Il numero 2 come doppio, il numero 2 come replica, o come gemello, o ancora come la vita che non ci è data.
Denis Villeneuve con Enemy non fa che confermarsi come uno dei talenti registici più puri di questi ultimi anni. Se non è bastato il glaciale bianco e nero di Polytechnique a far piazza pulita di Elephant di Van Sant, o il più recente Prisoners ad azzannare il genere thriller per la giugulare, il talento canadese stavolta ci ha riprovato con un film piccolo, intimo, capace di entrare sottopelle, che dissemina indizi e apre porte e decine di dilemmi che alimentano domande senza risposta. Chi è colui che vediamo? Adam il professore di storia o la star cinematografica Anthony Claire? O sono la stessa persona? Una gigantesca burla o una vicenda alla stregua degli episodi di The Twilight Zone?
Tratto da L'Uomo Duplicato di Saramago, il film di Villeneuve è un pugno alla tradizionalità, ai tempi cinematografici moderni, che scruta in direzione del connazionale Cronenberg (come dimenticare l'inquietante inquadratura che tronca la pellicola?) e del Lynch di Strade Perdute, e che non teme giudizio poichè ciò che rimane negli occhi di chi guarda è un collage dei segnali fin lì accumulati dalla mente di ciascuno, un viaggio dentro una mente che ricicla errori come la storia dell'uomo da lui insegnata, un viaggio nella quotidianità di Adam (o Anthony?) che diventa ricerca di un'unica verità preclusa.