Be’ in effetti la presenza di invisible wall in un contesto che aspira a calare l’utente in un ambiente credibile lascia un po’ perplessi oggi. Ma va detto che, considerato il periodo in cui è stato sviluppato, si tratta di peccati veniali, dettati da una certa inesperienza (da parte dell’intera comunità di developer) a strutturare concettualmente un videogioco di quel tipo.
Del resto, Shenmue ha di fatto ha anticipato i concetti di sandbox, free roaming e game design di tipo open world, e, a dispetto di qualche ‘sbavatura’, presenta una cura nel dettaglio estetico e nelle possibilità d’interazione che è tutt’oggi eccezionale.
Altro che Suzuki ‘poneva troppi limiti’. Scegliere la marca della bevanda preferita da un distributore automatico, collezionare gashapon, entrare in una sala giochi e giocare a Space Harrier sono tutti dettagli interattivi funzionali a immedesimare l’utente nel Giappone popolare di metà anni Ottanta. E sono tutte cose che neanche i Grand Theft Auto attuali non solo non sanno integrare, ma neanche CONTEMPLARE a livello di sensibilità artistica.
Di fronte alle città virtuali odierne, che ai fatti sembrano solo agglomerati di bordelli e covi malavitosi, la visione di Suzuki è tanto realistica quanto romantica, nonché potentemente innovativa.
Vogliamo parlare del sistema di gioco? Ci siamo dimenticati degli allenamenti nel parchetto dietro casa, a imparare tecniche di lotta à la Virtua Fighter? Vogliamo per caso paragonarle alle anacronistiche meccaniche di guida e sparatutto in terza persona che tutt’oggi governano il gameplay della maggior parte dei giochi open world? Se c’è della ‘skill’ in un free roaming quella è in Shenmue.
Poi concordo con Wis, rispetto ai Grand Theft Auto dal III in poi, Shenmue aveva uno sviluppo un po’ legnoso e, anche al di là dei muletti, indirizzava troppo il gameplay (in primis pochi soldi e quindi poca libertà di esplorare giusto per il gusto di farlo, poi troppa attenzione rivolta al dover rispettare determinati orari per tutto). Ma, ripeto, sono ingenuità dettate da un eccessivo afflato verso il realismo e che di fondo sono ‘eroicamente’ coerenti con il contesto (visto che si doveva campare nei panni di un adolescente orfano, con tutti i limiti economici e di tenuta comportamentale del caso).
Inegrati nel contesto ludico, tali elementi erano talvolta snervanti, ma neanche mi sento di criticarli in assoluto più di tanto. Ricordo lucidamente che, in Shenmue, dopo essere entrato in sala giochi, essermi sputtanato la paghetta ad Hang On ed essere poi riuscito in strada, ho guardato il calare della sera ho avvertito un sottile senso di colpa e di peso delle responsabilità. Se penso che nella maggior parte degli open world attuali basta investire e derubare una prostituta, spacciare droga o prendere a fucilate qualcuno per riempirsi le tasche, mi rendo conto di quanto l’idea di Suzuki fosse potente e intimamente giapponese, quasi 'Hagakure' direi.