Autore Topic: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games  (Letto 7926 volte)

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Offline MrSpritz

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #15 il: 31 Ott 2014, 10:23 »
Il problema è che l'impatto di un opera è difficilmente prevedibile a priori.
Ci son culture e sottoculture diverse nel mondo in cui la ricezione di un opera avviene in modo diverso. Quando leggo un libro, guardo un film, gioco a Bayonetta quel che ricevo è fortemente condizionato dalle mie esperienze pregresse, dalla mia educazione e dalla mia cultura di provenienza. E stabilire quanto sia inconscio dell'autore e quanto sia io a metterci del mio è molto difficile.

Anche prodotti che han una precisa nicchia di mercato (Harmony, My mini Pony, ecc.) partono creando contenuti pensando ad un pubblico preciso, ma poi di fatto vengono recepiti anche da soggetti che esulano dal target prefissato.

Quindi responsabilità sì, ma non può essere assoluta.

Citazione
In seconda battuta, credo sia importante contestualizzare, assolutamente, ma non deve essere necessariamente una scusante o giustificazione di qualsiasi posizione. Per sfruttare di nuovo l'esempio a me caro di Lovecraft, in certe discussioni sulle sue posizioni alquanto discutibili in materia di razza, immigrazione ecc, si vede spesso obiettare che in fin dei conti non si può più di tanto rimproverare questo atteggiamento a Lovecraft perché era "figlio dei suoi tempi", di un'epoca in cui le concezioni di diritti civili ed umani erano molto diverse. Ora, se è vero che all'epoca di Lovecraft le sue posizioni erano probabilmente la "normalità", ciò non le rende giuste o accettabili neanche prese nel loro contesto, sopratutto se vi sono autori come Mark Twain, nato 45 anni prima, che aveva posizioni ben diverse su quell'argomento e su altri temi sociali ed etic

Questo è molto vero. Ed è giusto anche cercare di capire quanto uno sia figlio del suo tempo e quanto però proprio quei pregiudizi vanno a comporre il pensiero di un autore. Heidegger è un buon esempio di nazista secondo me, secondo altri si può denazistizzare e neutralizzare senza intaccarne il pensiero.

Offline Nihilizem

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #16 il: 31 Ott 2014, 23:18 »
Aldilà del titolo in questione, trovo in ogni caso comprensibile che un'opera di nicchia cerchi di "soddisfare" in modo anche "discutibile" quella ristretta e specifica fascia di pubblico a cui è rivolta, in casi come questo mi sembra sempre un pò ottuso scandalizzarsi e fare polemica.
Mi sembra una concezione un pò deprimente del medium in generale e di Bayonetta particolare, se veramente capisco ciò che intendi, sopratutto dal momento che, dal mio punto di vista, il personaggio è preda di una specie di schizofrenia nelle modalità in cui viene rappresentata e tratteggiata.
Da un lato soggetto indipendente, dall'altro puro oggetto atto a compiacere lo sguardo e agire da fantasia masturbatoria.
Mi rendo conto che sto attribuendo ad un personaggio virtuale attributi (quali l'indipendenza) che non può naturalmente avere. Diciamo che non credo venga presentato al meglio.

Il problema è che l'impatto di un opera è difficilmente prevedibile a priori.
Ci son culture e sottoculture diverse nel mondo in cui la ricezione di un opera avviene in modo diverso. Quando leggo un libro, guardo un film, gioco a Bayonetta quel che ricevo è fortemente condizionato dalle mie esperienze pregresse, dalla mia educazione e dalla mia cultura di provenienza. E stabilire quanto sia inconscio dell'autore e quanto sia io a metterci del mio è molto difficile.

Anche prodotti che han una precisa nicchia di mercato (Harmony, My mini Pony, ecc.) partono creando contenuti pensando ad un pubblico preciso, ma poi di fatto vengono recepiti anche da soggetti che esulano dal target prefissato.

Quindi responsabilità sì, ma non può essere assoluta.

E' un discorso indubbiamente complesso, ben aldilà dei ristretti confini del videogioco. Un'opera può ad esempio venire interpretata in maniera estremamente diversa dagli intenti dell'autore.
Un esempio che mi ha sempre incuriosito è quello di Starship Troopers, di Paul Verhoeven. Un film apparentemente banale che da una certa fetta di pubblico viene visto come polpettone militarista dai toni vagamente fascistoidi, da altri (come lo stesso regista) come una satira del militarismo e della propaganda patriottarda, mentre altri semplicemente lo considerano un "semplice" film d'azione fantascientifico senza cercarvi nessun particolare sotto-testo.
Questo può naturalmente accadere anche all'interno di un preciso videogioco, ed è possibile che a seconda di chi lo esamina se ne traggano conclusioni diverse. Per quello è però secondo me doppiamente importante l'analisi critica dello stesso.
Perché se è vero che un certo elemento può essere stato inserito con la massima buona fede dell'autore, può anche darsi che questo sia stato fatto in maniera talmente maldestra da tradire l'intento, e portare avanti un messaggio contrario agli intenti.
 
Anche per quello parlo di responsabilità. Non nel senso che un autore deve essere messo in croce per ogni sfumatura della sua opera, ma perché sopratutto quando si trattano argomenti delicati è doppiamente importante farlo con attenzione e maturità. Il che naturalmente non significa che non ci sia posto per opere felicemente "cazzone", nel senso positivo e liberatorio del termine. La mia sensazione è che però non ci sia equilibrio da quel punto di vista.
Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.

Offline ferruccio

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #17 il: 01 Nov 2014, 13:37 »
Questo è molto vero. Ed è giusto anche cercare di capire quanto uno sia figlio del suo tempo e quanto però proprio quei pregiudizi vanno a comporre il pensiero di un autore. Heidegger è un buon esempio di nazista secondo me, secondo altri si può denazistizzare e neutralizzare senza intaccarne il pensiero.

