L'ho finito e, se posso dire, non mi ha entusiasmato.
L'elemento che meno mi è piaciuto è quello che sembrava il più promettente, il pilastro più originale del gameplay: dopo ogni combattimento, tutti i punti dei personaggi tornano al 100% e i morti resuscitano. Sembrerebbe la soluzione a un atavico problema dei JRPG; se non che, ridefinisce il ruolo dei combattimenti rendendoli meno interessanti di quanto sperasse l'autore. Perché in questo modo ogni scontro dovrebbe essere un "o la va o la spacca" quasi più degno di un SRPG che di un RPG qualunque, una sfida in cui i semplici mob diventano davvero pericolosi e richiedono il 100% delle risorse, sempre e comunque. Ma ciò non si traduce molto bene nella pratica. I gruppi di nemici sono davvero pochi sulla mappa, come è giusto che sia in quest'ottica; ma sono anche molto ripetitivi. Nella stessa area si ritrovano più volte gli stessi gruppi di nemici, perciò finiremo per usare contro di loro la stessa tattica: la varietà delle sfide, che avrebbe dovuto essere molto ampia per giustificare il sistema di base, è scarsa. Questo è anche conseguenza del "tabellone delle ricompense", che ci premia per aver eliminato un tot di nemici dello stesso tipo in ogni area. I combattimenti diventano così un'obbligazione, forse paradossalmente ancor più che in un classico RPG. Si è costretti ad affrontare mob con un sacco di HP, che possono eliminarci per merito di un lancio di dado e di un algoritmo piuttosto scemo (i nemici si accaniscono contro il personaggio che ha prodotto più "ira", come in Xenoblade, ma senza la flessibilità di Xenoblade). E per ottenere cosa? Non c’è Exp, per cui combattendo si ricavano skill points (pochissimi, in relazione allo sforzo fatto), materiali da vendere, e una spunta sul tabellone.
Risultato: i combattimenti non obbligatori sono addirittura più seccanti che nel JRPG medio, dove vanno invece a inserirsi nel flusso generale del gioco in modo più armonico. Nel JRPG medio i combattimenti sono qualcosa che accade perché i tuoi personaggi condividono il luogo con altre creature: in Chained Echoes le altre creature sono segnalini piazzati sulla plancia di gioco in modo rigido, per offrirti obiettivi predeterminati. Nei JRPG combattere diventa abitudine, rumore di fondo, necessario intermezzo, un cambio di passo che fa parte del ritmo generale del gioco; in Chained Echoes sembra sempre una forzatura, una trappola, un rischio eccessivo per quella che è la posta in gioco.
Tutto questo deriva sicuramente dal fatto che Chained Echoes è un JRPG non giapponese. È evidentissima, in ogni aspetto del gameplay, la mentalità ingegneristica dello sviluppatore occidentale, comune a quello indie come a quello Ubisoft. Quell'impulso a programmare tutto a tavolino, a decidere già dal principio come il gioco andrebbe giocato dall'utente finale pur dando un'illusione di ampia libertà, e lasciando visibilissime le linee a matita del progetto nel prodotto finito. Si vede
- nei tutorial (à propos: perché non posso rileggerli?)
- nel design di ogni singola area
-nella quasi completa assenza di segreti (ogni cosa è segnata sulla mappa in qualche modo, e à propos: perché aree tipo l'isola degli eremiti non hanno mappa, porcaccia?)
- nei dettagli come i bauli contenenti oggetti importanti, che hanno un colore diverso
- nella finestra che ti dice a che cosa un nemico resiste e a che cosa è vulnerabile, e se ha oggetti da rubare
- negli NPC che ti dicono chiaro e tondo dove trovare questo e quello, con tanto di segnalino sulla mappa.
Il disegno generale sembra non voler lasciare nulla al caso e nulla di nascosto, per ovviare a quelli che sono percepiti come difetti del design giapponese classico.
