Autore Topic: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51  (Letto 80755 volte)

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Offline Andrea Rivuz

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #315 il: 08 Lug 2011, 20:04 »
Ormai non serve più a niente sbattersi per aggiungere reward per chi completa sfide particolari, basta mettere uno stupido achieve...

Offline Aether

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #316 il: 08 Lug 2011, 20:09 »
Maledetto Outcast, ora mi tocca comprare anche questo gioco.
Worms! You're all the same to me!

Offline SegaSonic

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #317 il: 08 Lug 2011, 21:08 »
Ormai non serve più a niente sbattersi per aggiungere reward per chi completa sfide particolari, basta mettere uno stupido achieve...
Non c'è manco l'achievement per quel livello di difficoltà :D

Offline AIO

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #318 il: 09 Lug 2011, 01:04 »
Ci sto giocando!  ;D
Praticamente ti bombardano di idee funzionali al gameplay che ti legano al "mondo" di Shadows of the Damned. Ogni aspetto, anche il più ovvio e già visto, è stato studiato sia nella velocità di accesso che nello stile, pazzo e coerente come solo l'alta scuola giapponese può.
L'aspetto veramente esaltato ed enfatizzato è  - naturalmente - la giocabilità; il dettaglio grafico c'è, ma spesso l'occhio attento può notare che (saggiamente) si è deciso di creare un bell'impatto visivo soprattutto quando è possibile ammirarlo. Non che la qualità sia altalenante, ma spesso le parti di un area cambiano quasi stile visivo, la sensazione (voluta) è quella di "gran caos" estetico ma comunque identificabile nelle sue parti.
Citazione mitica all'inizio dei livelli
Spoiler (click to show/hide)
e poi c'è Johnson ad accompagnarci, il teschietto parlante, una vera sagoma pseudo-disneyana.

Si prosegue tra risate a denti stretti e azione molto, molto calibrata e curata nelle sue dinamiche. Estetica e immaginazione vincolate alla funzionalità: il massimo. La critica può essere quella del "gne gne, il gioco X è meglio di grafica", a cui risponderei: SPARATEVE. :D O il fatto che non si perde in parentesi cinematografiche ogni due per tre, soprattutto per garantire il massimo dell'immediatezza. O che non è sandbox. O che "è corto" come ho già letto in topic, per me se un gioco dura una dozzina di ore va più che bene.
Parentesi personali: neanche se avessi il tempo giocherei per ore filate a nessun videogioco ormai, magari per chi vuole farlo in tre pomeriggi ha finito tutto forse. Faccio sessioni di mezz'ora anche.. un'ora al massimo, due ore di fila è proprio il limite (certo certo, ovviamente anch'io una quindicina di anni or sono ero in grado di giocare tutto il giorno allo stesso gioco, immagino sia fisiologico il discorso :)).

Il vero erede di Resident Evil 4 (come se non fosse chiaro), il vero prosecutore intellettuale del videogioco arcade-horror giapponese, da G&G ad House of the Dead, a RE4, e ora la sua evoluzione, Shadows of the Damned.

Volendo fare analisi approfondite sullo stile (sia del visual che del game design) c'è da sbizzarrirsi, ma la linea generale, che già s'intuiva dai trailer, è quella di mixare bene le caratteristiche dei titoli diretti da Suda e Mikami, con quella spruzzatina di Silent Hill già che ci siamo, visto che abbiamo Yamaoka. La base è Resident Evil 4, si tira in ballo un po' qualche meccanica di God Hand, oltre alla sua ironia, abbiamo l'atmosfera fracasson-maliconica alla No More Heroes, e cavolo, i nemici sono davvero degli incroci fifty-fifty tra Ganados e Heaven's Smiles. Ma solo per citare due cose in croce. La ricetta si vede, ma il risultato è inedito e piacerà a chi ama i due autori videoludici. Che tra l'altro sembra sempre che vogliano fare di proposito la tamarrata (No More Heores, God Hand, ora Shadows) ma non ce la fanno, è più forte di loro, sono dei signori nel proporre anche il più bieco e/o volgare dei contenuti. Chapeau.
Quello che è interessante è che al contrario gli "stylish games" di Kamiya hanno il gusto tipico della Tamarreide, la cosa va studiata e approfondita in Wiskast, mi raccomando... ;)

Scusate la loggorea.

