Einhander è un gioco che, come molti, moltissimi, durante l'era PSX, antepone la forma alla sostanza.
E chi siamo noi per biasimarlo quando la qualità e la consapevolezza della messa in scena sono così straordinarie?
Certo, pochi mesi dopo su Saturn sarebbe uscito Radiant Silvergun e poco prima Cave, Psikyo e Raizing/8ing avevano fatto rinascere lo sparatutto bidimensionale a scorrimento dalle sue ceneri, raccogliendo l'eredita Toaplan ma portandola verso nuovi, entusiasmanti, livelli di maturità facendo evolvere l'intera categoria. Ma l'immaginario a cui erano legati era ancora, seppur più raffinato, quello classico, canonico, dello sparatutto da sala anni '80/'90.
Einhander introduceva una dimensione estetica del tutto nuova, anche grazie all'uso del poligono. C'era stato Raystorm, un gioco obiettivamente migliore in tutto rispetto a quello Square, ma Raystorm ce l'aveva una regia dei livelli e degli eventi spettacolari che succedono mentre li si percorre magistrale come Einhander? Oppure una colonna sonora fra Trance e Progressive House che poteva tranquillamente uscire su Eye Q o Guerrilla e nessuno se ne sarebbe lamentato? O un'armonia fra queste componenti e quella interattiva così ben studiata e sviluppata? No, non ce le aveva.
Einhander ha meccaniche abbastanza semplici e poco soddisfacenti (a partire dalle troppe possibilità operative, che confondono e no servono a granché visto che tanto le ondate comuni quanto i guardiani raramente richiedono di sfruttarle in pieno) e una difficoltà mal tarata (è abbastanza semplice ma il fatto che quando muori ricominci troppo indietro è una punizione mai abbastanza vituperata). E non c'è creatività o profondità nella costruzione delle ondate, che sembrano essere state definite in maniera abbastanza casuale.
Ma, nel complesso, rimane lo stesso una produzione che, nel suo, ha segnato un'epoca.