Autore Topic: Cucina Tipica Regionale: The CTR Place, e le stelle Michelin stanno a sbavare...  (Letto 15766 volte)

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Offline peppebi

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Adoro il vino bianchetto di Gambellara, i bigoli al torchio con ragù di lepre o anatra, il musso con la polenta, il prosciutto crudo di Montagnana, il cimbro di fossa e tante altre cose che ho trovato qui in Veneto.
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Offline Xibal

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Xibal ok per tutto l'impegno che ci stai mettendo, però senza qualche foto...
Corretto. Ho corretto... ;D
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Offline Xibal

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Maccheroni con le ceppe

I maccheroni con le ceppe (localmente chiamati "i makkarù nghe li cèpp") sono così denominati perchè si tratta di grossi bucatini fatti a mano arrotolando la pasta intorno a un bastoncino. Una leggenda vuole che si tratti di una pietanza inventata da un cuoco militare che, durante un assedio alla Fortezza di Civitella, non avendo disponibilità di attrezzi idonei, utilizzò un ceppetto in legno inventando, dunque, i maccheroni con le ceppe.

Sono una delle paste abruzzesi fatte in casa più buone in assoluto ma anche più a rischio di estinzione per la complessa manualità della preparazione, frutto di tradizione e di esperienza. Per fare "il buco" a questo tipo di maccherone, le massaie si servivano di una sottile bacchetta di legno (la ceppa) ben levigata, attualmente sostituita da un sottile filo di acciaio inox (in realtà in precedenza dalla stecca di un ombrello, fornita da un artigiano civitellese ormai morto, e con lui anche la tradizione purtroppo ndXibal), deve rimanere però intatta la destrezza con la quale si deve togliere dal ferro il maccherone perfettamente dritto ed integro.



Preparazione:

Si dispone sulla spianatoia (preferibilmente in marmo o legno) la farina a fontana, se ne fa un impasto con le uova e l'acqua necessaria, si amalgama il tutto e lo si lavora fino ad ottenere un impasto omogeneo, lo si unge con l'olio, lasciandolo riposare in una terrina per 30 minuti; quindi si divide la pasta in tanti pezzetti uguali che verranno allungati per circa 15 cm. l'uno.

Poi con "certosina" pazienza si avvolge ognuno di questi maccheroni ad un sottile ferro da calza senza cromatura, così da ottenere dei maccheroni col buco. Si fa bollire dell'acqua (aggiungendovi un filo d'olio, per evitare che le ceppe si appiccichino), la si sala e si aggiunge la pasta per 10 / 15 minuti.

Una volta scolata, la si condirà con abbondante ragù saporito e rigorosamente a base di carne, spolverando il tutto con pecorino o parmigiano grattugiato, altra variante di condimento assai gustosa è quella con zucchine trifolate con cipolla e pinoli, oppure con melanzane o ciò che la stagione suggerisce. Anche lo stomaco più delicato e difficile, apprezzerà quest'autentica delizia tutta civitellese, perché digeribilissima.

Si potrà gustare il piatto in tutti i ristoranti del posto, sarà invece più difficile procedere all'acquisto della pasta fresca poiché non è in vendita in nessun negozio e soltanto alcune donne civitellesi la realizzano ancora.
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Offline Xibal

