Wizardry Gaiden IV: Throb Of The Demon's Heart (1996, ASCII, GDR)
Quando si parla di giochi di ruolo mediati da un processore, il rischio è sempre quello di guardare il dito invece della luna. Ve lo dice uno che ha pochissima esperienza ruolistica su carta, che si è sciroppato tonnellate di videogiochi di ruolo e che appartiene fermamente a quel partito secondo il quale punti ferita, statistiche e incontri devono essere un mezzo e non un fine. Altrimenti è Pokemon, pieno di dignità ma tutto un altro paio di sfere.
Wizardry è un ottimo esempio di come ci si sia affezionati più alla forma che al contenuto. E che scusa migliore c'è per parlare di Wizardry, e di Wizardry che va in Giappone, di un gioco di Wizardry ambientato in Giappone?
Già nel 1985 il capostipite di questa serie era uno dei giochi più venduti per gli home computer nipponici. La sua influenza, assieme ad Ultima, sui nascenti JRPG è ormai cosa antica e accettata.
La storia ci racconta poi che per ogni Wizardry occidentale usciranno dieci Wizardry giapponesi, senza contare epigoni ed eredi. Costa poco svilupparli, costa poco reinventarli quando cambiano i gusti del pubblico (Megaten, Etrian Odyssey), costa poco la licenza (soprattutto ora che ha perduto terreno in via definitiva nei confronti degli storici rivali americani) e una nicchia, nel bene e nel male, è assicurata.
Ma cos'è Wizardry? Banalmente, è il miglior adattamento di Advanced Dungeons & Dragons divenuto disponibile quando i calcolatori potevano entrare in una cameretta. Pietra miliare dei dungeon crawler in soggettiva e fedele compagno dei rinchiusi armati di carta millimetrata.
La versione oggi in esame arriva dopo tre capitoli per Game Boy (si possono importare personaggi dal precedente Scripture Of The Dark), ripropone fedelmente l'andirivieni classico fra dongione e città e introduce razze, classi e migliorie prese dal sesto capitolo ufficiale, Bane Of The Cosmic Forge.
È conveniente giocare armandosi di pazienza e blocco note, perché le variabili sono tante, e l'interfaccia utente è buona ma non fantastica. Ad esempio le magie - di quattro scuole diverse, Stregoneria, Sacerdozio, Alchimia e Psicomanzia - hanno spiegazioni visibili solo fuori dalle battaglie, e c'è buon rischio di confondere DIOS con BADIOS e KATINO con HALITO.
La brutalità inoltre - quel doversi adattare alle regole, tornato di moda dopo il suo carsico riaffiorare nei Souls attraverso King's Field - qui non è certo quella dei primi episodi occidentali. Ci si limita a entrare nei dongioni una volta creata la nostra squadra, e constatare l'alto livello di democrazia delle terre del Loto Scarlatto.
In breve, all'inizio facciamo tutti schifo, sia noi che i nemici. È una sequela di colpi a vuoto, incantesimi falliti e fughe disinvolte, in una sagra del liscio che avrebbe meritato una consona ambientazione romagnola. Ciò permette di acclimatarsi già dai primi, sconfinati dongioni, in attesa del momento in cui enigmi e battaglie alzeranno la testa. È pur sempre una serie di giochi dove i ninja decapitano all'istante e i vampiri succhiano livelli di esperienza.
Wizardry ha i suoi pallini: i personaggi c'invecchiano, gli allineamenti ci vincolano, e permane la sensazione che il nostro gruppo potrebbe esser fatto meglio, oppure che ci si sia lasciati sfuggire qualche segreto. Ma il gioco presuppone che abbiate voglia d'imparare, e all'occorrenza di sacrificare i progressi fatti per ripartire più snelli e cattivi. I protagonisti, dopotutto, non siete voi ma i dongioni.
Merita oggi? Si è più tranquilli ad andare al bancomat alle due di notte che non ad aprire un forziere di Wizardry. Esso vi lascia tanta libertà d'approccio, quanta è la bua che promette di farvi. Se la gioca testa a testa con la versione SNES di Bane of the Cosmic Forge, più ciccione e colorato, ma non tradotto altrettanto a fondo. Se avete la pazienza di perdervi in un mondo oscuro, presentatevi all'appuntamento.