E per carità, quella parte di me che ha una certa età e non ha nessuna voglia di perder tempo a ri-setacciare vecchie aree per scoprire se e in quale punto della mappa si trova la certa persona o si attiva la certa subquest, quella parte di me gradisce. La parte abituata ai JRPG dell'epoca d'oro, però, non può fare a meno di notare come tutto diventi tristemente formulaico: entri in nuova area, controlli il tabellone delle ricompense, cerchi i tesori sepolti (check), cerchi le caverne "segrete" (check), uccidi X mostri del tipo Y (check), cerchi tutti i bauli (check) dove immancabilmente troverai armi e armature nuove per almeno metà del tuo party, per cui dopo un po' non apri nemmeno più il menù "Buy" dei mercanti e rischi di perderti quelle poche occasioni in cui vendono qualcosa di davvero unico. Si ha la sensazione - corretta e inevitabile - di essere impiegati al servizio di un'immensa checklist, inconfondibile prodotto del designer ingegnere che vuole che sia tutto a posto, tutto inquadrato, tutto previsto (compresi i commenti su internet). Ma anche tutto così prevedibile!
La barra dell'overdrive è un meccanismo interessante, ma nei combattimenti più tesi (e non parlo necessariamente dei boss, anzi) mostra il suo limite, mettendoti con le spalle al muro. Nulla di peggio che avere un disperato bisogno di curare o resuscitare personaggi massacrati dall'algoritmo dell'ira, ma per la barra è il momento “sbagliato” e curando finisci in overheat, così quando tocca di nuovo al nemico è tutto da rifare. Ma proprio tutto, perché devi scappare e ritentare: se sei con l'acqua alla gola in Chained Echoes, quasi mai hai la chance di ribaltare la situazione, proprio a causa dei meccanismi suddetti.
Si è forse voluto così, goffamente, compensare un sistema che per altri versi favorisce molto il giocatore. Non devi andare per tentativi alla scoperta della debolezza elementale del nemico: c’è una finestrella che te la dice subito. Le alterazioni di status vanno praticamente sempre a segno, è del tutto normale che nel giro di due turni il boss si ritrovi avvelenato, sanguinante, paralizzato e debuffato in tutte le caratteristiche. Per contro, è piuttosto raro che i nemici usino alterazioni di status e debuff contro di noi, ma compensano con danni molto alti e, appunto, il sistema dell'ira, che nel giro di un turno può eliminarti un personaggio, compromettendo tutta la battaglia in modo irreparabile.
Si aggiunga, al bilanciamento discutibile, il sistema dei cristalli e degli upgrade di armi e armature. Il secondo è utile, per quanto spesso vanificato dal fatto che a) troviamo sempre un'arma o armatura nuova poco dopo che abbiamo potenziato quella vecchia, rendendo gli upgrade ++ un costo non giustificato dai benefici, e b) procurarsi i materiali necessari richiede il grind, con tanti saluti alla pur lodevole idea di non usare un classico sistema di Exp.
Ma il sistema dei cristalli, che forse voleva fare il verso al suo analogo di Xenoblade 1, è una piccola perla di ingegneria estrema e ottusa, che si dà la zappa sui piedi da sola. I cristalli hanno tutti caratteristiche random, e ogni volta che ci metti mano li indebolisci in qualche modo. In sostanza, se li usi fin dalle prime parti del gioco, a un certo punto dovrai buttarli tutti e ricostruirli partendo da zero, perché quelli messi e dismessi dall'equip non sono più utilizzabili per forgiature successive. Oppure ti accontenti di quelli meno potenti (livello 3 e, se hai fortuna, livello 5) e rinunci del tutto all'idea di arrivare a crearne di livello 10 nelle parti finali del gioco.