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Cagionetti

I cagionetti o calgionetti, in dialetto locale anche “caggiunitt’”, sono tra i più diffusi e noti dolci tipici abruzzesi originari della zona del teramano. Si presentano con una forma simile ai ravioli, dorati in superficie, con una massa un po’ friabile e un ripieno che può variare da zona a zona. Preparati in inverno e particolarmente nel periodo natalizio, prevedono un ripieno composto da un impasto di castagne, zucchero, cioccolato fondente grattugiato (molto cioccolato ), mandorle tostate e macinate, rum, bucce di limone grattato e cannella.
    Molto diffuse anche altre due varianti di ripieno, che utilizzano i ceci o la classica marmellata di uva, anche detta “scrucchiata” (altamente sconsigliati dalla sottoscritta, per la quale, questi sono solo una pallida imitazione dei veri, unici cagionetti di castagne, una brutta copia, insomma).
    Nella ricetta tradizionale, si sgusciano le castagne, che vengono lessate e passate, quindi si aggiungono lo zucchero, il cioccolato, le mandorle, il rum, la buccia di limone grattugiata, la cannella e si fa amalgamare il tutto. Si lascia riposare l’impasto per una giornata. Il giorno dopo si prepara la massa con un bicchiere di vino bianco, uno d’acqua e uno di olio extravergine di oliva. A massa ottenuta, se ne ricava una sfoglia molto sottile (i più bravi riescono, a fine cottura, a renderla quasi trasparente facendo scorgere il ripieno ndXibal) subito ritagliata in piccoli fazzoletti che, farciti col ripieno, vengono chiusi in forma di ravioli e fritti in abbondante olio extravergine di oliva (in realtà è preferibile utilizzare olio di semi per un sapore meno deciso ndXibal). In alternativa, la cottura può avvenire anche al forno. (giammai! ndXibal)
 Il tutto poi va spolverato con zucchero misto a cannella in polvere.



 
Ingredienti:

Per la pasta:
250 gr. di olio d’oliva
250 gr. di vino bianco secco
farina

Per il ripieno:
1 litro di mosto cotto
300 gr. di mandorle tostate e tritate
100 gr. di zucchero
100 gr. di cioccolato
500 gr. di ceci lessati (o castagne lessate)
1/2 bicchiere da tavola di rhum e anisetta
cannella

Inoltre:
olio per friggere
zucchero
cannella

Versare in una casseruola il mosto cotto e metterlo sul fuoco; quando il liquido sarà ben caldo, unire le mandorle, un pizzico di cannella, il cioccolato.
 Mescolare bene, poi aggiungere tanto purea di castagne (o ceci) quanto ne occorre per ottenere una crema densa; levarla allora dal fuoco e unirvi lo zucchero e il liquore.
Mescolare accuratamente e porre il recipiente in frigorifero per qualche ora, affinché il composto si solidifichi bene.
 Versare in una capace ciotola l’olio ed il vino ed aggiungere tanta farina quanta ne occorre per ottenere un impasto sodo.
Mettere il composto sulla spianatoia e lavorare a lungo la pasta, senza più aggiungere farina; stenderlo quindi col mattarello in una sfoglia sottile.
Sistemare sulla sfoglia tanti mucchietti di ripieno e ripiegare la pasta per ottenere i “caggionetti” che debbono avere la forma di borsette a semicerchio.
 Friggerli in buon olio d’oliva non troppo bollente, senza farli colorire; scolarli e posarli su carta di tipo assorbente.
Quando saranno tutti pronti, collocarli sul piatto di portata e spolverizzarli con zucchero e cannella in polvere.
Si possono consumare caldi, tiepidi o freddi.
« Ultima modifica: 02 Ago 2013, 17:32 da Xibal »
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Offline Giobbi

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Offline Scarlet

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Sì va bè Xibal, ma tu praticamente pretendi che Seppia si trasferisca qui, che abiti da me per un anno così prova tutta al cucina di mia nonna e nel tempo libero lo porto nelle varie sagre o nei ristoranti più sperduti. Dovrebbe provare le lumache di mia nonna,la pecora alla callara, il bollito di gallina, cervello di agnello al forno con pan grattato, le neole, i formaggi che si trovano nell'entroterra fra pecorini, con i vermi e ricotte, una mangiata come si deve di pesce (e purtroppo ho scoperto da poco che chiuso l'approdo a Roseto, che per 5-6 anni consecutivi aveva vinto il premio per la migliore frittura d'Italia), etc etc etc. Quando viene sta sempre fra i 2 e i 3 giorni e non è fattibile fargli provare tutto (comunque è innegabile che abbiamo una cucina "grezza" eh). Sui vini invece si sbaglia di grosso, ma è abituato al mio vino per lo più che è troppo forte per il suo palato (come deve essere il montepulciano d'Abruzzo giustamente), ma probabilmente non si ricrederebbe neanche dopo un bel giro esaustivo durante cantine aperte, proprio perché abituato a vini "fini"
« Ultima modifica: 03 Ago 2013, 06:42 da Scarlet »