Il problema è che sono in pochissimi a saper fare queste operazioni (Sarkeesian non è fra questi). Il "nigger" in Huckleberry Finn (censurato nelle più recenti edizioni americane del libro) è chiaramente una parola figlia del tempo in cui è stato scritto. Altre opere, invece, erano bigotte pure nel 1800. Allo stesso modo è chiaro che non ci sia alcuna malizia o alcun sessismo in Peach o Miss Pacman. Il problema è che le analisi femministe adottano un approccio ultra-formalista, in cui non solo non contano le intenzioni degli autori (e qui posso essere d'accordo), ma non conta neanche il contesto dei tropes e delle immagini, perché l'assunto è che tutto influenza profondamente gli individui. La figura della principessa diventa "problematica"* in sè anche quando in teoria si dovrebbe parlare di idee aggregate.

E qui si va a uno dei problemi fondamentali delle teorie femministe. Si ripete il mantra di "un cliché non è dannoso in sé ma per il fatto di essere un cliché". Cioè il problema non è la donna sexy in un medium, ma il fatto che ci siano troppe donne sexy in quel medium. Poi però si criticano singole opere per l'uso di tropes (vedi Dragon'n Crown o Bayonetta o Super Mario).

Siamo però al discorso di prima. Tu riporti questi esempi come se fossero gli unici che Sarkeesian ha riportato, senza tenere conto del fatto che erano inseriti in un discorso volto a mostrare appunto l'evoluzione del tema nei videogiochi, o per meglio dire la mancanza di evoluzione. E mi sembra difficile tu possa realmente credere, da persona addentro alle cose, che certe derive o esagerazioni (chiamiamoli così) non siano presenti anche oggi. Magari è cambiata l'iconografia, ma la sostanza è spesso rimasta la stessa.

E' rimasta la stessa? Ma quando mai? Ma dove? Quanti giochi rilasciati negli ultimi anni hanno come scopo di liberare una donna mezza nuda rapita sotto minaccia di stupro?


Spero sia chiaro che non sto cercando di tracciare un parallelo tra un razzista xenofobo come Lovecraft (pur nella sua genialità) e l'immaginario street-pulp dei beat'em up di due decenni, ma è solo per evidenziare come la loro età può essere si una spiegazione di certi elementi ivi contenuti, ma non li scuserebbe automaticamente.

E invece sì. Le morali cambiano in base a periodo e contesto. Al tempo dei romani gli schiavi erano la normalità. Così come cinquanta anni fa era normale prendere a schiaffi in bambini (in Italia ancora oggi è così, ma lasciamo stare). Imporre morali attuali a opere del passato è un passatempo ozioso e puritano.


Anche qua, non credo che stiate considerando il discorso di Sarkeesian in maniera del tutto giusta. Già dal titolo "Tropes vs Women" (e non che so io, Videogames vs Women), alle dichiarazioni dell'autrice nei suoi video, l'intento non è di dipingere l'intero medium come sessista, o di evidenziare la presenza di un ipotetico fil rouge anti-progressista che legherebbe il medium o determinati generi all'interno dello stesso. L'obiettivo dichiarato è prendere determinati tropes, ed analizzare i videogiochi che lo contengono per vedere l'uso che ne fanno. Per fare l'esempio del primo trope, la "Damigella in pericolo", la tua obiezione reggerebbe se durante il video dichiarasse che il videogioco preso come medium è nella sua interezza "colpevole" di sfruttarlo acriticamente. Però non lo fa, bensì si limita ad evidenziare gli esempi del suo uso nel videogioco. La maggior parte di questi esempi sono negativi, ma spiega anche come In The Secret of Monkey Island il trope venga sovvertito, o come in Beyond Good in Evil il trope sia presente in minima quantità, ma trattato in maniera decisamente più "progressista".

Alla luce di questi intenti, mi concederai che l'obiezione secondo la quale avrebbe dovuto esaminare un pool maggiore di videogiochi perde valenza.
Facciamo che tu apra un thread dedicato all'argomento specifico che so io, dele meccaniche stealth nei videogiochi, perché pensi magari che nella maggior parte dei casi siano realizzate malissimo. Per ovvi motivi, concentrerai la tua attenzione sui giochi ove tale opzione è presente. Se ti si venisse a dire in quello stesso thread "Ma nei giochi X, Y e Z non c'è lo stealth, ergo il problema non si pone", credo di poter dire che ribatteresti giustamente che i giochi Z, Y e Z non c'entrano nulla con il thread, perché stai parlando in maniera specifica dei giochi in cui c'è lo stealth. Se invece ti si obiettasse che Mark of the Ninja ha, al contrario di ciò che dici, meccaniche stealth ottimamente realizzate, sarebbe quella si un'obiezione che risponde al merito del problema che poni.

Spero di essere riuscito a veicolare correttamente il mio pensiero sull'argomento.