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Offline paschy

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #319 il: 09 Lug 2011, 09:22 »
Mi sembra azzeccata come analisi un plauso.

Offline Mr.Pickman

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #320 il: 10 Lug 2011, 12:56 »
ehu.
L'avessero fatto i 'mericani sareste pronti a metterci i pietroni nelle tasche e gettarlo nel lago amaro ^^o per vedere se galleggia o sprofonda in torbidi liquami.
(a proposito un brindisi al Cage nazionale per essere entrato di diritto nel Club i Nuovi mostri del cinema trash con Season).

E' un gioco svogliato, per i miei standard attuali, è un titolo svogliato.
Poi chiaro, sono convinto che gli avete dato il salvacondotto solo perchè è fatto dal trittico madonnaro intoccabile.
^^o
Io invece lo tocco eccome, dura poco troppo poco e conta anche quello, è pieno imballato di bug che in un primo momento ti spiazzano in un secondo ti fan dire "vabeh...ricarichiamo il check magari mo la porta si apre"

Garcia è poco caratterizzato, ed è un peccato perchè è un chara che merita.
Non esistono solo le cutscene come proposta narrativa, ci sono migliaia di metodi.
Ne volete uno tanto per gradire ?
I tomi, i libri, che Garcia e Johnson trovano potevano essere un OTTIMO metodo per raccontare il passato non solo dei Boss ma anche di Garcia.
Non si "staccava" la spina da questo intoccabile (a quanto sembra) teatro d'eventi e al contempo si fornivano maggiori informazioni ai giocatori.

E voi direte la solita ovvietà : machettifrega se c'è il gameplay...

Mi frega perchè l'ho già giocato sto titolo, solo che cambiava il protagonista e il coprotagonista aveva le tette e poi mi frega perchè il mondo demonico di Shadow a me è piaciuto e pure molto e volevo guardarci dentro meglio, un misto scanzonato, irriverente tra l'old west low res Sudiano di Godhand e le ambientazioni di RE4 per dire, non capisco perchè sia stato fatto con questa arietta semi snob da sviluppatore "lei non sa chi sono io" della serie

Citazione
"Non raccontiamo niente perchè tanto ci siamo noi dietro...e noi possiamo farlo...diranno che è estro creativo punk o semi analfabeta o attitudine sgrammaticata .."


Sono andato a ruota libera...però tutto sto incensamento a Shadow non lo capisco, ok, è un gioco buono e mucho divertente la storia finisce lì, in più di un'occasione mi fa fatto ridere di gusto, in più di una occasione mi ha fatto dire..

Citazione
Ok il gameplay è questo e mi va bene...adesso cosa cazzo mi offri ?

E non azzardatevi a dire che non ne capisco il gusto Trash/Tamarro che vengo da una serata d'alto profilo cinOfilo.

^^o

Offline AIO

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #321 il: 10 Lug 2011, 13:22 »
Ma non è il fatto di essere obiettivi, se mi offrissero di giocare a Gears of War 3 in cambio di questo io risponderei : Sei fuori? Questo è il fatto.
Sinceramente dopo essermi lamentato delle carenze narrative di RE4 sono partito con aspettative zero su questo titolo.. considerando anche "le trame" dei vari No More Heroes e God Hand, io ci ho messo una pietra sopra. Ma solo nel senso: mi godo tutto proprio come se fosse un Ghost and Ghouls, in un tempo in cui non si avevano certo molte pretese sulla caratterizzazione di Sir Arthur... eddai.  ;)

Io bug ancora non ne ho visti, mi ha scandalizzato solo in un punto dove ho fatto una scaletta e non potevo più ridiscenderla, e subito dopo sceso un muretto non potevo più risalirlo. E avevo lasciato indietro uno spazio sotto da esplorare, lì DOVEVI ANDARE AVANTI. Avrebbero potuto lasciarmi tornare, eh già.

Sulla presunta sboronia di Mikami e Suda beh.. visti i trailer irriverenti e cazzoni direi che si prendono molto, molto poco sul serio, ma l'entusiasmo si vede, cerco quello nel videogioco più che la perfezione. L'entusiamo del creatore, quasi come se volesse fare un gioco che diverte solo lui, o specialmente lui insomma. E questo quindi rivendica eccome il voler sottolineare i loro nomi, cosa che il mondo videoludico ancora si sta conquistando con fatica, e il cinema gli ride in faccia.