Offline Lenin

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Offline Void

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Ma il Sauris?
Gnam

http://www.agraria.org/prodottitipici/prosciuttodisauris.htm
Mai provato il Sauris, ma...
Citazione
La conformazione orografica e l’esposizione consentono una bassa variabilità climatica con rare giornate di freddo intenso durante l’inverno, in cui le temperature medie sono comprese fra -2°C e +4°C, e ancor più rare
giornate estive di caldo afoso, in cui le temperature medie sono comprese fra 12°C e 18°C.
Voglio andare io a stagionarmi in un posto così :yes:
Se tu dai un pesce ad un uomo, lo avrai sfamato per un giorno. Se gli proponi di imparare a pescare, ti risponderà che sei un neoliberista
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Offline l'Amico

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Scarlet, non dimenticare il nostro Pecorino! Io non bevo vino perché sono superiore a questi vizi effimeri, ma dicono che sia ottimo. E gli insaccati! Seppia, vieni un anno da noi, ti ridurremo ad un Homer in men che non si dica.
Buonissimi i cagginetti, non sapevo che fossero roba teramana! Simili (e io li preferisco) i cillichieni, a forma di ferro di cavallo e ripieni di marmellata. Non sono fritti, si cucinano al forno e sono una roba eccezionale.
Lenin, quel piatto li che hai postato dovrai cucinarmelo prima o poi, lo sai si?
Ah, Scarlet, Xibal...perché non abbiamo ancora nominato lo zarrefano? Abbiamo lo zafferano piu' buono del pianeta, perdinci!
Patate allo zafferano (totali!) :


Pollo allo zafferano :


Be', mica potevo mettere sempre il solito risotto!
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"Vendo Xbox One, acquistata oggi - me ne voglio sbarazzare in fretta".

Offline Yoshi

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sempre il solito risotto!

Il risotto fuori dalla Padania non lo sapete fare, mi spiace.  :no:
Sto giocando online a Civ 6

Offline Shape

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Mai mangiato le patate allo zafferano, hanno un aspetto meraviglioso.

L'Amico, vai di ricetta per piacere!

Offline femto88

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Le ricette veloci di Giampiero Galeazzi:

Patate allo zafferano:
Peli e tagli le patate. metti in forno, spargi lo zafferno, togli. un po' di sale. Pronto.

 :P
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Offline recklessman

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Pasta reale

La pasta reale è niente di meno che una pasta di mandorle dolcissima molto usata in Sicilia. L'impasto veniva chiamato così in quanto degno di un re: nella fattispecie Ruggero II di Sicilia.
Forse la più antica e famosa preparazione fatta con questa pasta è la Frutta di Martorana, che vide la luce ufficialmente a Palermo, nel convento annesso alla chiesa eretta durante il 1143 da Giorgio d'Antiochia il quale era l’alto ufficiale del re.
In questo convento con il marzapane le suore preparavano dei piccoli dolci per la festa di Ognissanti, dolci che imitavano nell’aspetto frutti d'ogni tipo dai colori vivacissimi, ottenuti grazie alla gomma arabica la quale permetteva di fissare le tinture vegetali a quell’epoca derivanti da rose, zafferano, pistacchio ecc.

La storia del nome della frutta di Martorana: quando nel 1193 circa la nobildonna Eloisa Martorana fece costruire un monastero benedettino accanto alla chiesa ed al convento, e così in suo onore, sia il complesso edilizio che i dolci preparati dalle monache assunsero il nome "della Martorana". Con il passare del tempo ad ogni festività corrispondevano delle forme specifiche dei dolci di marzapane come ad esempio i cavallucci per Sant'Antonio o gli agnelli per Pasqua: insomma, potete anche voi sbizzarrirvi.

Per fare anche voi la pasta reale dovete seguire questi pochi semplici passi, e potrete gustare le meravigle della pasticceria Siciliana. La pasta reale ha un alto contributo calorico, essendo la frutta secca particolarmente energetica, come lo stesso zucchero, quindi non è consigliato un consumo ececssivo, anche se è davvero difficile resistere alla bontà di questo tipico prodotto.