Quello che Sarkeesian dice di voler fare e quello che ottiene alla fine non coincidono. Perché il punto è esattamente che se non hai un criterio quantitativo quello che stai facendo è proporre una tesi che non può essere confutata per il semplice fatto che ti stai scegliendo i campioni da analizzare. Cioè, se l'intento di Sarkeesian non è di dimostrare che i videogiochi nel complesso sono sessisti, qual è il senso della sua operazione? Se il suo scopo fosse quello di dimostrare come il sessismo tocca i videogiochi, allora si dovrebbe fare un'analisi qualitativa. Prendere un paio di titoli particolarmente significativi, analizzarli approfonditamente, e mostrare in che modo quei contenuti sono sessisti. Ma usare come strumento analitico i tropes, cioè i cliché, cioè quello che per definizione è un problema solo quando è presente in grandi quantità, è il contrario di un approccio qualitativo. In realtà Sarkeesian fa un'operazione furbetta. La sua mancanza di rigore ha esattamente lo scopo di mostrare il sessismo come prevalente nei videogiochi, senza però offrire alcuna prova quantificabile.
E questo è un'atteggiamento comune di tutti gli -ismi e di tutti i militanti e gli attivisti. Come i fanatici religiosi che vedono peccato, sporcizia e sesso ovunque, i femministi vedono sessismo ovunque, gli antifascisti militanti vedo nazisti ovunque, gli animalisti vedono animali maltrattati ovunque etc.
Quando hai un martello, tutto sembra un chiodo, insomma.


Non ho obiettivamente una risposta, e come te so che si tratta di un problema complesso.
L'unica cosa che posso ribattere è che non penso che nei videogiochi in cui è presente la problematica questa venga trattata con la maturità che merita. E' naturalmente anche colpa della giovinezza (relativa) del medium ma credo che dopo qualche decennio sia comunque lecito attendersi un pò di meglio.
Ci tengo però a convenire che non ritengo nemmeno io che la soluzione sia piazzare le donne in una specie di campana di vetro, intoccabili ed inavvicinabili. E dai video "incriminati", non traspare nemmeno che il problema in sé sia l'atto stesso di uccidere una donna in un videogioco.
Il problema non nasce quindi ad esempio dall'avere soldati donne nelle file nemiche, e nell'affrontare nemici che sono donne bensì nel fatto che certi giochi pongono in essere situazioni che nell'offrire al giocatore potere assoluto su vite digitali e nell'"oggettificazione" sessuale delle donne su cui si esercita questo potere, anche di morte, si ritrovano ad offrire paralleli sin troppo stringenti con la realtà, facendo finta di esistere in un vuoto.
Non credo che la soluzione sia nel censurare questi giochi, assolutamente. E non mi sembra l'obiettivo di Tropes vs Women.
Ritengo lecito però che di questo si parli, che se necessario si critichino gli esempi più beceri, e che sia possibile auspicare che un domani gli sviluppatori nel rappresentare certe dinamiche sociali lo facciano con maggiore maturità e cura. E perché ciò avvenga, credo sia necessario che venga portato avanti il discorso.
E' vera la tua ultima frase, assolutamente. Ma credo che non si cambino le cose nemmeno con la tacita accettazione. Con ciò non voglio dire che necessariamente tutti debbano rigettare questo stato delle cose. Alcuni vogliono solo giocare e del sotto-testo non gli frega nulla, il che è lecito. Ma credo sia altrettanto rispettabile la posizione di chi auspica non la censura, ma la presa di coscienza che, forse, certi tropes narrativi sono o abusati, o usati maldestramente.

La soluzione è, molto banalmente, trattare i personaggi femminili come quelli maschili. Perché il videogioco non è un medium lineare, e il giocatore crea il senso tanto quando il designer. Se un giocatore di GTA si mette ad andare in giro ad ammazzare donne la "colpa" è del giocatore, non del designer che gli "permette" di farlo. Se il designer premia il giocatore, allora sì, il gioco sta incentivando questo comportamento. Ma a me non viene in mente neanche un gioco che faccia cose del genere (a parte quella parte orrenda di God of War 3 che ho citato prima).
Inoltre non si deve fare l'errore di considerare la narrativa come la base del videogioco. A parte casi limite (avventure grafiche) la narrazione è accessoria in un videogioco. La motivazione per cui Max Payne o il tipo di The Darkness si mettono ad ammazzare nemici è assolutamente secondaria. Il motivo per cui uno gioca quei giochi lì sta nella meccanica, non nella storia. Non è un caso che i giochi più action abbiano anche il maggiore uso di cliché: semplicemente in un gioco action la storia, che è contorno, deve essere presentata nella maniera più veloce possibile. Quando hai un limite di costi e di attenzione dell'utente di 3 minuti per una cutscene introduttiva non ti metti a scrivere Infinite Jest. Semplicemente il tizio è uno sbirro, gli hanno ammazzato la famiglia, ammazza tutti. Applicare gli schemi di giudizio della letteratura o del cinema è come applicare gli schemi di giudizio del balletto a una partita di calcio.

Ma allo stesso tempo, e di questo sono fermamente convinto, l'arte (e in essa ai fini di questo discorso inglobo i videogiochi) non è muta, non è prodotta nel vuoto, e i suoi autori non possono invocare la non responsabilità. Qualsiasi opera d'arte esprime un messaggio ed un intento, siano essi profondi o dispersi nel vuoto pneumatico del pensiero. Per usare il tuo esempio, la rappresentazione di X non equivale a portare avanti l'istanza di X, ma il modo in cui X viene trattato nell'opera in questione può eccome dirci qualcosa, che sia sulle intenzioni dell'autore o sul contesto in cui lavora.
In tal senso, il modo in cui viene trattato X nell'esempio summenzionato è assolutamente passabile di scrutinio. Il che ripeto, non significa censura o desiderio che qualsiasi opera si adegui ad un ipotetico canone etico, ma semplice analisi (per quanto soggettiva).

Sicuramente puoi giudicare qualsiasi opera come pare a te. Ma io rifiuto le letture moralistiche dell'arte.

