Oggi su Lab24 commento lungo ma interessante. Per questo motivo lo riporto sotto spoiler (grassetto mio)
Qualche numero, oggi, sulla Corea del Sud e sulla Cina per far capire come, al di là delle considerazioni sui modelli politici e sulla trasparenza nella comunicazione, le modalità di approccio al contenimento della Covid-19 divergano profondamente da quelle occidentali: soprattutto per quanto riguarda la tempestività degli interventi. Iniziamo dalla Cina: avevamo segnalato qualche giorno fa la presenza di un nuovo focolaio nella Provincia dell’Hebei (74 milioni di abitanti) che si colloca geograficamente intorno alla capitale Pechino. Come conseguenza la Cina registra da 27 giorni consecutivi la presenza di casi sintomatici sul proprio territorio: con 115 positivi (8 importati dall’estero, 107 “indigeni”, 90 proprio nell’Hebei) nella sola giornata di ieri, 12 gennaio. Il limite dei 100 casi trasmessi localmente non veniva toccato dal 31 luglio scorso, quando la NHC (National Health Commission) era alle prese con il focolaio di Pechino. Così, dopo le città di Shijiazhuang e Xingtai, è stata messa in lockdown anche Langfang, portando a 22 milioni il totale delle persone sottoposte a misure di mitigazione nella Provincia epicentro del contagio. Dal primo caso di quello che sarebbe diventato il nuovo focolaio, registrato a metà dicembre, nell’Hebei sono stati identificati 416 casi sintomatici e 268 asintomatici (in Cina il conteggio è tenuto separato). In totale, seguendo i nostri criteri, 684 positivi in un mese circa: un numero molto vicino a quello che in Italia è stato segnalato, nella sola giornata di ieri, in Regioni come Campania (662) e Friuli (647) che hanno rispettivamente 5.800.000 e 1.215.000 abitanti. (cut) Nell’Hebei, con un numero di abitanti (74 milioni) “compatibile” con quello dell’intero territorio di Italia, Francia e Germania (rispettivamente 60, 67 e 83 milioni) il lockdown sta coinvolgendo quasi il 30% della popolazione: con numeri mensili vicini a quelli quotidiani di singole aree geografiche, nei tre diversi Paesi occidentali, che hanno meno di un decimo degli abitanti della Provincia cinese. Tra le misure il divieto di ingresso e uscita dai confini cittadini, limitazioni agli spostamenti all’interno delle città, cancellazione dei voli aerei, blocco dei trasporti a lunga percorrenza, stop alla vendita di biglietti ferroviari. A Shijiazhuang (11 milioni di abitanti e capoluogo provinciale) la NHC ha disposto il test tampone per tutta la popolazione: l’operazione, avviata il 6 gennaio, è oggi in fase di conclusione. L’esempio cinese, pur con modalità di intervento differenti, particolarmente aggressive e con un lockdown immediato, si basa sullo stesso principio seguito in Corea del Sud (51 milioni di abitanti): non inseguire il virus, ma anticiparlo adottando immediate contromisure quando i numeri sono ancora ridotti e di conseguenza controllabili. Le misure di mitigazione in Corea scattano di fatto a livelli 10 volte superiori a quelli cinesi, intorno ai 1.000 casi quotidiani: la “nuova ondata che ha colpito la Corea”, come è stata definita da molti media occidentali, ha registrato un picco di 1.241 casi giornalieri il 25 dicembre 2020: le autorità sanitarie, ai primissimi segnali di ripresa del contagio a inizio dicembre, avevano previsto il picco a circa 1.200 casi. Nessun lockdown duro, come in Cina, ma precise misure di mitigazione: distanziamento interpersonale con regole stabilite in base a una scala da 1 a 3, ora fissato a 2,5 per l’area metropolitana di Seul (oltre 24 milioni di abitanti) e a 2 per il resto del Paese; chiusura di alcune attività e dei locali pubblici; divieto di riunioni con più di 4 persone; tracciamento quasi maniacale dei contatti che, con quei livelli di positività, consente di tenere sotto controllo l’epidemia. I numeri dopo il momento di picco hanno iniziato una sensibile discesa, praticamente dimezzando già da inizio gennaio (ultimo dato: 562 nuovi casi il 12 gennaio). Seguendo gli stessi criteri, in Italia le prime restrizioni sarebbero scattate nell’ultima decade del mese di agosto, quando i casi avevano raggiunto un livello analogo a quello coreano di fine dicembre: quadruplicando, di fatto, dai 224 di media giornaliera registrati a luglio. Le nostre restrizioni sono state adottate a partire dal 6 novembre, con l’Italia divisa in zone colorate: la media giornaliera dei nuovi casi, nella settimana precedente alla decisione (31 ottobre - 6 novembre) era di 30.718. Un livello all’incirca 30 volte superiore a quello coreano e 300 volte a quello cinese: ma in linea con quello che ha portato a provvedimenti simili nei principali Paesi europei, a partire da Francia e Germania.