In tutto questo marasma di sotto-sistemi che cozzano uno contro l'altro, ho preferito ridurre la difficoltà del gioco. Ho lasciato intatte le impostazioni dell'ira e della barra di overdrive, e anche solo così, il gioco è diventato una vera bazzecola: non easy, ma very easy per il 90% delle situazioni. Un po' un peccato, ma preferisco così al farmi massacrare da mob particolarmente agguerriti, perdendo più tempo del necessario per un sistema che comunque dà poche soddisfazioni, al di fuori delle boss battle. À propos di perdite di tempo: perché i dialoghi delle cutscene non sono accelerabili né skippabili in un gioco del 2022, signor ingegnere? Te possino.
Tutto questo non vuol dire che il gioco non sia piacevole. Il loop metodico del gameplay si lascia apprezzare, quando i nemici non si accaniscono gratuitamente. Le aree sono varie, vaste, interessanti da esplorare, per quanto non troppo creative. Il design generale, tagliando chirurgicamente via quasi tutta la ciccia di contorno che in un classico JRPG si traduce in deviazioni amabili e odiabili in egual misura, non contempla il girovagare senza meta.
I punti di forza maggiore stanno indubbiamente nella storia e nella musica.
La storia, anche se tradisce le sue ispirazioni principali sin dal clin d'oeil iniziale a Chrono Trigger, è ben pensata e avvincente. I personaggi sono quasi tutti ben disegnati (al netto di qualche ritratto goffo) e caratterizzati. Mancano la sottigliezza e la poesia tipiche delle produzioni giapponesi: la storia di Chained Echoes è metodica e cinica come ogni altro aspetto del gioco, un drammone greco-shakespiriano dove nessuno risparmia nessuno, chiunque potrebbe trafiggersi al petto in qualsiasi momento, ogni personaggio ha un background di abbandono, orfanità, prigionia, stupro, tradimento, faida, massacro, genocidio. Il più pulito ha la rogna, nessuno è innocente. È una declinazione molto europea dei temi di Chrono Trigger/Chross, Xenogears/Blade e Final Fantasy 6/7. Persino le classiche supercazzole della narrativa Evangelionica giapponese (Tizio che sa tutto e parla per enigmi, cenni e indizi nascosti in ogni frase, pezzi di puzzle che vanno a posto solo nello spiegone finale di 30+ minuti) mancano o sono trattati in modo molto concreto, del tipo: "Sì, hai ragione, so delle cose che tu non sai e non te le posso dire, ma ti posso spiegare perché non te le dico". Se solo Gendo Ikari fosse stato così candido.
In quanto alla musica, chiunque abbia scritto assurdità tipo “it’s relatively low-key and focused on building atmosphere” è scemo. Questa OST è un sapientissimo omaggio alle colonne sonore dei più classici JRPG e ai loro compositori. È impossibile non sentire echi (heh) di Mitsuda e Shimomura nei temi delle città, degli spazi aperti e della nave volante. Never Forget Our Promise ricorda subito i brani più metal dei Final Fantasy post-7, mentre Filthy Humans! evoca il tema del villaggio nanico di Secret of Mana. Ancora, Flower Fields of Perpetua ci riporta subito alla palude di Satorl in Xenoblade. Il pezzo che però mi porterò dietro a lungo è Fractured Echoes, un tema di battaglia trascinantissimo in 5/4 che è forse l'apice della OST e che merita di stare accanto ai classici del genere. Nel complesso Eddie Marianukroh si dimostra compositore capace, senza paura di mescolare tempi diversi nello stesso brano, sempre perfettamente adatto alle atmosfere dei vari momenti del gioco.
Non ho sviscerato Chained Echoes al 100%, e anche così mi ha preso circa 35 ore. La storia mi è piaciuta abbastanza da volerci potenzialmente rigiocare in futuro, ma al momento, la gioia e la maledizione di Game Pass è che se si vuole sfruttare bene il servizio, si deve passare ad altro. Chained Echoes è un gioco che mi sento di promuovere e consigliare, ma non è un gioco da 9, non è all'altezza dei suoi ispiratori in parecchi punti fondamentali, e aspetterei qualche sconto prima di acquistarlo.