Riguardo a Bayonetta, sono personalmente combattuto. Da un lato è un esempio per eccellenza di femminilità dominante, conscia di sé, auto-sufficiente. Quasi una Power-Fantasy femminile.
E questa mia opinione è condivisa da certe femministe che ho letto, tanto per dire che il femminismo non è un blocco granitico di opinioni.
Allo stesso tempo però, credo sia innegabile che vi sia in Bayonetta (il gioco) una componente di titillamento a tratta eccessiva (dal mio punto di vista), e l'identità del personaggio (aiutato da una trama non indimenticabile) sembra spesso passare in secondo piano rispetto alla componente puramente voyeuristica, in cui della protagonista vengono messi in risaltato principalmente il corpo e le pose provocanti al limite dell'anatomicamente possibile in cui si esibisce.
Non so. Mi ricordo che poco dopo l'uscita del gioco Kamiya si dichiarò estremamente sorpreso (in negativo) dal fatto che girassero illustrazioni pornografiche amatoriali ritraenti Bayonetta. Il che mi fa chiedere se sia un imbecille che vive in un mondo suo, o se realmente il suo intento con questo gioco era tutt'altro. Spesso penso la seconda, ma ogni tanto mi viene difficile conciliare ciò con certe scene che si vedono direttamente nel gioco, che sembrano più fare l'occhiolino al giocatore presumibilmente maschio, piuttosto che l'esaltazione di una femminilità padrona di sé stessa.
Insomma, su Bayonetta non ho le idee chiare, ma non posso certo rimproverare a nessuno di rilevare l'aspetto che credo sia indubbio salti immediatamente all'occhio.

Innanzitutto il design visivo di Bayonetta è opera di una donna. Inoltre le sue proporzioni del corpo allungate e fuori misura sono ispirate allo stile degli schizzi degli stilisti. Questo lo dico per dare un minimo di contesto e per dire che non è che tutto venga da Kamiya. Inoltre l'idea che "soggetto desiderante = bene" e "oggetto desiderato = male" è un'idea fortemente semplicisitica e maschilista della sessualità. L'oggettificazione non è sempre debolezza. Una spogliarellista può sentirsi potente nel suo essere titillante. Non c'è niente che sia oggettivamente degradante, nella sessualità. E' il modo in cui qualcosa è fatto, il contesto e le intenzioni dei partecipanti che rendono qualcosa degradante o meno. E Bayonetta (il gioco) non è MAI degradante nei confronti di Bayonetta (il personaggio). Come corollario si potrebbe anche far notare che Bayonetta è un gioco giapponese, e magari si potrebbe anche evitare il razzismo culturale di considerare il femminismo angloamericano come una lente applicabile a tutto.

* minchia quanto odio questa parola. E' un termine così moscio, di chi non vuole prendersi la responsabilità di ammettere che pensa che una certa cosa sia sessista, razzista o omofobica. Pensiero debole della peggior specie.
E allora Mozart?

Offline Nihilizem

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #18 il: 01 Nov 2014, 22:30 »
Quotes di ferruccio (in disordine);

Citazione
E invece sì. Le morali cambiano in base a periodo e contesto. Al tempo dei romani gli schiavi erano la normalità. Così come cinquanta anni fa era normale prendere a schiaffi in bambini (in Italia ancora oggi è così, ma lasciamo stare). Imporre morali attuali a opere del passato è un passatempo ozioso e puritano.
Normalità e moralità non sono la stessa cosa. E giudicare con parametri di oggi opere ed azioni di ieri è qualcosa che si fa regolarmente in qualsiasi ambito. Proprio perché la morale e l'etica sono concetti che si sono evoluti col tempo, e sulla base di quelli giudichiamo anche il passato.
Dire che la schiavitù era normale in una determinata epoca storica non significa che fosse virtuosa, così come non consideriamo un'opera come The Birth of a Nation esente oggi da critiche perché è del 1915.
Un'opera va sicuramente contestualizzata nell'epoca in cui è nata, ciò non significa che il suo contenuto o i suoi messaggi siano inattaccabili. Questo non significa un'invito a censurarli e edulcorarli, ma nemmeno ad accettarli acriticamente.


Citazione
Quello che Sarkeesian dice di voler fare e quello che ottiene alla fine non coincidono. Perché il punto è esattamente che se non hai un criterio quantitativo quello che stai facendo è proporre una tesi che non può essere confutata per il semplice fatto che ti stai scegliendo i campioni da analizzare. Cioè, se l'intento di Sarkeesian non è di dimostrare che i videogiochi nel complesso sono sessisti, qual è il senso della sua operazione? Se il suo scopo fosse quello di dimostrare come il sessismo tocca i videogiochi, allora si dovrebbe fare un'analisi qualitativa. Prendere un paio di titoli particolarmente significativi, analizzarli approfonditamente, e mostrare in che modo quei contenuti sono sessisti. Ma usare come strumento analitico i tropes, cioè i cliché, cioè quello che per definizione è un problema solo quando è presente in grandi quantità, è il contrario di un approccio qualitativo. In realtà Sarkeesian fa un'operazione furbetta. La sua mancanza di rigore ha esattamente lo scopo di mostrare il sessismo come prevalente nei videogiochi, senza però offrire alcuna prova quantificabile.
E questo è un'atteggiamento comune di tutti gli -ismi e di tutti i militanti e gli attivisti. Come i fanatici religiosi che vedono peccato, sporcizia e sesso ovunque, i femministi vedono sessismo ovunque, gli antifascisti militanti vedo nazisti ovunque, gli animalisti vedono animali maltrattati ovunque etc.
Quando hai un martello, tutto sembra un chiodo, insomma.
Stai di nuovo introiettando ed attribuendo all'operazione intenti che non ha. Se ricavi dai suoi video l'impressione che tutti i giochi siano sessisti, non so che dirti. E mi sembra palesemente inutile continuare a battere su quel tasto, quindi restiamo d'accordo nel non essere d'accordo.
Considererei una critica più pertinente esaminare nel dettaglio gli esempi che porta e rispondere nel merito degli stessi. Fare il processo alle intenzioni mi sembra francamente inutile.