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Offline Il Gladiatore

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #322 il: 10 Lug 2011, 18:18 »
Finito due volte, prima a Difficile e poi a Normale. Nonostante ogni buon proposito, resto convinto della bontà del primo giro a Difficile, soprattutto per la non eccelsa lunghezza del titolo. Sì, ci sono passaggi un po’ ostici, soprattutto qualche boss che in principio fa di tutto per mascherare il metodo di approccio, però i checkpoint sono piuttosto vicini e il titolo così dà il meglio di sé. Il tutto, ovviamente, se si prevede una sola run altrimenti ogni pensiero è buono. Geniale l’idea di non accorpare gli obbiettivi dei livelli di difficoltà decrescenti, chi vuole platinarlo o millarlo deve farsi tre giri. Ehheehheheh.
Sì, ci sono degli spoiler su ambientazioni e sezioni. A mio avviso, vista la natura del titolo nulla di grave ma se preferite non sapere proprio nulla smettete di leggere.

Che l’opera sia geneticamente superiore si comprende già dalla mappetta in 2d alla Ghost & Goblins. L’incontro tra queste 3 menti eccelse ha partorito un gioco sfaccettata in cui ognuno ha messo a frutto quel talento specifico nell’arte dell’intrattenimento, non di certo un’opera paradigmatica in senso stretto, ormai da tempo, soprattutto Mikami, è più concentrato su un principio semplificativo del videogioco in senso assoluto, attraverso una filosofia di radicalità, di ritorno al gameplay in senso stretto. Della tripartizione, il terzo mikamiano si esplica nel cuore ricreativo. Questo concetto va subito chiarito: la pregevolezza del titolo sta proprio in quella filosofia del tutto arcade di stampo nipponico che vuole il videogioco un veicolo “semplice”di divertimento strutturato. La semplicità è un concetto molto frainteso e in parte detestato da chi non comprendere che i pochi elementi di partenza non per forza diventano automaticamente una povertà di utilizzo. God Hand, PN03, Vanquish, Shadow of the Damned: si privilegia un sistema di gioco riassumibile in pochi enunciati la cui discrezionalità e ricchezza sta nel uso che il giocatore vorrà farne. Comprendere la meccanica di un Vanquish è questione di decimi di secondo però allineare la propria bravura a tutte le possibilità che si dispiegano man mano è scienza del videogioco che, per essere chiara, non è e non sarà mai la somma accatastata di elementi che saranno al massimo sincretici ma non veramente essenziali. Certo, questo SotD non la sua opera migliore ma un prodotto che anche così è ben distinguibile dalla pochezza che impera in questa generazione “migliore di sempre”.

Pur trattandosi di uno sparattutto in terza persona alla stregua di un Resident Evil 4 più vivace, il titolo presenta una concezione più sofisticata attraverso l’introduzione di numerose interazioni arma/contesto/nemico. L’idea dell’oscurità onnipresente e asfissiante che uccide il giocatore in pochi secondi è una trovata che esclude ogni tranquilla scampagnata nel mondo della malvagità. Inoltre, il medesimo meccanismo innesca soluzioni offensive alla Ikaruga e il gioco è molto felice nel cambiare sempre le carte in tavola e non far adagiare il giocatore nell’abitudinaria pratica sparacchina. Il sistema a 3 armi la cui potenza è sempre inversamente proporzionale alla velocità e alla facilità di utilizzo è classicistica ma non per questo perdente. Dato l’estremo equilibrio delle forze in causa non esiste un elemento di spiccata utilità tale da affossare tutto il resto, in realtà ogni arma trova una sua giusta collocazione all’interno della tattica che si vuole adottare senza che vi sia la banalizzazione questa arma per quel nemico. Gli elementi di offesa e di difesa sono a disposizione di ogni interpretazione possibile e il gioco è particolarmente brillante nel restituire soddisfazioni e risultati, a patto di esprimersi al meglio. Energia finalmente non infinita, anche se il numero praticamente infinito di item curativi inficia un po’ questo brillante ritorno al passato.