Ingredienti: circa un chilo di zucchero, 500 grammi di mandorle dolci e 100 grammi di glucosio. Procedimento: Per preparare una buona pasta reale dobbiamo innanzitutto far bollire le mandorle per qualche minuto e poi spellarle e grattuggiarle.
In una pentola poi facciamo la glassa con lo zucchero, il quale va mescolato con li glucosio e un bicchiere di acqua. Adesso facciamo bollire il tutto per toglierlo quando si sarà addensato al punto giusto.
Versiamo quindi questa glassa sulle mandorle grattuggiate mescolando bene con un cucchiaio di legno. Aspettiamo che il composto diventi tiepido e poi possiamo dare al composto la forma che preferiamo.

Come abbiamo già detto, la forma può essere diversa a seconda della vostra preferenza, ecco perché questa pasta reale coloratissima e bella oltre che buona è particolarmente indicata per i bambini, i quali vedono in quei colori la magia del mangiare sano, e non le solite merendine del supermercato che non sanno da niente. Se potete, preparate queste bontà ai vostri figli, non rimarrete delusi dalle loro caffe contente di mangiare finalmente qualcosa di nuovo, fatto in casa ma soprattutto buono!



Arancine

Santa Lucia, il giorno dell'arancina tra devozione e scorpacciate
Nel giorno di Santa Lucia da Siracusa, che vorrebbe il digiuno dei devoti, l'eretico è chi non mangia l'arancina. O meglio chi non fa una vera e propria scorpacciata di palle di riso. A Palermo è la giornata dell'odore di fritto nell'aria. Lo senti arrivare fuori dalle rosticcerie, ma anche dalle abitazioni di chi prepara in casa il simbolo della festa. Nel capoluogo siciliano l'arancina sta a Santa Lucia come la colomba sta a Pasqua o come il panettone sta a Natale. O forse come il tacchino sta al giorno del Ringraziamento negli Stati Uniti d'America.

LA LEGGENDA. Patrona di Siracusa, Lucia, protettrice degli occhi, è una delle sante più venerate a Palermo. Così si narra che in un periodo di carestia i palermitani si affidarono proprio alla santa aretusea per interrompere il digiuno che "rispose" facendo arrivare al porto un bastimento carico di grano. Il grano non venne sottoposto a molitura per farne farina, venne bollito e condito con un filo d'olio per sfamare il maggior numero di persone nel più breve tempo possibile. Nacque così la cuccia, altra specialità gastronomica che oggi sarà su molte tavole. Da quel momento si dice che i palermitani nel giorno di Santa Lucia preferiscano astenersi dai farinacei, pane e pasta su tutti. C'è chi addirittura in questa giornata non tocca assolutamente cibo. Ma prevalgono i golosi, coloro che per un anno attendono l'arancina day.

DOVE MANGIARE LE ARANCINE. Ci sono luoghi cult conosciuti da quasi tutti i palermitani amanti del riso farcito da carne o burro (ma anche da pollo, salmone, cioccolato e chi più ne ha più ne metta) e ricoperto dalla sottile impanatura e poi ci sono rosticcerie di quartiere, con una clientela di nicchia. Nel primo caso da citare il bar Alba di piazza Don Bosco, il Rosanero di piazzetta Porta Reale, Massaro di via Ernesto Basile. Nel secondo caso il Gardenia, a Cardillo, Amato, in via Brunelleschi, Scatassa, in via Ammiraglio Rizzo. E poi tante altre realtà che magari a noi saranno sfuggite e che i nostri lettori potranno suggerirci. Con una mano sulla tastiera e l'altra a reggere l'arancina davanti al pc. Buon appetito!



Ingredienti:

1,300 kg di riso superfino arboreo (oggi si può reperire quello adatto per arancine e sformati). Con queste dosi si ottengono circa venti arancine
Tre litri circa di brodo di carne o vegetale
1 cipolla
100 grammi di burro
2 bustine di zafferano (meglio ancora quello in fili)
250 grammi parmigiano grattugiato
200 grammi di primosale tagliato a cubetti
Olio di semi di mais per friggere
Pangrattato abbondante

 Per il ragù di carne:

400 grammi tritato di carne di manzo
1 cipolla
100 grammi concentrato di pomodoro
50 grammi di parmigiano grattugiato
2 foglie di alloro
2 chiodi di garofano
200 grammi di piselli freschi al netto delle bucce (vanno bene anche i pisellini surgelati)
Olio extra vergine d’olive
½ bicchiere di vino bianco
Sale e pepe q.b.