Citazione
La soluzione è, molto banalmente, trattare i personaggi femminili come quelli maschili. Perché il videogioco non è un medium lineare, e il giocatore crea il senso tanto quando il designer. Se un giocatore di GTA si mette ad andare in giro ad ammazzare donne la "colpa" è del giocatore, non del designer che gli "permette" di farlo. Se il designer premia il giocatore, allora sì, il gioco sta incentivando questo comportamento. Ma a me non viene in mente neanche un gioco che faccia cose del genere (a parte quella parte orrenda di God of War 3 che ho citato prima).
Inoltre non si deve fare l'errore di considerare la narrativa come la base del videogioco. A parte casi limite (avventure grafiche) la narrazione è accessoria in un videogioco. La motivazione per cui Max Payne o il tipo di The Darkness si mettono ad ammazzare nemici è assolutamente secondaria. Il motivo per cui uno gioca quei giochi lì sta nella meccanica, non nella storia. Non è un caso che i giochi più action abbiano anche il maggiore uso di cliché: semplicemente in un gioco action la storia, che è contorno, deve essere presentata nella maniera più veloce possibile. Quando hai un limite di costi e di attenzione dell'utente di 3 minuti per una cutscene introduttiva non ti metti a scrivere Infinite Jest. Semplicemente il tizio è uno sbirro, gli hanno ammazzato la famiglia, ammazza tutti. Applicare gli schemi di giudizio della letteratura o del cinema è come applicare gli schemi di giudizio del balletto a una partita di calcio.
La prima parte non la riesco a recepire. Aldilà del caso specifico, il fatto che determinate meccaniche siano possibili "normalmente" in un videogioco, e che non portino ad un fail-state significa altroché che c'è lo zampino del designer. Voglio dire, in Fallout 3 non si possono uccidere i bambini, proprio perché il game-designer ha messo il veto su quell'aspetto. Non è quindi una questione di "lasciamo fare al giocatore quel cavolo che vuole e chi se ne frega". Un game-designer prende coscientemente una decisione, e in base a quello mette quegli strumenti in mano al giocatore.
In GTA gli sviluppatori hanno deciso che;
-1) Il giocatore può fare sesso con una prostituta.
-2) Dopo averci fatto sesso può ucciderla.
-3) Una prostituta uccisa rilascia soldi.

Sono tutti e tre elementi che ci sono perché lo sviluppatore ha voluto che ci fossero, e non sono di certo bugs.
Il discorso che sia incentivato o meno ha poco peso, dal momento che tale azione è possibile.

Con ciò non sto invocando una moratoria sulla mortalità femminile nei videogiochi, sto dicendo che sarebbe positivo se certi temi venissero trattati con maggiore maturità.

La tua risposta, che è in sostanza "La trama nei videogiochi è accessoria e quindi necessariamente mediocre" è una spiegazione che non mi soddisfa, e sopratutto non mi basta. Non solo perché determinati videogiochi hanno saputo dare alla propria narrazione una cura ben maggiore, ma perché almeno personalmente spero realmente che il livello odierno non sia ritenuto sufficiente e soddisfacente da tutti, e che ci sia la volontà di un'evoluzione. Sicuramente non è il mio caso.

Citazione
Sicuramente puoi giudicare qualsiasi opera come pare a te. Ma io rifiuto le letture moralistiche dell'arte.
Non mi sono fatto promotore di una lettura moralistica dell'arte.

Citazione
Innanzitutto il design visivo di Bayonetta è opera di una donna. Inoltre le sue proporzioni del corpo allungate e fuori misura sono ispirate allo stile degli schizzi degli stilisti. Questo lo dico per dare un minimo di contesto e per dire che non è che tutto venga da Kamiya. Inoltre l'idea che "soggetto desiderante = bene" e "oggetto desiderato = male" è un'idea fortemente semplicisitica e maschilista della sessualità. L'oggettificazione non è sempre debolezza. Una spogliarellista può sentirsi potente nel suo essere titillante. Non c'è niente che sia oggettivamente degradante, nella sessualità. E' il modo in cui qualcosa è fatto, il contesto e le intenzioni dei partecipanti che rendono qualcosa degradante o meno. E Bayonetta (il gioco) non è MAI degradante nei confronti di Bayonetta (il personaggio). Come corollario si potrebbe anche far notare che Bayonetta è un gioco giapponese, e magari si potrebbe anche evitare il razzismo culturale di considerare il femminismo angloamericano come una lente applicabile a tutto.
Con la differenza (nel discorso riferito alla spogliarellista) che, auspicabilmente, la spogliarellista è un soggetto libero da volontà altrui, autonomo e pensante, capace di prendere decisioni. Quindi non è, per definizione, oggettificata. Bensì è un soggetto.
In seconda battuta, non ho mai detto che la sessualità è degradante, ma spero che la precisazione sia inutile.
Può invece essere degradante se è l'unica caratteristica di un determinato personaggio, in quanto questo viene privato della sua identità e ridotto ad oggetto sessuale.
Non so se questo succeda in Bayonetta, e ho impiegato due post per cercare di evidenziare il mio non avere idee e posizioni chiare sull'argomento, quindi almeno per quanto mi riguarda non ho molto da aggiungere, viste che non voglio trovarmi attribuite idee e certezze granitiche che non ho.

