“Tesoro, in diciassette anni abbiamo dormito abbracciati appena tre o quattro volte, sai perché? Perché quelle tre o quattro volte io non ho dormito.”
“Ok ma ti posso abbracciare? Tanto non dormiremmo lo stesso”
Stop. Rewind. Play.
Qualcuno, qualche amico, o su qualche social, mi accusa di aggredire un po’ troppo i videogiochi che mi piacciono.
Tanto da finirli troppo presto e senza godere di ogni sfaccettatura che offre.
L’ultimo è stato Death Stranding che mi ha calamitato al punto da dedicargli quarantacinque ore in meno di dieci giorni (con qualche pausa forzata).
Per me l’esperienza è da considerarsi esaurita, ho preso dal gioco tutto quello che secondo me poteva darmi.
Per qualcuno invece l’esperienza non è completa.
Io però ho quasi sentito la stanchezza di Sam nel portare i carichi.
Anzi no, la sentivo davvero. Perché la mia stanchezza era reale.
Stop. Avanti veloce. Play.
“Ma sei sicuro che la tua stanchezza non sia dovuta a quel gioco assurdo dove porti i pacchi su per le montagne?”
“Forse, ma la mia emoglobina era bassa da prima che iniziassi a giocarlo… Ma sai che questa sedia a rotelle ha un gran gameplay, non spingermi, vado da solo!”
“Cos’ha questa sedia?”
“Niente, niente”
Stop. Rewind. Play.
Dopo quasi quarant’anni da videogiocatore, so esattamente come vanno fruiti i videogiochi.
O meglio, so esattamente come fruirne io per trarne la massima gratificazione.
I videogiochi per me non vanno approfonditi subito.
Dopo averne goduto dall’inizio alla fine, se ne ho ancora voglia, sarà del tutto automatico il desiderio di approfondimento. E se questo desiderio arriva prima, allora mi assicuro che sto investendo il mio tempo
in qualcosa di speciale.
Ricordo bene, mentre aggredivo alla mia maniera Super Mario Odissey, come alcuni sostenessero una certa monotonia e ritmo blando perché le mappe non sono poi così grandi.
Ed io che pensavo a quanto speciale fosse la varietà di quel gioco, saltando di mondo in mondo senza permettere a nessuno di essi di saturarmi.
Alla fine del gioco, quando il mondo si apre, per me è stato come avere Super Mario Odissey 2. Un nuovo gioco da esplorare ancora e, ora si, da approfondire.
Una nuova odissea.
Stop. Avanti veloce. Play.
Fare il malato può essere un po’ una odissea.
La sanità pubblica in Italia, anzi in Lombardia, è efficiente a patto che tu non abbia fretta.
Non sono solito aggredire i problemi di salute, ma questa volta sento di doverlo fare.
Aggredire ed approfondire allo stesso tempo, quasi un ossimoro nel mio modo di vedere i videogiochi, una necessità oggi per capire i segnali di malessere che il mio organismo mi scaglia da qualche tempo.
D’altra parte ho un backlog di piccoli problemi mai affrontati per pigrizia, per superficialità, per vergogna. Per paura.
Stop. Rewind. Play.
Ho sempre nutrito una sana invidia per chi riesce a godersi un Resident Evil, senza essere sopraffatti dalla paura. Ci ho provato più volte e sono sempre stato vittima di quella tensione che si interrompe solo interrompendo il gioco. The Last of Us è stato forse l’unico che, nonostante mi mettesse grande agitazione e tensione, sono riuscito a portare a termine in maniera relativamente tranquilla. Ho comprato il remake di Resident Evil 2 ripromettendomi di giocarlo, magari a livello di difficoltà più basso, per poter almeno godere della realizzazione di uno dei migliori giochi dell’anno. E’ finito nel backlog. Dove è finito anche Sekiro, non perché facesse paura ma perché “adesso voglio leggerezza e Sekiro è un matrimonio in piena regola”
Ah ora che ci penso, Alan Wake è stato il gioco a tinte horror che ho più approfondito.
Ero diventato “Master della schivata”, il gioco era un balletto condito da luci ed armi da fuoco, ne conoscevo quasi ogni segreto quasi come avergli fatto una TAC.