Preparare il risotto circa dodici ore prima di realizzare le arancine (deve essere freddo, perché per la buona riuscita delle arancine  l’impasto deve essere abbastanza duro e appiccicoso).
Preparare il brodo lo nel quale scioglieremo lo zafferano.
In un tegame capiente, fare appassire la cipolla tagliata finemente (non deve imbiondire), aggiungere il riso e farlo tostare quindi, sempre mescolando, aggiungere il brodo, ben caldo, poco per volta e portare il riso a cottura, scendere dal fuoco e amalgamarvi il parmigiano grattugiato ed il burro. Fare mantecare per qualche minuto, quindi versarlo in un piatto grande e farlo raffreddare.

Prepariamo il ragù:

Soffriggere in un tegame la cipolla  con l’olio. Aggiungere il tritato  farlo rosolare a fuoco vivace, facendo attenzione a sgranarlo bene con un cucchiaio di legno, quindi sfumare con il vino. Unire sale, pepe, alloro, chiodo di garofano e il concentrato sciolto in poca acqua (il ragù, alla fine deve risultare denso, quasi asciutto) e, a cottura ultimata, il parmigiano.
Cuocere i piselli (se usiamo quelli surgelati, li scongeliamo in acqua salta boolente con 1 foglia di alloro e un pizzico di zucchero), scolarli e unirli al ragù freddo.



Confezioniamo le arancine:

Prendere una cucchiaiata di riso e metterla sul palmo della mano in modo da formare un incavo dove metteremo un cucchiaio di ragù e, al centro, un cubetto di primosale. Prendere un’altra cucchiaiata di riso e ricoprire molto bene il ragù, facendo attenzione a non farlo fuoriuscire. Formare l’arancina stringendo questo composto con le mani in modo da compattarlo. Passare a pangrattato sempre compattando l’arancina e mettere da parte. Procedere fin quando si esauriscono gli ingredienti.
In abbondante olio bollente friggere le arancine fin quando non saranno ben dorate (il risultato migliore si ottiene con una friggitrice).















Variante:

L’arancina tradizionale l’abbiamo appena descritta, ma un ottima variante è quella, che dalle nostre parti, chiamiamo al burro e che in questo caso assume la forma allungata (simile a una pera) per distinguerla da quella ripiena di carne.
Per prepararla il procedimento è identico, cambia soltanto il ripieno che viene realizzato amalgamando i seguenti ingredienti:
500 grammi di mozzarella tagliata a cubetti
300 grammi di prosciutto cotto tagliato a pezzetti
30 grammi di parmigiano grattugiato
100 grammi di burro.

« Ultima modifica: 03 Ago 2013, 18:20 da recklessman »
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Offline Xibal

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Le Virtù

Le virtù sono un piatto della cucina teramana, caratteristico del primo di maggio.
« Al primo di maggio noi usiamo di cucinare insieme ogni sorta di legumi, fave, fagiuoli, ceci, lenti, ecc. con verdure ed ossa salate, orecchi e piedi pure salati di maiali; e questa minestra chiamiamo Virtù ...  »
(Giuseppe Savini, Lessico del dialetto teramano)

Piatto dalla storia controversa di cui molti paesi rivendicano la primogenitura ma le cui origini romane sembrano incontestabili e riconosciute dallo stesso Giuseppe Savini, primo a studiare in modo sistematico le tradizioni e il folklore della provincia di Teramo.