Sul discorso della giapponesità di Bayonetta, un prodotto ripetiamolo realizzato per la fruizione di un pubblico internazionale, mi sembra bizzarra l'idea che possa essere giudicata solo con un punto di vista giapponese.
Giusto per esserne certi, sei veramente convinto che non si possano esprimere giudizi su elementi ed opere nate in una cultura diversa dalla nostra? Quali sono i confini entro i quali si esprime questa possibilità o meno di giudicare un'opera straniera? Se dicessi che un libro o un film americani sono razzisti questo farebbe di me un razzista perché sto applicando loro categorie di pensiero europei?
Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati.

Offline Kiavik

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #19 il: 03 Nov 2014, 04:10 »
Non sembra per niente frutto di una mente maschile, anzi.

Infatti, il chara designer di Bayonetta è una donna.

Offline slataper

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #20 il: 03 Nov 2014, 12:27 »
Ho visto i primi due video linkati nel post di apertura, curioso di vedere il resto. Il prodotto è interessante, forse limitato a causa dell'approccio militante dell'autrice. Per quanto riguarda la "damigella in pericolo" e le forme ad essa collegate, vengono descritte una serie di situazioni ricorrenti nei videogiochi dalle origini ad oggi, sottolineando come la figura femminile sia spesso ridotta a soggetto passivo dell'azione dell'eroe o dell'antagonista.

Una critica che mi sento di muovere all'analisi, è dovuta alla scelta di non esaminare con lo stesso dettaglio anche i numerosi esempi in cui la figura femminile è soggetto attivo dell'azione: in uno dei video vengono mostrate le copertine di Beyond Good & Evil e di un altro titolo che non ricordo, ma l'autrice segnala brevemente che esistono videogiochi in cui la donna non è passiva è passa oltre. Legittimo rispetto all'obiettivo, ma a mio parere mettere in relazione esempi a favore ed esempi contrari avrebbe reso l'analisi più interessante e più autorevole agli occhi di uno spettatore non militante. Trovo inoltre anomalo che l'autrice abbia ignorato quei giochi in cui al giocatore è permesso personalizzare l'avatar a partire dalla scelta del sesso.
Mi riservo di rettificare quanto scritto dopo aver completato la visione.

Un'affermazione in particolare mi ha lasciato dubbioso, per non dire scettico: i videogiochi dovrebbero trattare con maggior delicatezza e maturità i temi problematici? A mio parere no, tra morale e libertà espressiva io parteggio sempre per la seconda. Se un autore ritiene opportuno, per esempio, trucidare cento donne (o altra categoria a scelta) in un libro, film, o videogioco, per me ha il diritto di farlo, anzi ha il dovere di farlo ribellandosi persino alla propria moralità, se ciò ha senso all'interno della sua opera: una storia non è giusta o sbagliata, una storia funziona oppure non funziona. L'archetipo dell'eroe che salva la ragazza è problematico perché perpetua una logica maschilista? Posso essere d'accordo, ma è un archetipo vecchio di millenni che pervade tutti i media e, criticabile o meno, da un punto di vista narrativo funziona.
« Ultima modifica: 03 Nov 2014, 13:03 da rosario oliveri »
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Offline MrSpritz

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #21 il: 03 Nov 2014, 12:55 »
C'è da dire che la principessa in Mario veniva rapita perché l'unica in grado di eliminare il sortilegio sui Toad.

Quindi uno potrebbe anche dire che è l'equivalente del salvare il Presidente negli action movie.


In ogni caso ribadisco iniziativa lodevole, ma metodologia che fa acqua da tutte le parti.

Offline Nihilizem

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #22 il: 03 Nov 2014, 16:45 »
Non sembra per niente frutto di una mente maschile, anzi.

Infatti, il chara designer di Bayonetta è una donna.
Il che non significa nulla di per sé. A prescindere dallo specifica di Bayonetta, un contenuto non diventa più o meno "progressista" se realizzato da una donna.
E di nuovo, prescindendo da Bayonetta, ho incontrato de visu donne che avevano posizioni sulla materia più ampia dell'uguaglianza tra i generi che avrebbero fatto arrossire anche maschi dichiaratamente non proprio favorevoli al femminismo.

Una critica che mi sento di muovere all'analisi, è dovuta alla scelta di non esaminare con lo stesso dettaglio anche i numerosi esempi in cui la figura femminile è soggetto attivo dell'azione: in uno dei video vengono mostrate le copertine di Beyond Good & Evil e di un altro titolo che non ricordo, ma l'autrice segnala brevemente che esistono videogiochi in cui la donna non è passiva è passa oltre. Legittimo rispetto all'obiettivo, ma a mio parere mettere in relazione esempi a favore ed esempi contrari avrebbe reso l'analisi più interessante e più autorevole agli occhi di uno spettatore non militante. Trovo inoltre anomalo che l'autrice abbia ignorato quei giochi in cui al giocatore è permesso personalizzare l'avatar a partire dalla scelta del sesso.
Nel primo caso, esamina si videogiochi in cui il trope è presente ma in forma diversa, è però cosa che avviene sopratutto nel terzo video.
Chiaro, questo confronto è limitato ai giochi in cui il trope è presente, quindi se un gioco ha una trama in cui l'elemento non ricorre non viene preso in considerazione ai fini della disamina.
Cosa che per qualche motivo sembra trovare parecchi perplessi se non fortemente negativi, e la cosa onestamente ancora non me la so spiegare.
Limitandoci all'esempio più stretto del trope della Damsel in Distress, l'autrice esamina i videogiochi in cui è presente in una forma e nell'altra, e le viene rimproverato;
1. Che i tropes o clichés non sarebbero apparentemente degni di analisi, come se per loro stessa natura non esistessero come elemento narrativo rispecchiante il contesto in cui nascono, e che ci portiamo dietro anche in epoche in cui la loro ragion d'essere ha smesso di esistere. Un trope non nasce dal nulla, è lo specchio del modo di pensare dell'epoca in cui è nato. Di conseguenza, esaminare i tropes che continuano a persistere in un determinato medium è una metodologia critica ed analitica più che valida.
2. Che pur lì dove lei dichiara di aver lo scopo specifico di esaminare questi trope, Sarkeesian non estenda la sua analisi ad altre opere, non so bene con che criterio. Insomma, sembra che molti vedano i suoi video e il messaggio che ne ricevono è "I videogiochi sono paccottiglia sessista in cui non si fa altro che salvare donzelle in pericolo" e sembra che ogni esempio portato dall'autrice venga in realtà preso come teso ad illustrare l'intero medium. Lì dove l'intento, almeno come lo ho inteso, è semplicemente di esaminare un determinato cliché, vedere da dove nasce, e cercare di determinare perché determinati giochi, anche moderni e di un certo peso, continuino ad usarlo.

