Sì, esattamente come dice Wis.
E’ un film decisamente discutibile in molti suoi aspetti ma, nonostante questo, dotato di passionalità e amore per la materia. Probabilmente il tocco femminile della regista Patty Jerkins ha garantito un certo lirismo di ritorno.
Lo accosterei al primo Thor, in particolar modo per il recupero di una dimensione ingenua e genuina delle pellicole degli anni ’80. Ma in senso stretto, come un vero e proprio film di quell’epoca, là dove, in film come “
I Guardiani della Galassia” vi è un recupero filologico in chiave moderna, molto più consapevole e ricercato. Questo è davvero un film per adolescenti di 30 anni fa, in scala 1:1.
Il film è diviso in tre parti, le prima ben illustrata e gustosamente edificante, il tema del prescelto all’interno di una comunità protetta, con una progressiva rottura degli argini e apertura al mondo. Ottime caratterizzazioni di Ippolita ed Antiope. E’ tutto molto semplice, simmetrico e lineare. Come nei film della nostra infanzia.
La seconda parte pone il sempre piacevole sfregamento tra mondi paralleli che arrivano stranamente ad incontrarsi, le reazioni della giovane Diana alla civiltà moderna e il tema della presa di coscienza della responsabilità. La scena della trincea è implicitamente il motivo per cui esistono i film sui supereroi, quella galvanizzazione, un po’ puerile e un po’ retributiva, dell’eccezionalità che risolve da sola una situazione critica sotto lo sguardo ammirato dell’uomo comune. Mi ha ricordato la scena del primo Iron Man quando Tony salva alcune persone in Medio Oriente.
La terza parte, la più debole, forse risente della supervisione di Snyder. Per quanto io abbia in adorazione questo regista, il tentativo goffo e tecnicamente limitato di replicare il suo modello di scena di azione da parte della regista procura qualche corto circuito visivo come non se ne vedevano da tempo in blockbuster di questo tipo. Il tutto poi in un crescendo finale che mette insieme un sano senso del sacrificio con una fastidiosa scompostezza estetica, ad esempio:
non mi dispiace l’idea di Ares affrescato come divinità guerriera alla stregua di un God of War oppure in stile Cavalieri dello Zodiaco, però se mantieni fattezze e baffoni del pur bravissimo David Thewlis, il risultato finale non può che essere desolante sul piano visivo.
Tra scene al rallentatore e traslazioni di frame, quello che rimane è la sensazione di un complesso di inferiorità verso chi queste sequenze sa girarle per bene, e si esce dal cinema con l’idea che qualcosa al termine sia andato storto. Non tanto da inficiare drammaticamente la pellicola ma quel tanto da compromettere il quadro finale. Peccato.
E' il caso di rimarcare ancora una volta la bontà della scelta di Gal Gadot, una ragazza capace di illuminare ogni scena con il suo sorriso, risultando comunque credibile come guerriera grazie ad un fisico perfettamente allenato, per restituire quella versione fisica di Wonder Woman legata al suo periodo ellenico. Davvero, mai scelta fu più azzeccata, da sola vale il prezzo del biglietto.
Più che altro, vorrei spendere un paio di parole di difesa sul tema della mitologia misconosciuta, fraintesa e ignorata. Mi sento di difendere la scelta della regista Patty Jenkins, vale a dire il recupero psicanalitico della figura di Wonder Woman attraverso l’idea del suo creatore, William Moulton Marston.
Marston era uno psicologo, vissuto nella prima parte del Novecento. Era un teorico del femminismo ma non per quanto riguarda la dimensione della sessualità, piuttosto i suoi studi vertevano sulla dinamica dei sistemi sociali rispetto alle regole culturalmente implicite. Egli affermava che il potere, in una società, non è dato dalla figura messa a capo di una struttura gerarchica ma dipende dal grado di sopportazione ed efficienza dei sottoposti. Attribuendo al maschio una figura di predominio sociale stratificato nei secoli, egli arrivò ad affermare che è lo spirito di sacrificio della femmina a sostenere l’onere sociale, essendo queste ultime più efficienti se investite di responsabilità. La sottomissione amorosa della donna permette il controllo sociale della violenza anarchica a cui l’uomo è inevitabilmente portato.
Per cui, nelle sue opere, egli rivede e riscrive determinate narrazioni bibliche e mitologiche alla luce di questa idea, e qui si arriva a quanto narrato nel film (le donne donate agli uomini per servirli, amarli e controllarli implicitamente), per cui non c’è alcuna forzatura, né ignoranza, solo una citazione diretta del lavoro del creatore di Wonder Woman.
E’ il senso dello scambio di battute tra Diana, Steve e la segretaria, la cui descrizione del suo lavoro fa dire all’amazzone: “
Somiglia alla nostra schiavitù…”, a ricordare il ruolo di operoso lavoro della donna nella società dell’epoca. Ora, sono questioni di lana caprina, ma mi fa strano che un addetto ai lavori come Recchioni non si preoccupi di informarsi di certe questioni prima di lanciare i suoi strali.
Che dire? Se il modello di riferimento dei cinecomics è il Batman di Nolan, qui troverete solo un pastrocchio, melenso e assolutamente mediocre. Invece, se lo si considera come un semplice film di avventura con una straordinaria protagonista, una trama funzionale allo spettacolo e vi abbandonate all’idea di un cinema più ingenuo e disimpegnato, allora potreste ricavarne un po’ di sano divertimento.