Si tratta di un film poco 'cinematografico' e molto 'teatrale'. Nel senso che la narrazione è figlia della parola, non dell'azione. Ciò premesso, se non disturba rimanere concentrato per due ore su dialoghi scoppiettanti, e brevi ma incisivi monologhi, qui c'è da divertirsi. E parecchio.
Valutandolo come fosse un dramma teatrale, nell'impianto è classico. Tre atti strutturalmente equivalenti, variazioni quasi lineari, climax sul finale. Ma non siamo a teatro: e quindi come film risulta innovativo.
Tutti gli attori sono in parte, e Fassbender e la Winslet fanno innamorare. Quando sono in scena assieme annullano scenografie, musiche, movimenti di camera e anche il tempo. Anche il ritmo generale ha lo stesso grandissimo pregio, di far mantenere alte le aspettative, di far sospendere il giudizio, e di permettere un totale abbandono alla storia. Che, va ribadito, non è quella 'vera' di Jobs; eppure, nella finzione della rappresentazione, è verosimile, brillante, avvincente.
Il maggior pregio della regia è di scomparire. Salvo qualche stacco di montaggio, praticamente non c'è filtro con la sceneggiatura, e gli attori possono dare il meglio di sé. Come, in effetti, fanno.