Cosa prevedono i referendum voluti da Lombardia e Veneto?Il prossimo 22 ottobre i cittadini di Lombardia e Veneto voteranno per due referendum consultivi che chiedono maggiore autonomia dalle proprie regioni dallo Stato. L’eventualità di elezioni politiche a settembre potrebbe però cambiare il calendario, sia con un’anticipazione (nel caso dell’Election day auspicato dai promotori del referendum) sia con una posticipazione.
Nei due quesiti non si parla di secessione, ma della possibilità che hanno le regioni di chiedere al Governo più materie di competenza. Una possibilità finora mai utilizzata, ma prevista dal Titolo V della Carta Costituzionale sui rapporti tra Stato e Regioni, all’
articolo 116.
I due referendum non richiedono un quorum e, seppur distinti, chiedono sostanzialmente la stessa cosa ai propri elettori: i cittadini dovranno pronunciarsi a favore o contro all’apertura di un eventuale negoziato con il governo per la richiesta di maggior autonomia.
L’obiettivo a cui tendono i due governatori leghisti, Luca Zaia e Roberto Maroni, è quello del modello previsto per le regioni a Statuto speciale dove l’autonomia fa sì che il 90% delle tasse rimanga sul territorio. A gennaio
il Sole24ore aveva sottolineato come fosse decisivo l’impatto di una trasformazione simile sulle casse dello Stato: “Si calcola che Veneto e Lombardia cedono ogni anno allo Stato un residuo fiscale – cioè la differenza di entrate e spese – di oltre 70 miliardi. – scriveva il quotidiano finanziario – Per la precisione 53,9 miliardi la Lombardia e 18,2 il Veneto. Soldi che in caso di vittoria dei sì potrebbero rimanere sui territori”.
Due diversi quesiti con il medesimo scopo, quello di avviare una trattativa con il governo affinché Lombardia e Veneto abbiano maggiore autonomia. Questo il motivo per cui i cittadini di entrambe le regioni andranno alle urne per il
referendum consultivo, il cui parere espresso con il voto non è vincolante.
Il referendum consultivo, usato soprattutto a livello locale, è stato utilizzato una sola volta a livello nazionale nella storia della Repubblica italiana, nel 1989, per il conferimento del mandato costituente al Parlamento europeo, che ha incassato il sì dell’88,3% dei votanti. Poiché fino al 1989 la Costituzione prevedeva soltanto i referendum di tipo abrogativo (articolo 75) e di tipo confermativo (articolo 138, comma 2), si è resa necessaria un’apposita legge costituzionale, la legge 2 del 3 aprile 1989, approvata all’unanimità sia dalla Camera sia dal Senato.
Referendum autonomia Lombardia e Veneto
Ecco il vademecum: cos’è, cosa cambia se vincono i sì, come si voterà il 22 ottobre-
Cosa chiede il quesito del Referendum?Il quesito che i cittadini troveranno sulla scheda — attenzione — non chiede la secessione delle due regioni, ma la concessione di una maggiore autonomia dallo Stato centrale, guardando al modello delle regioni a statuto speciale.
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Ma è legale, fare un referendum così?Sì: i referendum si fondano sulla possibilità che hanno le regioni di chiedere al governo più materie di competenza. La norma è prevista dal Titolo V della Costituzione sui rapporti tra Stato e Regioni, all’articolo 116. Finora però non è mai stata utilizzata.
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Esiste un quorum al di sotto del quale la consultazione non vale?No, non è previsto quorum: il referendum è consultivo. L’affluenza sarà dunque un tema — non solo politico — molto importante.
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Come si vota?In Lombardia sarà sperimentato per la prima volta il voto elettronico: una novità introdotta grazie ad un emendamento del Movimento 5 Stelle, che infatti ha votato sì. Le modalità del voto elettronico non sono ancora state rese note. In Veneto, invece, si voterà unicamente nei seggi tradizionali con le schede cartacee.
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Cosa cambierebbe, se vincessero i «sì»?La mossa dei governatori leghisti Maroni e Zaia — che puntano soprattutto a mantenere sul territorio una parte delle entrate fiscali trasferite dalle rispettive regioni allo Stato centrale — ha soprattutto una valenza politica di indirizzo: non porterà automaticamente ad una maggiore autonomia per Lombardia e Veneto. Secondo l’articolo 116 della Costituzione, infatti, dopo il voto referendario bisognerà intavolare un negoziato col governo: se questo andrà a buon fine, occorrerà portare in Parlamento una proposta di legge che dovrà essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, «sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata».
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Che ne pensa il governo?Il governo ha già invitato Lombardia e Veneto a sedersi intorno a un tavolo per trattare sull’autonomia regionale: insomma, tentare di risolvere la questione senza arrivare al referendum consultivo. L’apertura non sembra aver convinto il governatore Maroni: «Io sono sempre pronto al dialogo — ha detto —. Ma il problema è che non mi bastano le aperture significative: sono disposto a collaborare col governo se ho la certezza di arrivare a un punto tale che rende inutile il referendum, perché ci dà maggiore autonomia e maggiori risorse. Se non ho questa garanzia, il referendum lo facciamo».
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Chi ha voluto il referendum, e chi lo appoggia?Il «motore» del referendum è la Lega Nord. Ma sul tema le posizioni dei partiti non sono ancora rigidamente definite. In Lombardia, ad esempio, il referendum ha ottenuto nel Consiglio regionale lombardo il sì di tutto il centrodestra e del Movimento 5 Stelle. Nel Partito democratico le posizioni sono articolate. Il sindaco di Milano Beppe Sala ha definito «inutile» il referendum (il punto è: trattiamo con il governo, senza andare alle urne) ma ha anche detto che, «se si farà, consiglierò a tutti di votare positivamente». Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, ha una posizione simile: «C’è spazio e tempo, vista la disponibilità del governo per individuare un accordo. Il referendum sarebbe un’extrema ratio nel caso l’esecutivo non dovesse trovare una soluzione».
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Quanto costerà?Il tema dei costi dell’iniziativa referendaria è tutt’altro che pacifico: secondo il centrosinistra la consultazione costerà 46 milioni di euro. La giunta lombarda, invece, ha assicurato che si spenderà molto meno. Anche perché in Lombardia sarà sperimentato per la prima volta il voto elettronico. Novità introdotta grazie ad un emendamento del Movimento 5 Stelle, che infatti ha votato sì. In Veneto, invece, si voterà unicamente nei seggi tradizionali con le schede cartacee.
Fonti:
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l'Unità.tv del 29 maggio 2017
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Wired.it del 10 luglio 2017
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Corriere della sera del 22 aprile 2017