Autore Topic: [Arcade] Wonder Boy  (Letto 2072 volte)

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Offline Jello Biafra

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[Arcade] Wonder Boy
« il: 17 Mag 2003, 11:27 »
Che cos’è la giocabilità? Se guardiamo sul (peraltro inesistente) vocabolario videogiochesco-italiano italiano-videogiochesco, secondo me ci troveremo di fronte a qualcosa di simile:

Giocabilità: [sing., femm,] godimento, divertimento e coinvolgimento effettivo regalato al videogiocatore in cerca di paradisi artificiali. Sinonimo di Super Mario Bros. (1985, Nintendo), Bubble Bobble (1986, Taito), Parasol Stars (1991, Taito), DooM (1993, iD Software) e Wonder Boy (1986, Sega).

Soffermiamoci un attimo sull’ultimo sinonimo: Wonder Boy.  Uscito in sala nel 1986, ad opera del team Westone e pubblicato dalla Sega, fu l’unico gioco a poter competere con Super Mario Bros. sotto il profilo, appunto, del divertimento regalato al giocatore.
La meccanica era semplicissima, come del resto gli standard dell’epoca imponevano: si trattava di un platform a scorrimento obbligato da sinistra verso destra, o, in alcuni casi, dal basso verso l’alto, in cui si controllava un buffo cavernicolo in viaggio per liberare la sua amata dalle grinfie del solito mostrone in preda alla colite spastica e per questo poco propenso al dialogo serio e costruttivo.
Un tasto per saltare, uno per correre o sparare una volta entrati in possesso del giusto bonus, una VALANGA di cibo da raccogliere per incrementare il punteggio, la possibilità di usare uno skateboard per saltare più lontano (per la serie: Tony Hawk è un poppante), qualche boss di fine stage, un paio di segreti ben nascosti e voilà, il capolavoro è servito.

Paradossalmente queste quattro righe sono tutto ciò che c’è da dire riguardo a Wonder Boy. Ma allora dove sta la presunta superiorità di questo inutile giochetto? Semplice, come detto a inizio recensione, stà tutta nel divertimento. Attraversare quel dannatissimo punto di quel maledettissimo livello 4-2, superare il record di punti stabilito dall’invasato di turno durante la trance videoludo-mistica del giorno prima, accedere a quel misterioso mondo segreto, riuscire a raccogliere tutte le lettere bestemmiando il meno possibile, e potrei andare avanti all’infinito.
Wonder Boy è un monumento alla giocabilità, il giocatore rimane letteralmente incollato al video per ore (e in sala continua a mettere monetine), il mondo attorno a lui diventa sfocato, mangiare e dormire diventano operazioni superflue, tutta l’attenzione è concentrata su Wonder Boy.
La perfezione del sistema di controllo e delle collisioni, il level design a dir poco magistrale (degno, secondo me di uno psicologo con test per l’abilità psicomotoria sottomano), la varietà di oggetti, la grafica, che nella sua semplicità diventa un vero spettacolo per gli occhi grazie al suo stile tipicamente giapponese, il sonoro composto da due (DUE!) sole musiche che devono per forza trasmettere qualche messaggio subliminale gratificante, insomma, tutto in Wonder Boy trasuda inventiva, passione, giocabilità. Peccato che oggi se ne ricordino in pochi e che i suoi seguiti abbiano abbandonato l’arcade style per trasformasi in una sorta di action-RPG ante-litteram (tutti comunque di grande qualità). Un capolavoro assoluto, un dei giochi che potremo definire “seminali” in quanto hanno gettato le basi per il futuro del platform game.
Purtroppo Wonder Boy non piacerà a tutti quelli che invece di giocare contano i poligoni su schermo (X-Box owners anyone?) e che antepongono l’ultimo effetto “pel di carota” applicato alle texture al divertimento effettivo che, in fin dei conti, è lo scopo ultimo di ogni videogame.
Fondamentale.