l'idea che la sola comprensione di un tipo di scrittura possa modificare in modo così profondo la concezione del continuum spazio temporale da parte dell'essere umano
mi sembra un po' tirata per i capelli
Dissento fortissimamente.
Un esempio tratto dal testo dell’antropologo Cardona può esserci utile in questa direzione. Per noi europei la deissi spaziale è rappresentata attraverso due assi perpendicolari, il parlante è collocato nel centro ipotetico di essi e rispetto a questi articola le sue frasi all’interno di un dialogo con un altro interlocutore. Espressioni come “qui” e “lì”, nella nostra lingua, nascono da questo sistema rappresentativo che opera su di un ordine spaziale bidimensionale, il quale serve appunto ad esprimere i nostri rapporti di vicinanza e lontananza rispetto ad un oggetto o un soggetto. Eppure ciò che per noi è convenzionale non è universale e potrebbe variare in altre lingue, espressioni di culture differenti dalla nostra.
Nel caso degli hopi, popolazione originaria dei territori vicini al Gran Canyon, un riferimento linguistico come il nostro non sarebbe per nulla esaustivo, poiché bidimensionale. Cardona riflette sul fatto che l’habitat di queste popolazioni ha una caratteristica peculiare rispetto al nostro: l’asse verticale, o altezza, per abitanti nati in territori montuosi composti da gole, pendii e passaggi scoscesi, è di importanza primaria. Il risultato di ciò non può quindi che riflettersi nella lingua di tali popolazioni.
In hopi infatti qualsiasi riferimento spaziale non verte comunemente su due assi, come per noi europei, bensì su tre, prendendo in considerazione la verticalità ed originando una deissi spaziale linguistica di tipo tridimensionale. Espressioni come “qui” o “lì” non avrebbero per loro alcun significato se non supportate da dati in base all’altezza.
Più in generale:
Si è trovato che il sistema linguistico di sfondo, in altre parole la grammatica di ciascuna lingua, non è soltanto uno strumento di riproduzione per esprimere le idee, ma esso stesso dà forma alle idee, è il programma e la guida dell’attività mentale dell’individuo, dell’analisi delle sue impressioni, della sintesi degli oggetti mentali di cui si occupa.
Ciò, in relazione ad Arrival:
Questo fatto è molto importante per la scienza moderna, perché significa che nessun individuo è libero di descrivere la natura con assoluta imparzialità, ma è costretto a certi modi di interpretazione, anche quando si ritiene completamente libero. La persona più libera da questo punto di vista sarebbe un linguista che avesse familiarità con moltissimi sistemi linguistici assai differenti.
E ancora:
Nonostante le emozioni rappresentino le fondamenta di molti dei nostri comportamenti quotidiani ed alcune sensazioni come la paura e l’empatia siano considerate, sia dagli evoluzionisti che dai naturalisti, come basi per la sopravvivenza dell’uomo, non tutte le emozioni sono universalizzabili ed è anzi ipotizzabile che alcune siano frutto di convenzioni culturalmente condivise.
Dando uno sguardo ai vocabolari del lessico emotivo presenti in diverse culture possiamo notare come vi siano differenze nell’estensione: se nell’inglese sono presenti oltre 2.000 termini, tale proporzione è radicalmente ridotta in cinese, che ne contiene solamente 750; mentre nel vocabolario ifaluk, popolazione della Micronesia, non si contano più di 58 termini.
[...]
Persino il termine stesso “emozione” non è universale. Questa parola è assente presso i tahitiani, i gidjingali dell’Australia, gli ifaluk e i palau […] Il termine inglese “emotion” non trova corrispettivo nel tedesco dove esiste la parola “Gefühl” per indicare le condotte emotive a livello fisiologico e psicologico.
Finiamo così al nocciolo della questione, il linguaggio come 'gabbia' del pensiero e le sue implicazioni non solo alla comprensione, ma alla 'costruzione' della realtà.
Il linguaggio non è un artefatto culturale che impariamo così come impariamo a leggere l’ora o a capire come funziona il governo federale. Il linguaggio è invece un pezzo a sé del corredo biologico del nostro cervello. Il linguaggio è un’abilità complessa e specializzata, che si sviluppa spontaneamente nel bambino, senza sforzo conscio o istruzione formale, che viene usato senza la coscienza della sua struttura logica, che è qualitativamente lo stesso in ogni individuo e che è distinto da capacità più generali come l’elaborare le informazioni o il comportarsi in modo intelligente.
