Non abbiamo un po’ troppo sottovalutato questo titolo?
La cosa più rilevante e significativa di Nioh, a quasi un anno dalla sua uscita, è che non c’è titolo uscito nel corso del 2017 che possa tenergli testa dal punto di vista delle meccaniche ludiche e dell’approfondimento. Né Zelda e neanche altri titoli da me giocati possono vantare il grado di perfezione del combat system e la sua sapiente specializzazione, roba da far esplodere il cervello in fase di studio, di applicazione e di elevazione. Il modello ludico di From è stato preso, mondato da storture e consegnato con la limpidezza tipica dell’action game puro. Davvero il giocatore può sperimentare armi e stili come più aggrada e il gioco si dimostra da subito arduo ed inflessibile: o si impara o si muore. Nemici, boss, attacchi, procedure di impegno e disimpegno, qui è tutto leggibile, pulito, rifinito, perfettamente in linea con i più celebrati giochi d’azione di Capcom, Platinum e Team Ninja. Il sistema di stance presenta un dinamismo nella lotta che, se padroneggiato, porta gli sconti a vere e proprie coreografie marziali degne della cinematografia di un Akira Kurosawa, come il duello con Tachibana Muneshige. Se gli ultimi step evolutivi del genere si sono verificati grazie a MG R. e Bayonetta 2, Nioh ha rappresentato davvero quanto di meglio e più articolato il mercato potesse offrire. Un nuovo gradito concettuale con cui From deve fare i conti.
Purtroppo, il suo difetto è dato dalla detestabilissima sudditanza psicologica verso i Souls.
Perché indulgere ad elementi da giochi di ruolo quando hai creato precisi schematismi da action game performativo? Perché affidarsi ad una raccolta selvaggia e quasi indifferenziata di item per accrescere questa o quella statistica quando, sul campo, tutto si sarebbe potuto risolvere con un elegante intreccio di dita? Perché non limitarsi a creare splendide ambientazioni senza avventurarsi nello stesso campo dei Souls, vale a dire il level design circolare, uscendone di fatto con le ossa rotte? E perché ingolfare il tutto con quest senza alcuna progettualità, restituendo al giocatore l’idea di riciclo continuo e di penuria di idee? In Nioh arriva un momento, comune a tutti, in cui la riproposizione del medesimo e dell’identico fa dubitare della bontà dell’intero impianto e dell’opera tutta. Quel momento che ti fa dire: “Cosa faccio? Proseguo oppure basta?”
E’ un momento individuatorio, in cui ogni esito è possibile. Eppure, se si accetta di continuare, qualcosa succede. Si cambiano gli schemi mentali e si esce fuori dal modello “Souls”, per abbracciare una diversa filosofia che porta indietro nel tempo. Non conta più la varietà ma l’approccio. Non è una questione di livelli differenti, ma di lotta. Abilità e leggibilità della pugna sono affidate al giocatore e alla sua capacità di andare oltre. E’ un titolo adamantino, dal cuore ricreativo brillante e luminoso. A prova di stress test, inoltre. Qui non si trovano collisioni sballate e telecamere assurde, nessuno impallerà la vostra capacità di lotta. Quindi non più “ambientazioni” ma sacrari di scontro, da provare e riprovare.
Nioh sarebbe dovuto durare 10 ore, 15 al massimo. Invece, tra secondarie ridondanti, crafting da laurea in ingegneria, looting sull’ordine del centinaio di pezzi a missione, il ritmo viene dilatato con una fase ruolistica che potrebbe allontanare questo titolo dall’olimpo del miglior gameplay della sua epoca. Che pure strappa, grazie proprio alla sua schiacciante superiorità. Per fortuna, la struttura a livelli chiusi e separati permette di focalizzare gli sforzi e di rendere più leggera la traversata, senza impicci dati dalla strada da trovare o da porte da sbloccare. E poi, chi ha approfondito lo sa, le secondarie del Crepuscolo e affini arrivano a un grado di cattiveria tale che il videogiocatore di razza si sente finalmente messo a parte di una grande sfida arcade, come ai tempi di Vanquish. Con tutte le limitazioni del modello action di TN, come, ad esempio, le oscillazioni incredibili di difficoltà e picchi inaspettati, per quanto, avendo in mente tutto il gioco, alla fine viene da concludere con un plauso all’equilibrio. E’ l’Onimusha che Capcom ci ha negato, ma proprio per quella sua struttura, a metà tra epoca PSX/PS2, un po’ sclerotizzata e un po’ infantile, con i suoi innesti narrativi a mo’ di puzzle e di ricostruzione. Credo che Nioh sia abbastanza frainteso in questo senso: è una grande costruzione immaginifica del periodo sengoku a cui si riferisce e la sua preziosità sta proprio nel colmare le lacune della storia con innesti fantastici/fantasiosi e molto dotti a voler approfondire. La sua natura didascalica e fondamentalmente “misteriosa” rende il susseguirsi di eventi come poco interessanti se non casuali, ma il realtà la visione complessiva è da grande titolo. E un’inattesa sobrietà da parte di TN, per cui sia le mostruosità che le scene di nudo e sesso sono introdotte e visualizzate con gusto e cautela. Un’ottima base per ricerche personali.
Nioh è forse un capolavoro mancato ma, anche così, si aggiudica il titolo di miglior gameplay della sua annata.