Ma concordo ed è ovvio che si tratta di due media differenti, il punto è che le carenze del serial come prodotto in sé corrispondono anche a una confusa e infruttuosa interpretazione del comic, non tanto in termini di ‘fedeltà alla storia originale’, torno a dirlo, quanto di personalità.
Mi spiego meglio. The Walking Dead la serie televisiva fa una chiara scelta di campo: inquadrare l’apocalisse zombie dal punto di vista psicologico umano. In linea di massima, è un approccio coerente con quello del comic e, in teoria, mi sta anche bene. Per questa ragione, a farne le spese nel telefilm sono i risvolti prettamente splatter e la frequenza stessa con cui appagiono gli zombie. Si tratta di elementi presenti in dosi massicce nel fumetto, ma che, costando di più in effetti speciali e diventando tutto sommato meno centrali rispetto ad altri contenuti, sono stati considerati sacrificabili nella trasposizione per il piccolo schermo. Volendo essere un po’ stronzi, ma pure realistici, la limitazione degli elementi gore ha consentito alla serie di avere un pubblico maggiormente ampio e fasce d’orario più popolari (tanto che, In USA, il telefilm viene mandato in onda alle 21:30 e che, al crescere dei consensi di audience, è corrisposta una proporzionale edulcorazione degli aspetti horror). Ma anche questo, alla fin fine, lo trovo accettabile, in teoria.
In pratica, però, il relegamento dello zombie a mero sfondo, a semi-impalpabile ‘causa del male’, finalizzato a enfatizzare i risvolti psicologici dei protagonisti si traduce tristemente in ore di dialoghi banali e pure ripetitivi, che sottolineano sino allo sfinimento, con tratti d’evidenziatore, i lineamenti di personaggi stereotipatissimi, componendo un quadro becero, piatto, oleografico e omologato di solidarietà stucchevolmente buonista tra vittime di una tragedia, che pare la copia carbone di almeno un’altra manciata di serial attuali. Questa vuotezza è il problema del telefilm come prodotto in sé, a cui si aggiunge il fatto che il fumetto non corrisponde a tali caratteristiche, neanche da lontano, avendo un approccio totalmente differente, capace di restituire uno spaccato assai vibrante e piuttosto problematico con molta semplicità, nonché in maniera asciutta. A dispetto di quanto si possa pensare, infatti, il comic ha già di suo un taglio assai cinematografico, i dialoghi sono spesso brevi, le sequenze d’immagini dinamiche, molte delle quali prive di balloon. Tali lineamenti ‘tecnici’ sono stati ben assimilati e rielaborati solo dal Darabont regista, che ha diretto un primo episodio convincente, per poi limitarsi alle sceneggiature, disperdendosi nel drammone annacquato e commerciale.
Inoltre, nel comic, la maggior parte dei personaggi non è volutamente approfondita e, più in generale, la profondità dell’opera non nasce dal soffermarsi sui singoli individui, ma sull’inquadrare i continui cambiamenti del gruppo. Le vite di diversi uomini, donne e bambini si avvicendano costantemente davanti alla terna di protagonisti fissi, i quali sono testimoni e testo di ciò che accade a una fetta di umanità in preda al caos. Il telefilm, in tal senso, fa a pezzi il dinamismo e la magmatica coralità del fumetto, sostituendola con il summenzionato ‘approfondimento’ di personaggi monodimensionali, andando a infoltire le schiere di quei serial-propaganda a tema “l’America è in crisi ma se tutti portiamo avanti i sani valori a stelle e strisce dei coloni nostri avi ce la faremo anche stavolta”, come, appunto, Terranova e Falling Skies.
Alla luce di tutto ciò, la presenza di Kirkman non la percepisco proprio e se da una parte il suo contributo nella prima stagione è stato abbastanza marginale (quindi la frittata ormai era fatta e, come ho scritto nel post precedente, è probabile che sia dovuto sottostare a troppi vincoli per potersi esprimere decentemente nella seconda stagione), dall’altra può anche essere semplicemente che un buon sceneggiatore di comic non sia in grado di approcciare lo script di una serie televisiva in maniera altrettanto brillante. Alla fine, queste ultime sono considerazioni tutto sommato marginali e speculative, che, però, tenevo ad aggiungere, perché ritengo che sia tutt’altro che assurdo o insensato affermare che il serial non solo è piatto e vuoto, ma non è neanche rappresentativo dello spirito e della personalità del fumetto, nonostante sia coinvolto Kirkman stesso.