Poiché sulla lingua della medesima nazione influisce una soggettività uniforme, in ogni lingua è insita una peculiare visione del mondo. Come il singolo suono si inserisce tra l’oggetto e l’uomo, così la lingua intera si inserisce tra l’uomo e la natura, che su questi esercita un influsso interno ed esterno […] L’uomo vive principalmente con gli oggetti, e quel che è più, poiché in lui patire e agire dipendono dalle sue rappresentazioni, egli vive con gli oggetti percepiti esclusivamente nel modo in cui glieli porge la lingua. Con lo stesso atto, in forza del quale ordisce dal suo interno la rete della propria lingua, egli vi si inviluppa, e ogni lingua traccia attorno al popolo cui appartiene un cerchio da cui è possibile uscire solo passando, nel medesimo istante, nel cerchio di un’altra lingua.
La visione del mondo si costituisce allora nelle lingue, espressione di differenti culture. Non vi sarà perciò un mondo, ma una pluralità di mondi corrispondente alla pluralità delle prospettive che ciascuna lingua dischiude.
Le lingue non sono mezzi atti a scoprire una realtà naturale già esistente, ma tramite le differenze semantiche in esse racchiuse ci è data la possibilità di scoprire realtà molteplici ed ignote.
Ed ecco il dunque:
All’interno della medesima lingua, espressione di un’univoca prospettiva sul mondo, avvertiamo le modificazione che il processo di significazione comporta sul piano del riferimento. Tanto più in lingue tra loro differenti, ed aventi verso il medesimo oggetto significati culturali distinti, i parlanti saranno portati a compiere atti di riferimento diversi.
Non è forse questa la forza creatrice espressa dalla lingua?
Essa, da un medesimo oggetto, può creare atti di significazione e riferimento differenti, i quali condizioneranno la nostra propensione verso un referente che, invece di rimanere immutabile, seguirà i condizionamenti culturali impressi nella lingua.
[...]
Nessuna lingua quindi crea in sé e per sé una classificazione oggettiva e inderogabile del mondo; questa spetta sempre all’appartenenza culturale dei parlanti.
Le lingue rappresentano solamente i riflessi di differenti civiltà aventi un determinato schema classificatorio del reale. Riflessi che illumineranno ed influenzeranno le prospettive delle generazioni successive.
Qui poi mi sembra di capire che lo spunto di discussione più interessante sembra sia essere relativo all'adattamento dei nomi italiani dei due polpi, che non è il massimo per un film di fantascienza.
Il fatto è che con un'opera così eccellentemente pensata, strutturata e rifinita, c'è poco da discutere. Bisogna fare, appunto, le pulci all'adattamento, per dibattere; adattamento, che, tra l'altro, non riguarda l'opera in sé ma come questa viene presentata a un'altra cultura; quindi tradotta, cioè in parte accresciuta e in parte ridotta, nei significati. E si ritorna comunque al tema portante, profondissimo, della comprensione, del senso di operare scelte consapevoli:
Oltre la rappresentazione aliena un altra ingenuità: esseri capaci di viaggiare dimensionalmente avrebbero macchine capaci di tradurre gli idiomi attuali istantaneamente. Mi rendo conto che questa cosa è necessaria per esigenze sceniche, almeno per giustificare la maestrina con i cartelloni.
Non si tratta di esigenze sceniche ma di messa in scena coerente con le premesse.
Gli alieni sono, al tempo stesso, causa ed effetto di quanto accade; almeno, dal nostro punto di vista in cui il tempo è lineare. Il film è incentrato su noi che cerchiamo di comprendere loro, non su loro che cercano di comprendere noi - ne abbiano o meno il bisogno -. Perchè loro possono o meno comprendere direttamente la nostra lingua, ma ciò non ha alcuna influenza sul fatto che dobbiamo necessariamente essere noi a cambiare paradigma, dobbiamo essere noi capire la loro realtà per attuare il processo di cambiamento verso la nostra realtà. Infatti, solo così potremo interagire a un livello che sia culturalmente sullo stesso piano del loro.
In altri termini, sono loro a scegliere di venire da noi; quindi, presumibilmente, sanno - o hanno comunque stimato - a cosa vanno incontro. Noi possiamo scegliere di accettarli, e quindi di avviare una trattativa, o di rifiutarli. Loro ci hanno già accettato; noi, per farlo, dobbiamo crescere, evolverci culturalmente. Ed essendo senz'altro il linguaggio uno dei pilastri della cultura, sarà il linguaggio il campo in cui ci incontreremo.
Che splendida, sognante e romantica, eppure solida e credibile fantascienza è mai questa.