Ho messo assieme dei dettagli, potrebbe benissimo non essere così
A mio modo di vedere, invece, fa tutta la differenza del mondo, però la chiave interpretativa dovrebbe essere proprio quella che suggerisci tu.
Se non sbaglio, infatti, nel momento in cui inizia la narrazione tutte le scene che compongono questo film vedono Arthur Fleck come onnipresente, non necessariamente come protagonista ma almeno come testimone. Essendo la focalizzazione del tutto interna, questo spiegherebbe un altro aspetto controverso del film e che a molti non piace. L’estrema drammatizzazione a carattere episodio delle specifiche vicende che vengono mostrate con poco equilibrio e con un ricorso eccessivo al compiacimento e alla ridondanza. Se tutto questo fosse esterno, “oggettivo” dal punto di vista della narrazione, si potrebbe pensare a un uso non sapiente delle doti del nostro Phoenix, colto nell’affrescare gradi diversi e spettacolari di follia a uso dello show. Invece, in questo modo, il film si può tranquillamente difendere anche sul piano formale poiché quello che vediamo è un insieme di soggettività ricompilate alla luce della follia e che proprio per questo abbracciano e lasciano la logica della storia per avventurarsi nel delirio. Un meccanismo a più livelli, visto che anche l’immaginazione permette un rapporto freddo, non empatico col protagonista. In mano a Nolan o a qualche altro regista, questo materiale avrebbe potuto esplodere emotivamente, invece il tutto è freddo, clinico. "Cerebrale", appunto.
Invece è proprio la natura paranoide del suo disagio (probabilmente la scheda del paziente che legge all’Asylum è sua, non della madre) rende il tutto palesemente etnocentrico rispetto a eventi, personaggi, notizie vere trapelate (la morte dei Wayne) e così via. Che le vicende del film siano anteriori o inventate ( probabilmente trasformate) rispetto all’uccisione della psicologa/psichiatra alla fine del film poco importa, quello che è saliente riguarda la dimensione “differita” del film, dispositivo psicologico del film. Questo aspetto poi, agisce anche per sommatoria, infatti vediamo lo stesso Arthur perdersi in finzione nella finzione, come nel caso dei rapporto con la vicina Sophie oppure lo show iniziale con Murray.
Parlando di simbolismi e allegorie assortite, bisogna dire che il qui presente Joker mi restituisce un modello di film sui fumetti molto simile al Batman di Nolan. Di base c’è una figura iconica con una storia editoriale alle spalle e tanti autori a raccontarne le gesta. Oltre questa, un regista che vuole dire qualcosa di moderno e contemporaneo utilizzando un personaggio che idealmente lo precede ma che può essere adatto a catalizzare un’idea corrente. Sulla legittimità di questa cosa non sta a me dire, ognuno ha la propria opinione e l’arte di per sé dovrebbe essere libera da condizionamenti. Diciamo che, se costretto, a me di solito non piace, le proprietà intellettuali vanno rispettate.
A me risulta abbastanza evidente, il regista vuole dire “qualcosa”, vuole affermare cose che riguardano il particolare momento storico-sociale -politico che stiamo attraversando, deformato e ampliato dalla distorsione mediatica. Per compiere questa operazione si prende un’icona dei fumetti idealizzata da una parte e desacralizzata dall’altra, oltretutto celebrata da film culto, per raggiungere anche coloro che non seguono i fumetti di riferimento. Questa icona è spogliata della sua tradizione e si riveste dei panni estetici e ideologici della vittima sociale dei poteri forti e del liberismo sfrenato, quella che alimenta e ingrassa populismi e violenza sociale. Non è Joker, è un proto-personaggio colto nelle sue origini favoleggiate che, parzialmente tradito, diventa vittima del capitalismo terminale e della politica dell’esclusione dello scarto.
E proprio per questo, come il “V” di “V per Vendetta”, si attaglia alla figura di eroe dell’anti-sistema, anti-ipocrisia, nemico della globalizzazione e specchio di oppressione. E lo sviluppo, cerebrale, allegorico o reale che sia, non può che fornire tutte le attenuanti del caso a questo personaggio con cui si solidarizza, trasformato da agente supremo nel caos in uno sfavillante modello morale. La morale della vendetta, la morale dell’equilibrio da rispristinare e la morale di discorsi che, testi alla mano, soprattutto alla fine del film, escono fuori molto più banali di quello che Joker stesso ci ha abituati.
Non so, è l’aspetto più debole del film, a prescindere, come dicevo, dalla matrice di questa narrazione.
Allora, conclusioni? Un film di qualità, perfettamente recitato (Phoenix è semplicemente il miglior attore hollywoodiano di questa generazione) e benedetto nel panorama dei cinecomics. Più nello specifico, un film notevole ma non quel capolavoro eccezionale di cui si parla, visto che è discutibile sia sul piano contenutistico che in quello filologico. In ogni caso, da vedere.
Ora dateci un seguito con Batman.
Ma per carità di Dio.
A parte che non ce lo vedo Phoenix a mettersi in un progetto di continuity, vedere il tipo di Twilight che scazzotta con questo Joker potrebbe essere uno shock.