Il film originale aveva il suo fulcro in un leit motiv ben preciso, probabilmente facente parte dell'immaginario di Argento sin da piccolo, e in qualche modo dell'immaginario di ogni uomo/bambino, quello del rapporto dicotomico e spesso straziante con la madre, vissuta contemporanemente come ricettacolo delle proprie pulsioni affettive, ma allo stesso tempo come elemento castrante e capace di una violenza ora sottile, ora feroce, del tutto legata proprio alla prima istanza di grembo materno da cui si proviene.
Questo tema viene affrontato in tutta la trilogia delle tre madri, ma si estende anche ad altre produzioni (Profondo Rosso, Phenomena, Trauma) dove sono sempre una madre e il suo rapporto con i figli il filo conduttore delle psicosi omicide narrate, quando il soggetto garante di amore, tepore, protezione, spinge tali prerogative agli estremi dell'ossessione folle, facendo emergere il carattere diametralmente opposto della madre come elemento distruttore, castrante appunto, oscuro nel suo agire e reagire, mi si conceda la semplificazione, su base ormonale. Non a caso in diverse culture e tradizioni religiose la signore della vita è anche quella della distruzione(vedi l'egiziana Sekhmet). Senza scendere troppo nel dettaglio, chè ci sarebbe da parlare per ore, nelle pellicole citate Argento non fa altro che riproporre questo mito di Medea, arricchendolo di sfumature freudiane e di una tecnica narrativa assolutamente eccezionale nello sposare la messa in scena del contesto predatorio tipico dell'omicidio seriale, soprattutto nel rapporto preda/predato/ ambiente (le scarrellate in avanti, inesorabili e lente, verso punti di fuga di un ambiente della vita quotidiana, immerso nell'oscurità, dove si suggerisce ci possa essere qualcosa in agguato), con la narrazione della progressiva perversione del grembo materno, che si trasforma in quello stesso ambiente di cui sopra, sostituendo l'abbraccio mortale a quello salvifico.
Guadagnino prende questo tema e lo proietta in un macrocontesto storico in cui la madre singola diventa la patria, ferita dall'esperienza della guerra e "violentata" dalle divisioni interne, spostando il focus in questo modo dal piano psicanalitico individuale a quello sociale, per cui le streghe da abitanti di un buco nero aperto sulla dimensione intima dell'orrore fanciullesco, diventano le custodi di una oasi in cui la donna, "colei che dice la verità ma non viene ascoltata" per citare le streghe stesse, acquisisce il potere di esercitare il suo ruolo di protettrice sulle vicenda umana violentata dalle istanze tipicamente maschili e maschiliste. Nel film infatti viene posto l'accento sul fatto che, pur determinate a perseguire il loro scopo, le streghe tendano a preoccuparsi dell'incolumità delle ragazze ospitate, e la stessa divisione interna in fazioni riflette quella macroscopicamente politica della nazione, a sottolineare come la secolarizzazione operata dalla storia abbia influenzato anche il loro "sacro" contesto.
In questo discorso si inserisce la figura del professore, la cui professione è un ulteriore elemento caratterizzante la dicotomia maschile/femminile, in quanto rappresentante di quell'universo tipicamente "solare" e maschio che tenda allo studio, alla catalogazione, alla vivisezione della Natura nel senso più lato del termine, dove l'universo femminile, lunare, ne rappresenti al contrario la comprensione (e dunque l'abbraccio) di natura più squisitamente magico ed istintivo, e dunque giocoforza soggetto a quelle intemperanze incontrollabili, ebbre di vitalità (vedi le Baccanti) che ha portato l'uomo ad imbrigliarle nella categorizzazione stregonesca, e poi a sopprimerle.
Il suo senso di colpa per non aver salvato la moglie si ricongiunge alla tematica sociale di cui sopra, ma si spinge fino a toccare quella tipicamente argentiana proprio nel carattere freudiano del senso di colpa dell'uomo verso la donna e del figlio verso la madre (patria compresa), che è quello che in Profondo Rosso spinge il protagonista a proteggere la madre da se stessa assecondandola invece di fermarla.
Tale tema trova il suo culmine nell'agghiacciante scena del rituale finale (bellissimo il dettaglio della strega androgina che canta con voce da tenore, secondo me strizzata d'occhio ad un altro caposaldo della stessa narrativa, "La casa dalle finestre che ridono"), dove le streghe hanno bisogno di un testimone per il loro rito, e riducono il professore ad un soggetto riverso a terra, nudo ed inerme mentre si consuma la funzione orgiastica, nuovamente una finestra aperta sul tema del fanciullo/uomo atterrito e disarmato di fronte alla manifestazione inarrestabile delle energie femminili, capaci di nutrire ed accudire come di schiacciare ed umiliare (vedi il trattamento riservato agli investigatori, ancora più importante ed incisivo proprio nella sua rappresentazione assolutamente giocosa e divertita da parte delle streghe).
In chiusura la Mater riconferma il ruolo fondante della donna/strega come custode di una verità primordiale bistrattata dall'uomo tramite la sua violenza fredda e calcolata (la guerra) prima che figlia di una pulsione tellurica, animistica, naturale, affermando la necessità del mondo di provare vergogna, ma non quella generata dal senso di colpa, che è sterile e chiuso in se stesso, figlio della meschinità religiosa che nulla ha a che vedere con il vero rapporto con il divino (vedi il suo background famigliare), ma più vicino all'amore in senso lato ed universale, anch'esso vittima della secolarizzazione bellica, diabolica perché divide (forse ricordo male ma mi pare che il cuore sul muro della casa fosse spezzato dall'angolo di incontro delle pareti, da sempre fulcro di potere della magia come simbolo delle forze generate dall'incontro/scontro di dimensioni, e qui ancora una volta messo in rapporto di contrasto con l'azione frazionatrice del mondo politico).
Al di là delle possibili interpretazioni e spiegazioni, come detto altrove il film gode di una realizzazione che, pur più cerebrale, riesce comunque nell'intento di seminare un germe di disagio nel cuore dello spettatore, configurandosi come un'operazione assolutamente riuscita nel suo intento non già di seguire orme, quanto di saltare a piè pari in quelle del precedessore e farle proprie.
Se il Suspiria di Argento era la rappresentazione scenica del rito magico, denso di suggestioni visive e sonore, questo ne rappresenta il commento critico dello studioso appassionato, che tuttavia non si limiti ad una mera autopsia del suo cadavere, ma ad una scissione degli atomi da cui emerge una nuova energia, meno mistica e più fisica, ma non per questo meno impattante.
Dopo la visione ti resta dentro come il rumore bianco di una radio accesa sul nulla, e ti ritrovi a nuotare nel magma di frequenze alla ricerca di qualcosa di comprensibile, fino a quanto non ti accorgi che quel rumore vuoto era il messaggio.
Per cui leggiti pure il mio pippone, ma poi cancella tutto e goditi il silenzio vibrante di questo capolavoro.