea di Dio come apparato salvifico e religioso, tipicamente comunicato come giogo psicologico.
Ma ecco, è proprio quello che si stava dicendo qui, la ricerca che conduce all'idea di qualcosa di superiore, nascosto dietro l'apparente illogicità del caso. Più approfondisci e più lo percepisci.
Per cui, ripeto, un conto è la religione organizzata, l'altro è la ricerca che porta a qualcosa di superiore. In questo contesto scienza e fede sono alleate.
Non mi risulta, Gladia.
Se in riferimento ad Einstein, la conclusione è totalmente falsa. Per Einstein la RELIGIOSITÀ è alleata della scienza, non la fede. La differenza è fondamentale. Il sentimento religioso era per Einstein l'esatto contrario della fede: l'umile riconoscimento del primato di complesse interazioni tra sistemi, forze e 'intelligenze' nell'universo. Umile perché tali interazioni ci precedono e ci rendono ciò che siamo pur ignorandole del tutto o in massima parte. Einstein non avrebbe mai parlato di 'presenza ordinatrice' o di una sua 'qualcosa di superiore nascosto' (espressioni che rimandano a concetti a loro volta ancorate alle facoltà necessariamente antropocentriche dell'essere umano). In quanto intelligenza fondamentalmente laica, Einstein casomai rispettava la fede come manifestazione significativa della ricerca di senso dell'essere umano, ma lui ne faceva volentieri a meno.
Scusa il ritardo nella risposta
@Oberon, ma tra scrutini e settimana culturale non ho avuto tempo di accendere il computer.
Allora, specifico che la chiusura del post è una mia visione del pensiero di Einstein, che in realtà andava a sostanziare quanto sostengo da diverse pagine sulla mutua ricerca di senso che sostiene tanto la ragione quanto la fede, seppur con strumenti diversi.
Parte della questione data dal "non mi risulta" deriva anche dall'atteggiamento ondivago dello scienziato stesso, che nel corso della vita ha mutato progressivamente le espressioni con cui si rivolgeva al sentimento religioso in assoluto. Prima destituendolo di ogni fondamento logico e dopo, con il procedere delle sue ricerche, isolando le diverse componenti che distinguono la religione organizzata dalla pulsione religiosa.
E, nella mia opinione, si è più volte contraddetto, dando però a questi cambiamenti, un profondissimo riconoscimento di intelligenza, ricerca sincera e capacità di mettersi in discussione. Negli anni giovanili era strenuamente antimaterialista, utilizzando espressioni e parole desunte più che altro dal suo interesse per la filosofia. I coevi ricordano come il suo pensiero scientifico fosse innervato di temi e concetti riconducibili a Dio, alla Creazione, alla possibilità ordinatrice. La sua passione per l'arte e per la musica sacra lo hanno portato a suggerire, quasi sottovoce, a una scaturigine della produzione artistica come intimamente "suscitata" dal sentimento religioso. Cito questo brano che utilizzo per le mie lezioni:
"
Uno scienziato sarà difficilmente inclinato a credere che un evento possa essere influenzato dalla preghiera, per esempio da un’aspirazione rivolta a un Essere soprannaturale. Tuttavia si deve ammettere che la nostra attuale conoscenza di queste leggi è solo imperfetta e frammentaria, cosicché, realmente la credenza nell’esistenza di leggi fondamentali e onnicomprensive in natura resta, essa stessa, una sorta di fede. Ma quest’ultima è stata largamente giustificata dal successo della ricerca scientifica. Tuttavia, da un altro punto di vista, chiunque è seriamente impegnato nella ricerca scientifica si convince che vi è uno spirito che si manifesta nelle leggi dell’Universo. Uno spirito molto superiore a quello dell’uomo, uno spirito di fronte al quale con le nostre modeste possibilità, noi possiamo solo provare un senso di umiltà. In questo modo la ricerca scientifica conduce a un sentimento religioso di tipo speciale che è davvero assai differente dalla religiosità di qualcuno piuttosto ingenuo" (H. Dukas and B. Hoffmann, Albert Einstein: the Humane side, Princeton 1989, p. 32).
