A ben vedere Dragon’s Dogma è un gioco assai poco eversivo nella forma in cui si presenta. L’ennesima epopea fantasy con tanto da vedere, tanto da girare, tanto da discorrere e tanto da esplorare, laddove la forma non crea troppe fratture tra l’azione bellica e deambulazione incuriosita. Ideale punto d’incontro tra le pruderie discrezionali del gioco di ruolo occidentale e l’action game nipponico, categoria avvilita da qualche anno di irriconoscenza causata dall’incompetenza del videogiocatore medio. Ma questa è un’altra storia. In realtà certi confronti servono solo a far capire il contesto di riferimento poiché DD ha una sua personalità ben definita, che si esplica attraverso un ritorno ad atmosfere fantasy più scanzonate e semplici. E’ un gioco giapponese, con tutto quello che si porta dietro, di positivo e di negativo, questa definizione.
Dalla trinità misteriosamente asfittica di guerriero-mago-ladro non si divaga neanche stavolta, per quanto la differenzazione sia almeno più gustosamente maniche nelle fasi iniziali non mancano ulteriori classi di approfondimento. Particolarmente gustosa è la gestione dello pseudo party grazie all’interazione tra le “marionette” dei vari giocatori. Questo sistema “a pedine” è un punto di forza non banale di questo titolo, infinte sono le variazioni e le possibilità che si dispiegano di fronte al giocatore. Lo scambio di risorse e tesori ingenera una corsa all’ottimizzazione che nelle mani sbagliate significa perdita di contatto con la realtà. Rispetto ai compagni di corso (Skyrim e compagnia), DD punta indubbiamente sulla sinergia esplorazione-potenziamento del personaggio, dove il primo aspetto è assolutamente caratterizzante rispetto ad ogni altra offerta del titolo. Preparatevi a sgroppate immani per valli amene, foreste e caverne, in questo frangente il valore della “quest” propriamente detta riporta a giochi di ruolo di quasi 20 anni fa, dove accortezze e gentilezze nei confronti del giocatore erano bandite. Le scorciatoie vanno trovate e il teletrasporto è un lusso che incoraggia una fusione più ridondante con lo spazio-gioco. Le notte si esplora grazie ad un luce poco penetrante e, soprattutto nelle prime fasi del gioco, avventurarsi in una rovina con il timore di vedere spuntare un nemico rappresenta una suggestione gustosa perduta in decine di titoli simili. Eppure il mondo è tutt’altro che sconfinato, avendo in mente la fine del gioco, quello che colpisce è quella proiezione mentale che il giocatore compie nel momento in cui si affaccia per la prima volta sull’open world. Che, appunto, non è sconfinato né irreprensibile ma promettente. Dalle coste frastagliate con dirupi a picco sul mare dove s’intravede una caverna misteriosa, boschi silenti dove qualcosa sfreccia tra gli alberi, caverne roride di acqua e melma, tutto è una provocazione in DD, un’offerta che trova sempre adeguata risposta in segreti, armi, creature, attraverso un perverso sistema di ricerca e potenziamento che da sempre incrementa il numero di ore. DD è una specie di droga.
Tutto è molto più abbozzato di un continente vivo come quello di Skyrim, la sensazione è quella di un gioco di ruolo cartaceo di fine anni ’80 in cui il dado, la fantasia e il dungeon master cooperavano alla ricerca del divertimento a prescindere dai numerosi problemi. Tutto in DD è così: trama traballante, dialoghi un po’ così, complessità ridotta all’osso e quel senso di sospensione dell’incredulità che da sempre è il sale di una certa stupefazione infantile. Il recupero della mitologia come raffigurazione delle creature lo rende in certo qual modo più sacro e affascinante e il combat system, vero punto di forza del gioco, seduce con la sua ritrovata skillosità arcade, pur non raggiungendo l’esigente richiesta di un Demon’s Soul. E’ un action game e come tale si gioca, quasi una versione riveduta e corretta di King of the Dragons, gioco che esteriormente ricorda molto Dragon’s Dogma.
Certo, non manca qualche stortura. Come spesso capita (e come giusto che sia?) il livello di difficoltà è assai elevato al principio (anche un lupo può decretare una fine prematura) per poi avvilirsi nel momento in cui il nostro personaggio inizia a salire di livello. Ovvio, concentrandosi solo su missioni della trama la sfida rimane sempre bella tosta ma non dedicarsi alle subquest significa perdersi il 70% del titolo. Ovvio, si passa dall’uccisione idiota di n animali scemi (in una mi pare che si debbano accoppare 50 conigli, perzio, cos’è un consorzio alimentare?) alla presa di un forte pieno di magni demoniaci che richiede cervello e destrezza però bisogna dire che il gioco fornisce il meglio di sé divagando oltremodo e oltremisura. Il valore di DD risiede nel desiderio di profondità del giocatore.
Secondariamente, il gioco è poco bilanciato nel senso che manca un po’ la perizia di Capcom nell’equilibrio di giochi basati su un sistema ludico. Troppi gli item trasportabili in chiave curativa e troppo limitata l’intelligenza artificiale, la cui pericolosità si basa essenzialmente sul danno procurato. I nemici sono invero alquanto statici e non offrono una buona movimentazione. Oppure, al contrario, c’è una potenza del giocatore talmente spiccata da vanificare molte delle armi del nemico. In ogni caso c’è qualcosa che non va.
Ciò non impedisce a DD di ambire al ruolo di gioco egemone di questo sterile 2012.