Citazione
Un'affermazione in particolare mi ha lasciato dubbioso, per non dire scettico: i videogiochi dovrebbero trattare con maggior delicatezza e maturità i temi problematici? A mio parere no, tra morale e libertà espressiva io parteggio sempre per la seconda. Se un autore ritiene opportuno, per esempio, trucidare cento donne (o altra categoria a scelta) in un libro, film, o videogioco, per me ha il diritto di farlo, anzi ha il dovere di farlo ribellandosi persino alla propria moralità, se ciò ha senso all'interno della sua opera: una storia non è giusta o sbagliata, una storia funziona oppure non funziona. L'archetipo dell'eroe che salva la ragazza è problematico perché perpetua una logica maschilista? Posso essere d'accordo, ma è un archetipo vecchio di millenni che pervade tutti i media e, criticabile o meno, da un punto di vista narrativo funziona.
Innanzitutto, il fatto che un archetipo sia tale non lo rende necessariamente giusto. Ci sono parecchi archetipi che col tempo sono stati abbandonati, e oggi difficilmente potrebbero essere usati in maniera non parodistica o referenziale.
Per il resto, non ho molto da aggiungere. Un autore ha il diritto di fare ciò che desidera nella sua opera, e per lo stesso medesimo principio ho il diritto di criticarlo anche aspramente se ciò che ha scelto di fare non incontra il mio gradimento. E visto che nessuno ha invocato o ha il poter di imporre la censura su queste opere, credo e spero sia lapalissiano che entrambi le posizioni co-esistano. E sono allo stesso tempo assolutamente convinto che lo shock-value può essere usato sia per rinforzare la trama e dire qualcosa, sia come puro elemento fine a sé stesso, che nasce e finisce nel suo essere shockante. La differenza tra Manhunt 1 e 2, per rimanere nell'ambito videoludico. Penso che il primo caso sia più meritevole del secondo, ma non per questo sono assolutamente contrario all'esistenza del secondo.
Seriamente, preferirei non si usassero termini quali moralismo o puritanesimo. Non ho questa posizione, e non ho nessuna voglia di passare il resto della discussione a ribadirlo.

Sono d'accordo infine che una storia può essere ottima anche sfruttando un trope usurato, è mia opinione che la maggior parte degli esempi portati siano mediocri e non funzionino. E l'adagiarsi su archetipi narrativi vecchi come il mondo non è certo una componente minore del loro essere mediocri.
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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #23 il: 04 Nov 2014, 00:38 »
Nihilizem, il testo di presentazione del primo video così recita:
Citazione
This video explores how the Damsel in Distress became one of the most widely used gendered cliché in the history of gaming and why the trope has been core to the popularization and development of the medium itself.
Il mio inglese è tutt'altro che ottimo, ma quando leggo "most widely used", "history of gaming" e "core to the popularization and development of the medium itself", devo concludere che l'intenzione dell'autrice sia quella di parlare del mondo dei videogiochi nel suo complesso.

Perché quindi la selezione dei titoli da esaminare è cruciale per la bontà dell'analisi? Perché quei titoli sono presentati come rappresentativi del medium videoludico, come l'autrice stessa ribadisce a conclusione del primo video:
Citazione
Ok, so we’ve established that the Damsel in Distress trope is one of the most widely used gendered cliché in the history of video games and has been core to the popularization and development of gaming as a medium.
Notare che le parole sono quasi le stesse del testo di apertura, con una significativa differenza che ho evidenziato in grassetto: l'autrice ritiene di aver stabilito una certa cosa relativa al medium, ma ciò non è possibile poiché ha selezionato esplicitamente le fonti in modo arbitrario.
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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #24 il: 04 Nov 2014, 08:12 »
Credo che stiamo leggendo la frase in maniera diversa. Nel senso che lo leggi in senso assoluto, io in termini relativi riferito al novero di tropes sfruttati dal medium.
Prendiamo in generale il repertorio di tropes ed archetipi narrativi esistenti nel videogioco ed usati sin dalla sua nascita. Riesci, partendo da una prospettiva di genere, a nominarne un numero significativo (o anche solo un paio) che siano più diffusi di quello della Damsel in distress?