Mettici anche che a sua ricerca personale lo ha portato a confrontarsi sia con il pensiero di Spinoza e poi con i testi di Dostoevskij. E viene fuori quello che tu hai rilevato:
«L’impressione del misterioso, sia pure mista a timore, ha suscitato, tra l’altro, la religione. Sapere che esiste qualcosa di impenetrabile, conoscere le manifestazioni dell’intelletto più profondo e della bellezza più luminosa, che sono accessibili alla nostra ragione solo nelle forme più primitive, questa conoscenza e questo sentimento, ecco, in ciò consiste la vera devozione. In questo senso, e soltanto in questo senso, io sono fra gli uomini più profondamente religiosi. Non posso immaginarmi un Dio che ricompensa e che punisce l’oggetto della sua creazione, un Dio che soprattutto esercita la sua volontà nello stesso modo in cui noi stessi la esercitiamo. i basta sentire il mistero dell’eternità della vita, avere la coscienza e l’intuizione di ciò che è, lottare attivamente per afferrare una particella, anche piccolissima, dell’intelligenza che si manifesta nella natura. Non è senza ragione che un autore contemporaneo ha detto che nella nostra epoca, votata in generale al materialismo, gli scienziati sono i soli uomini profondamente religiosi» (A. Einstein, Come io vedo il mondo, Newton 1984, pp. 22, 30).
Per cui è chiara la distinzione tra spirito religioso, fede e religione organizzata.
Ma attenzione, l'avanzare dei nazionalismi di qualsiasi partito e la crescente questione ebraica lo porteranno, dopo gli anni '30, a servirsi dei testi religiosi come fonte di diritto del guadagno democratico occidentale in prospettiva storica, trasformandolo da pacifista convinto a possibilista bellico.
«In passato eravamo perseguitati malgrado fossimo il popolo della Bibbia; oggi, invece, siamo perseguitati proprio perché siamo il popolo del Libro. Lo scopo non è solo sterminare noi, ma insieme a noi distruggere anche quello spirito, espresso nella Bibbia e nel Cristianesimo, che rese possibile l’avvento della civiltà nell’Europa centrale e settentrionale. Se questo obiettivo verrà conseguito, l’Europa diverrà terra desolata. Perché la vita della società umana non può durare a lungo se si fonda sulla forza bruta, sulla violenza, sul terrore e sull’odio» (A. Einstein, Pensieri, idee, opinioni, Newton 2004, p. 26).
Però sottolinea di continuo, come scrisse all’amico Guy Raner, nel 1949:
«Ho ripetutamente detto che a mio parere l’idea di un Dio personale è puerile. Potete definirmi un agnostico, ma non condivido lo spirito di crociata dell’ateo di professione il cui fervore è in gran parte dovuto a un doloroso atto di liberazione dalle catene dell’indottrinamento religioso ricevuto in gioventù. Preferisco un’attitudine di umiltà corrispondente alla debolezza della nostra comprensione intellettuale della natura e del nostro stesso essere».
Ma a circa 4-5 anni dalla morte, scrivendo al Michele Besso, in una lettera del 15 aprile 1950:
"
C’è una cosa che ho imparato nel corso della lunga vita: è diabolicamente difficile avvicinarsi a “Lui”, se non si vuole rimanere in superficie".
"
Lui"? Praticamente "personalizza" questo principio organizzatore, dandogli perciò una precisa fisionomia e negando sia la visione di Spinoza che la sua precedente e precisa idea di "Dio", del suo essere antropomorfo, del suo essere personale.
Quindi ecco, quando mi riprendi sulla questione della "fede" hai senz'altro le tue ragioni, soprattutto se prendiamo in considerazione alcune dichiarazioni del fisico. Dal mio punto di vista e leggendo tanti contributi di persone che l'hanno conosciuto e frequentato (come Padre Caramelli, che lo accompagnava sovente in chiesa e che garantiva sul sincero desiderio di Dio di Einstein) mi son fatto l'idea che una forma primordiale di fede, ovviamente lontanissima dalle religioni organizzate, albergasse nel suo cuore.