Questi concetti respingono al mittente ogni possibile critica in merito al design ludico dei boss, troppo spesso additato come eccessivo e ridondante. Alla prova dei fatti SotD presenta boss di pregiatissima scuola nipponica, legati a pattern ben precisi e dalla pulizia esemplare la cui cattiveria è materia relativa all’approccio conoscitivo ed ermeneutico del giocatore. Nella durata standard del titolo possono trovarsi scontri giocati sulla comprensione di un meccanismo di fondo elementare ma sempre caratterizzante. Gli scontri con le Sorelle inanellano squisite procedure di osservazione, tattica ed esecuzione che la scontatezza di boss di matrice occidentale ci ha privato per lunghissimo tempo e non c’è uno scontro che sia uguale all’altro. In particolare, il boss di fine gioco si basa proprio ed esclusivamente sul principio di competenza del giocatore, la cui scarsa attitudine può trasformare un boss di massimo una decina di minuti in una battaglia di quasi un’ora e mezza. Leggibilità, tatticismo, applicazione, esecuzione: ovviamente chi sa creare e progettare videogiochi validi si muove agevolmente nella semplificazione del gesto, laddove pregiatissimi emuli non riescono, nell’affastellarsi di armi, meccaniche trite e polverosità videoludiche a cogliere l’essenza stessa del videogioco come strumento di sfida visiva e pragmatica. SotD andrebbe fatto studiare a chi si appresti ad intraprendere al via di game designer, per capire come bisogna fare e per comprendere quanto e cosa abbiamo perso in questo periodo di asfissiante omologazione ludica.

Anche il bestiario è molto convincente, per quanto pecchi forse in varietà assoluta. Dispiace che la prima ora tradisca lo spirito di sparatutto intelligente che in realtà caratterizza il titolo. Lo scopo era quella di presentare tutti i meccanismi progressione del titolo (luce/tenebra, portali assortiti, deambulazioni strane ecc.) in una volta per poi non doverci più tornare e lasciare libero spazio al design però l’effetto finale è quello di una frammentazione eccessiva dell’azione di gioco a scapito dell’anima action che poi viene fuori con prepotenza e forza. Io credo che molti si siano fatti un’idea sbagliata del gioco a causa di questa cosa.

L’apporto di Suda è quanto mai evidente in questo frullato horror pop capace di cambiare inaspettatamente registro con il procedere del gioco. Come da consuetudine, c’è un occhio rivolto al consumatore occidentale attraverso quella simulazione di opera di serie Z che nell’ultimo lustro esalta l’utente ultratrentenne, soprattutto al cinema. Al troncone principale della vicenda/ambientazione, ossia l’idea di un viaggio nel luogo del male assoluto e della disperazione si innestano una serie di stranezze ragguardevoli che privano il giocatore di qualsivoglia punto di riferimento. Grottesco, horror, ironico, poetico, languido, irriverente, volgare, epico: Garcia Hotspur è la parte idiota del Dante di DMC, tutto quello che rimane al netto di un cacciatore di demoni senza le suggestioni della paternità demoniaca e del cuore di carne che batte sotto la cristallizzazione del character design. Garcia è veramente un latin lover dal sangue caliente che rivuole la sua baby perché scopa bene e perché cucina da dio ma l’inferno che lo aspetta è più bizzarro di quanto possa esserlo lui. Una città di entità demoniache con tanto di società, hobby, peculiarità in cui però pesano le narrazioni gotiche dei demoni maggiori che abitano questo luogo, simile al contrappasso di Silent Hill. Praticamente ogni aspetto dell’horror è contenuto in questa piccola antologia e, pur assomigliando un po’ a tutto in realtà è anche originale. Il citazioni e l’autocitazionismo sono così radicati che ogni idea che vi si trova, seppur già digerita, è amalgamata in un tutto incoerentemente logico: da Rodriguez a Del Toro, da Lovecraft a Tarantino, da Poe a Ozzy Ozbourne, una spruzzata di narrativa alla Bukowski con immagini inquietanti alla Edward Gorey, il tutto in una girandola glam metal narrata attraverso al genialità dei testi di Johnson, il teschio parlante/arma che funge da Virgilio nel viaggio verso il male assoluto. La quantità immane di cazzate, freddure, idiozie e spontaneità che vomita per tutta la durata lo rendono una spalla irresistibile e assolutamente necessaria alla narrazione. Ovviamente il creatore di Killer 7 e No more Heroes non ha la carta bianca dell’opera totale e globale, i paletti dell’opera horror del 2011 rappresentano una strada ben definita e poco orchestrabile ma all’interno di questo contesto il lavoro svolto ha dell’eccellente. Il lavoro di design estetico sovrappone ovvietà catacombali con bizzarrie nipponiche ottenendo infine una varietà intrinseca che non trova momenti di stanca. Città trasudanti sangue, foreste demoniache, biblioteche dei morti, bordelli spiritici, caverne stillanti umori terribili, villaggi di dannati, bowling (?) pachinko (?) shoot’em up 2d alla R-type con grafica cartonata, tiro a segno, fughe disperate, navigazioni nell’ombra, nudità e doppi sensi ginecologici.
Ripeto, il tutto confezionato con sapienza per il palato occidentale che vuole stranezze e oscenità, anche simulate.