Per fare un esempio, se io dicessi che "Lo scontro fisico e la violenza sono uno degli elementi più diffusi nel videogioco sin dalla sua nascita, e uno dei principali cardini attorno al quale si imperniano le sue meccaniche", è un'affermazione con la quale concorderesti o meno? Eppure esiste una quantità sterminata di videogiochi che non contengono violenza e in cui lo scontro fisico come premessa del gameplay non è presente.
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Offline slataper

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #25 il: 04 Nov 2014, 10:42 »
Credo che stiamo leggendo la frase in maniera diversa. Nel senso che lo leggi in senso assoluto, io in termini relativi riferito al novero di tropes sfruttati dal medium.
Prendiamo in generale il repertorio di tropes ed archetipi narrativi esistenti nel videogioco ed usati sin dalla sua nascita. Riesci, partendo da una prospettiva di genere, a nominarne un numero significativo (o anche solo un paio) che siano più diffusi di quello della Damsel in distress?
La domanda va fatta a Sarkeesian, non a me :).
Posso dirti come imposterei la ricerca:
1) delimitazione del campo di indagine secondo un criterio oggettivo (vg più venduti, vg con valutazione media più alta, vg appartenenti a una serie ecc.);
2) identificazione sistematica degli archetipi presenti;
3) identificazione degli archetipi di genere;
4) verifica dell'incidenza di ciascun archetipo di genere nel campione d'indagine.
Solo così potrei dare una risposta sensata. Ci vorrebbe molto tempo? Probabilmente sì, dipende dai limiti del campo d'indagine.

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Per fare un esempio, se io dicessi che "Lo scontro fisico e la violenza sono uno degli elementi più diffusi nel videogioco sin dalla sua nascita, e uno dei principali cardini attorno al quale si imperniano le sue meccaniche", è un'affermazione con la quale concorderesti o meno? Eppure esiste una quantità sterminata di videogiochi che non contengono violenza e in cui lo scontro fisico come premessa del gameplay non è presente.
E' un'affermazione generica, sulla quale posso concordare a livello di chiacchiera ma che non utilizzerei come base di una ricerca. Potrebbe andare bene se fosse in forma interrogativa, "Lo scontro fisico e la violenza sono uno degli elementi più diffusi nel videogioco sin dalla sua nascita, e uno dei principali cardini attorno al quale si imperniano le sue meccaniche?".
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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #26 il: 04 Nov 2014, 11:40 »
La domanda la pongo a te, nel senso che stai mettendo in dubbio la sua asserzione sulla preponderanza del trope in oggetto, e pensavo quindi fosse perché hai in mente altri archetipi (di genere) che per la loro presenza e frequenza contrastano la frase di Sarkeesian.

I passi che esemplifichi sul come impostare la ricerca hanno secondo me senso, solo che non mi è molto chiaro il come si applichino al lavoro di Sarkeesian.
Mi permetto a questo punto di fare un attimo un passo indietro e riproporre un'analogia che avevo precedentemente fatto;

Facciamo che tu apra un thread dedicato all'argomento specifico che so io, delle meccaniche stealth nei videogiochi, perché pensi magari che nella maggior parte dei casi siano realizzate malissimo. Per ovvi motivi, concentrerai la tua attenzione sui giochi ove tale opzione è presente.
Naturalmente, ti si potrebbe obiettare che hai torto, e che nel gioco X, Y o Z lo stealth è presente ma realizzato bene. Il che sarebbe ovviamente un'obiezione pertinente.
Accetteresti però l'obiezione che prima di fare quel discorso dovresti ampliare il tuo campo di ricerca includendo una serie di titoli con criteri quali il numero di vendite, la valutazione media, prescindendo dal fatto se tali titoli abbiano o meno elementi stealth?
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Offline MrSpritz

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #27 il: 04 Nov 2014, 13:46 »
Però sarebbe un po' tautologico dire che nei giochi in cui si usa un determinato stereotipo viene usato quello stereotipo. Non credi?

Offline Nihilizem

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #28 il: 04 Nov 2014, 14:05 »
Indubbiamente si.
Ma credo sia importante far risaltare quando uno stereotipo è tale, e cercare di capire perché venga ancora usato in abbondanza.
Altrimenti, e questo vale in molti ambiti, si rischia semplicemente di darli per scontato senza discuterli.

Se l'operazione di Sarkeesian ha portato alcuni giocatori e sviluppatori ad interrogarsi e chiedersi perché tropes come quelli che ha segnalato vengano ancora usati, credo che il risultato sia stato positivo.

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Offline slataper

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Re: Anita Sarkeesian - Tropes vs Women in Video Games
« Risposta #29 il: 04 Nov 2014, 15:24 »
Non metto in dubbio il merito bensì il metodo:
1) l'autrice premette che intende esplorare come la "damigella in pericolo" sia diventato uno degli archetipi di genere più utilizzati nei videogiochi;
2) l'autrice affronta il tema esaminando una selezione di videogiochi in cui l'archetipo esiste;
3) l'autrice conclude affermando di aver mostrato che la "damigella in pericolo" è uno degli archetipi di genere più utilizzati nei videogiochi.

Il punto è che, empiricamente, posso concordare con le conclusioni dell'autrice, poiché nella mia esperienza di videogiocatore ricordo più maschi-soggetto e femmine-oggetto che il contrario, ma ciò non toglie che la sua analisi sia insoddisfacente per difetti metodologici.

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Facciamo che tu apra un thread dedicato all'argomento specifico che so io, delle meccaniche stealth nei videogiochi, perché pensi magari che nella maggior parte dei casi siano realizzate malissimo. Per ovvi motivi, concentrerai la tua attenzione sui giochi ove tale opzione è presente.
Naturalmente, ti si potrebbe obiettare che hai torto, e che nel gioco X, Y o Z lo stealth è presente ma realizzato bene. Il che sarebbe ovviamente un'obiezione pertinente.
Accetteresti però l'obiezione che prima di fare quel discorso dovresti ampliare il tuo campo di ricerca includendo una serie di titoli con criteri quali il numero di vendite, la valutazione media, prescindendo dal fatto se tali titoli abbiano o meno elementi stealth?
Aprirei un thread del genere se volessi provocare un flame.
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