Savini infatti, cita Poggio Bracciolini (1380-1459) che riferisce come questo piatto ai suoi tempi fosse molto noto a Roma, dove si consumava proprio alla data del 1º maggio ed era chiamato con lo stesso nome di Virtù, oggi usato in Teramo.
(LA)
« Facetum Contra Romanos Qui Edunt "Virtutes":
Calendis Maii, Romani varia leguminum genera, quae virtutes appellant, simul coquunt mane eduntque. Franciscus Lavegnis, Mediolanensis, per jocum, cum is mos recitaretur inter socios: -- 'Nequaquam mirum est,' inquit, 'Romanos a superioribus degenerasse, cum singulis annis eorum virtutes edendo absumant' »    (IT)
« Detto giocoso su i romani che mangiano le "virtù":
Ai primi di maggio i Romani raccolgono varie specie di legumi che chiamano virtù, le cociono e le mangiano alla mattina. Francesco Lavegni, di Milano, per ridere parlandosi fra amici di questo costume: «Non è da meravigliare», disse, «che i Romani abbiano degenerato dai loro maggiori, perché ogni anno le loro virtù hanno consumato mangiandole. »
(Poggio Bracciolini, oltre l'edizione citata da Savini cfr. ad esempio, Facezie, prefazione di Domenico Ciampoli, Lanciano, Carabba, stampa 1911)

Si tratta di un cibo molto antico che rispetta rigorosamente "le scadenze calendariali e i ritmi stagionali", scrive Giuseppe Di Domenicantonio in un suo studio, un cibo che se ormai è ufficialmente "adottato" come proprio dal popolo teramano, si ritrova, sia pure con altre denominazioni e caratterizzato da numerose varianti, in molti paesi d'Abruzzo.

Si dice che in passato le Virtù venivano prodotte dall'intera comunità che le distribuiva agli indigenti. In effetti tale usanza sembra permanere nell'abitudine a cucinare le Virtù in grande abbondanza e ad offrirle in omaggio ai vicini, alle persone care e anche a semplici e occasionali conoscenti.

In tutti i casi le Virtù appaiono legate all'incerta esistenza dei contadini che al termine dell'inverno vuotavano le madie e le ripulivano da tutti gli avanzi. Ai legumi secchi, così raccolti, si univano gli ingredienti freschi che già la nuova stagione aveva iniziato a produrre in abbondanza.

Tale credenza tuttavia per quanto molto nota non è molto seguita nella pratica e gli ingredienti in realtà sono sempre in numero maggiore. Resta il fatto che il sapore deve nascere dalla realizzazione di una perfetta miscela nella quale nessun ingrediente deve emergere.

Secondo Giuseppe Savini le Virtù venivano un tempo chiamate anche "li zocche" o "cucine" ma si tratta di espressioni ormai non più in uso.



La scelta degli ingredienti può subire variazioni notevoli, sia nelle quantità che nella tipologia degli ingredienti. Senza entrare qui nel merito della ricetta, delle quantità, delle proporzioni o della preparazione che richiede una procedura lunga e complessa, si elencano qui gli ingredienti base, in modo da dare un'idea concreta della varietà di elementi che concorrono alla realizzazione di questo piatto:

legumi secchi: fagioli di varie qualità, ceci e le lenticchie (da prepararsi separatamente e in modo diverso);
legumi freschi: piselli e fave in primo luogo;
verdure: zucchine, carote, patate, carciofi, bietole, indivia, scarola, lattuga, verza. cavolfiore, cicoria, spinaci, finocchio, rape;
odori: aglio, cipolla, maggiorana, salvia, timo, sedano, prezzemolo, aneto, noce moscata, chiodi di garofano, pepe o peperoncino, pipirella (sorta di menta selvatica, tipica del teramano ndXibal), borragine, finocchietto selvatico (o "annjit", tipico del teramano ndXibal), basilico;
carni: prosciutto crudo, cotiche di maiale, carne macinata di manzo, lardo, lonza, piedi e orecchie di maiale, pancetta, guanciale, polpettine (o pallottine) di manzo;
tipi di pasta: pasta di grano duro corta, pasta fresca all'uovo di varie forme e dimensioni, qualche tortellino e qualche raviolo di carne, con il tempo si sono aggiunte paste all'uovo anche colorate;
altri ingredienti: olio d'oliva, burro, sale, pepe, polpa di pomodoro.
« Ultima modifica: 03 Ago 2013, 18:40 da Xibal »
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