La colonna sonora è parte integrante del titolo al pari delle altre componenti. I temi del loading e del retry sono già nenie leggendarie però come per tutto il resto è la varietà a sorprendere. Da temi in puro stile Silent Hill a brani composti esclusivamente di urla laceranti a pop trash nippo irresistibili (il Sushi Lamp!) la disarticolazione musicale si equipara a tutto il resto contribuendo a formare questa follia che pervade anche l’udito. Canzone nippo punk d’ordinanza per i titoli di coda.
SotD è comunque tutt’altro che un titolo perfetto. La realizzazione tecnica nei freddi numeri è abbastanza povera e viene salvata dall’eccezionale direzione artistica. Glitch, bug e una tenuta non ottimale sono all’ordine del giorno e l’effetto è quasi quello di un titolo tecnicamente agli esordi di questa generazione. Inoltre ogni tanto, come per esempio al boss finale, qualche linea di programmazione sballata prevede colpi che non vanno a segno e portali che non si aprono, nonostante la procedura effettuata sia quella doverosa. La cosa più grave e che in più di una occasione inficia la prestazione ludica è una retinatura del puntamento non uniforme che tende a non inquadrare bene gli oggetti a cui sparare e che a volte fa sparire il mirino. Questa cosa, a livello Difficile, fa la differenza tra la vita e la morte.

SotD è una sorpresa, un piccolo grande titolo di pura scuola nipponica che si distingue per particolarità e divertimento. Non è il God Hand con pistola ma rimane un action game robusto e teso che fa quello che deve fare, divertire.
La paura è di passare per non esperti, di non comprendere il medium che si sta evolvendo etc. (...) è figlio dell'immotivato senso di inferiorità che spinge il videogiocatore alla spasmodica ricerca di qualcosa che giustifichi il videogioco come se il gameplay da solo non bastasse più." (Fulgenzio)

Offline Giobbi

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #323 il: 11 Lug 2011, 09:42 »
Gnam.

Offline lawless

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #324 il: 11 Lug 2011, 10:35 »
saro' piu conciso del gladiatore

se non lo comprate siete dei babbi.

e senza imho  :yes:

Offline AIO

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #325 il: 11 Lug 2011, 12:03 »
Mi sarebbe molto interessato leggere il suo commento ma non voglio nemmeno leggere una virgola di spoiler. Poi veramente ci sto andando con il contagocce. Sono in un periodo strano, tra Mass Effect 2, Shadows of the Damned e Okami. E ieri giocato solo mezz'ora a Mass Effect 2... da mezzanotte in poi. Aspetto sempre aspettare il momento più ipirato. O forse son diverso io, quando presi RE4 per cubo al lancio ero lì che facevo le ore.. :) Minchia ormai sono vecchio, mi godo le cose in modo rilassato.  :D

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #326 il: 11 Lug 2011, 22:39 »
Finito due volte, prima a Difficile e poi a Normale. Nonostante ogni buon proposito, resto convinto della bontà del primo giro a Difficile, soprattutto per la non eccelsa lunghezza del titolo. Sì, ci sono passaggi un po’ ostici, soprattutto qualche boss che in principio fa di tutto per mascherare il metodo di approccio, però i checkpoint sono piuttosto vicini e il titolo così dà il meglio di sé. Il tutto, ovviamente, se si prevede una sola run altrimenti ogni pensiero è buono. Geniale l’idea di non accorpare gli obbiettivi dei livelli di difficoltà decrescenti, chi vuole platinarlo o millarlo deve farsi tre giri. Ehheehheheh.
Sì, ci sono degli spoiler su ambientazioni e sezioni. A mio avviso, vista la natura del titolo nulla di grave ma se preferite non sapere proprio nulla smettete di leggere.

