Beh, insomma, formalmente curato, ma Guadagnino ha lasciato la personalità a casa... chiusa in un cassetto... di cui ha buttato la chiave.
La regia trasuda calligrafismo verso il B. Bertolucci ultima maniera (da Io Ballo da Sola all''ammanitico' Io e Te) da ogni fotogramma, in maniera svergognata. Considerato che già qualcosa della cifra stilistica del Bernardone nazionale un po' mi allappa (dalla fotografia estetizzate alla rappresentazione generale, talvolta oleografica), rivedere questo approccio in versione derivativa non mi ha certo esaltato.
Lo stesso vale per la resa di situazioni e personaggi, anch'essa gonfia di meme bertolucciani (gruppo 'familiare' allargato, di stampo intellettuale altoborghese semi-eremitico, con composizione internazionale). E se pure questi elementi già li trovavo talvolta troppo marcati e ridondanti in Bertolucci, qui vengono addirittura esaltati tramite la risonanza con richiami a Ivory, che ha griffato la sceneggiatura e fa capolino qua e là tramite momenti à la Camera con Vista.
Il tutto crea un'overdose di déjà-vu quasi opprimente, per quanto è aggressiva e 'saturante'.
Il confronto con l'ideale ispiratore (confronto che uno neanche vorrebbe fare, ma l'esecuzione è così pedante che dovresti lobotomizzarti per frenare i paragoni) non regge, poi, quando si tratta di 'raccontare' e tutta la messa in scena diventa un boomerang che si pianta in fronte a Guadagnino.
Non mi è dispiaciuto il taglio narrativo generale, che in buona parte racconta attraverso uno sguardo esterno, a voler essere arditi, quasi in stile Dogma 95 (apprezzato, in tal senso, anche il fatto che l'80% della colonna sonora d'epoca venga veicolata da 'oggetti di scena' come radio, giradischi, autoradio ecc.). Allo stesso tempo, il non riuscire a reggere questo approccio per tutto il girato (come il dover raccontare 'in chiaro' alcuni pensieri di Elio, per esempio) crea cadute di stile e, soprattutto, un andamento altalenante della narrazione, che a me è risultata incompiuta da ogni punto di vista.
Troppi personaggi accessori (alcuni dei quali troppo grotteschi e caricaturali) e troppi dialoghi didascalici (lo 'spiegone-colpo-di-scena' del padre nel finale è veramente inutile e ridondante) per risultare efficace nel narrare attraverso la 'naturalezza delle cose'.
Allo stesso tempo, troppa poca sostanza nelle interazioni principali e poca cura nel rendere compiuti e tridimensionali i personaggi per risultare efficace nel narrare in maniera più trazionale, per così dire 'sceneggiata'.
Pressoché tutto il buono del film lo regge l'attore di Elio sulle sue spalle, bravissimo, spontaneo, credibile, un giovane mattatore che porta a casa una performance pressoché flawless sino ai titoli di coda (letteralmente). Riesce a comunicare la 'verità' dei passaggi chiave con una naturalezza ammirevole (considerato anche il ruolo tutt'altro che facile), senza scivolare mai.
Secondo me, con la sua carica genuina, salva anche l'onestà intellettuale della pellicola, che oltre al debordare di richiami e rimandi a un certo 'cinema-italiano-che-piace-all'estero', è minata da elementi che paiono studiati a tavolino per richiamare l'attenzione in USA, dettagli tanto accessori nel contesto filmico-narrativo quanto paraculi nell'ottica di sollazzare l'americano liberal di stampo newyorkese (l'inutile innesto della matrice ebraica su tutti).
Non brutto, eh, ma piuttosto vuoto manierismo in fin dei conti, e se proprio dobbiamo esportare cinema, preferisco N volte che sia attraverso l'approccio folle-kamikaze-trash-sozzo-ma-vero di un Mainetti di Jeeg.