Secondo me è tutte e due le cose, nel senso che si avvertiva una certa 'estraneità' tecnica al mondo del doppiaggio professionale, ovviamente, e in qualche passaggio, soprattutto nel primo, mi era sembrato di primo acchitto un po' troppo pacato, ma questi difettucci erano compensati alla grandissima dalla sua personalità e spontaneità.
In altre parole, è come ascoltare un padre che amorevolmente racconta in maniera sentita ma semplice una favola al figlio, anziché assistere a una piece teatrale superprofessionale ma non confidenziale ed empatica. Contestualizzato in Toy Story, nella sua narrativa e nel suo senso stesso, ho sempre trovato questo elemento come un valore aggiunto, una nota di calore data da Frizzi alla versione italiana. In tal senso, mi trovo assai con chi avverte ora una ulteriore vena di malinconia nel ricordare il finale della trilogia.