Stop. Avanti veloce. Play.
“Dall’ecografia all’addome si vedono delle macchie sospette, è importante approfondire urgentemente con una TAC completa”
“Grazie Dottore cercherò di farla prima possibile”
“Mi raccomando però urgentemente”
“Ho paura, non è che soffrirò di claustrofobia?”
“No tranquillo tesoro, con la TAC non sei chiuso dentro”
Stop. Rewind. Play.
Forse è una sensazione di urgenza quella che spinge a comprare molti più videogiochi di quanti il tempo a disposizione ci permetta di giocarne.
Finisco spesso per passare da un gioco all’altro, dedicando poche ore ad ognuno, sperando di trovare quello che merita di essere giocato tutto e magari aggredito ed approfondito.
A volte mi capita anche con Netflix.
Mi ritrovo a guardare decine di trailer che è passata più di un’ora senza aver guardato nulla.
Magari ci stavano due episodi Star Trek Voyager, l’unica delle serie che non ho ancora visto tutta.
E’ bello perché ogni episodio di Star Trek ha un finale positivo, è un po’ un porto sicuro per il mio umore.
Stop. Avanti veloce. Play.
La macchina per la TAC sembra uscita da Star Trek.
Tecnologica ed un po’ vintage allo stesso tempo.
Ed il liquido di contrasto che mi hanno iniettato scalda il corpo e fa venire voglia di pisciare.
“Quanto dura tutto?”
“Mah diciamo che se non ci sono intoppi sono 5 o 7 minuti”
Mi tranquillizzo mentre nelle mani dell’infermiera mi sento come una bambola di cento chili che posiziona correttamente sulla giostra.
I minuti passano in fretta, il responso tra due giorni.
“Torniamo a casa, ho fame, ma non spingere la sedia, voglio andare da solo”
“Guarda che ti stanchi!”
“Hai ragione, spingi pure”
Stop. Avanti Veloce. Play.
Da qualche mese ho perso l’appetito. Il cervello continua a suggerirmi che ho una gran fame.
Poi inizio a mangiare e la fame si esaurisce subito. Almeno ho perso tanti chili.
I medici dicono troppo velocemente, ma così forse smetterò di essere iperteso.
“Pronto? Ciao scusa l’orario, so che è tardi ma ho visto che hai fatto la TAC, e come tuo medico curante a me il risultato è arrivato telematicamente quasi in tempo reale”
“Oh fantastico, me lo mandi via email?”
“Si certo ti mando tutto, ma dopo averlo letto, ti prescrivo anche una visita urgente da un esperto di Pokemon. Magari non è niente, ma io non posso fare diagnosi, va bene?”
“Ah perfetto, in famiglia abbiamo un esperto di Pokemon, gliela mando intanto”
Stop. Avanti Veloce. Play.
“Pronto, ciao so che è tardissimo ma ho ricevuto i risultati della tua TAC”
“Ciao grazie, per aver chiamato, cosa ne pensi?”
“Allora senza girarci troppo intorno, hai un Pokemon di circa 3cm alla fine del colon che va esportato urgentemente. Purtroppo questo Pokemon ha influenzato il tuo fegato creandone
altri, uno dei quali di 10cm, ma quelli si aggrediranno con un trattamento farmacologico dopo l’operazione, magari sei mesi di chemio basteranno”
“Ok grazie Doc, buonanotte anche a te”
Slowmotion.
Qualche lacrima ed un abbraccio per scaricare la tensione accumulata durante la telefonata.
“Ma dai, ci pensi, morire così con tutto il backlog di giochi da giocare”
Un risata bagnata e liberatoria, poi un abbraccio ancora.
Play.
Notte in bianco. Ogni tanto qualche minuto di tregua fatto di sonno profondo.
Ma poi di nuovo sveglio ad immaginarmi con spada e scudo pronto a combattere,
difendermi ed aggredire quelli che in fondo sono solamente dei piccoli mostri.
“Ti posso abbracciare? Tanto non dormiremmo lo stesso”
“Si amore, ne ho bisogno”.
“Anche io”.