Che l’opera sia geneticamente superiore si comprende già dalla mappetta in 2d alla Ghost & Goblins. L’incontro tra queste 3 menti eccelse ha partorito un gioco sfaccettata in cui ognuno ha messo a frutto quel talento specifico nell’arte dell’intrattenimento, non di certo un’opera paradigmatica in senso stretto, ormai da tempo, soprattutto Mikami, è più concentrato su un principio semplificativo del videogioco in senso assoluto, attraverso una filosofia di radicalità, di ritorno al gameplay in senso stretto. Della tripartizione, il terzo mikamiano si esplica nel cuore ricreativo. Questo concetto va subito chiarito: la pregevolezza del titolo sta proprio in quella filosofia del tutto arcade di stampo nipponico che vuole il videogioco un veicolo “semplice”di divertimento strutturato. La semplicità è un concetto molto frainteso e in parte detestato da chi non comprendere che i pochi elementi di partenza non per forza diventano automaticamente una povertà di utilizzo. God Hand, PN03, Vanquish, Shadow of the Damned: si privilegia un sistema di gioco riassumibile in pochi enunciati la cui discrezionalità e ricchezza sta nel uso che il giocatore vorrà farne. Comprendere la meccanica di un Vanquish è questione di decimi di secondo però allineare la propria bravura a tutte le possibilità che si dispiegano man mano è scienza del videogioco che, per essere chiara, non è e non sarà mai la somma accatastata di elementi che saranno al massimo sincretici ma non veramente essenziali. Certo, questo SotD non la sua opera migliore ma un prodotto che anche così è ben distinguibile dalla pochezza che impera in questa generazione “migliore di sempre”.

Pur trattandosi di uno sparattutto in terza persona alla stregua di un Resident Evil 4 più vivace, il titolo presenta una concezione più sofisticata attraverso l’introduzione di numerose interazioni arma/contesto/nemico. L’idea dell’oscurità onnipresente e asfissiante che uccide il giocatore in pochi secondi è una trovata che esclude ogni tranquilla scampagnata nel mondo della malvagità. Inoltre, il medesimo meccanismo innesca soluzioni offensive alla Ikaruga e il gioco è molto felice nel cambiare sempre le carte in tavola e non far adagiare il giocatore nell’abitudinaria pratica sparacchina. Il sistema a 3 armi la cui potenza è sempre inversamente proporzionale alla velocità e alla facilità di utilizzo è classicistica ma non per questo perdente. Dato l’estremo equilibrio delle forze in causa non esiste un elemento di spiccata utilità tale da affossare tutto il resto, in realtà ogni arma trova una sua giusta collocazione all’interno della tattica che si vuole adottare senza che vi sia la banalizzazione questa arma per quel nemico. Gli elementi di offesa e di difesa sono a disposizione di ogni interpretazione possibile e il gioco è particolarmente brillante nel restituire soddisfazioni e risultati, a patto di esprimersi al meglio. Energia finalmente non infinita, anche se il numero praticamente infinito di item curativi inficia un po’ questo brillante ritorno al passato.

Questi concetti respingono al mittente ogni possibile critica in merito al design ludico dei boss, troppo spesso additato come eccessivo e ridondante. Alla prova dei fatti SotD presenta boss di pregiatissima scuola nipponica, legati a pattern ben precisi e dalla pulizia esemplare la cui cattiveria è materia relativa all’approccio conoscitivo ed ermeneutico del giocatore. Nella durata standard del titolo possono trovarsi scontri giocati sulla comprensione di un meccanismo di fondo elementare ma sempre caratterizzante. Gli scontri con le Sorelle inanellano squisite procedure di osservazione, tattica ed esecuzione che la scontatezza di boss di matrice occidentale ci ha privato per lunghissimo tempo e non c’è uno scontro che sia uguale all’altro. In particolare, il boss di fine gioco si basa proprio ed esclusivamente sul principio di competenza del giocatore, la cui scarsa attitudine può trasformare un boss di massimo una decina di minuti in una battaglia di quasi un’ora e mezza. Leggibilità, tatticismo, applicazione, esecuzione: ovviamente chi sa creare e progettare videogiochi validi si muove agevolmente nella semplificazione del gesto, laddove pregiatissimi emuli non riescono, nell’affastellarsi di armi, meccaniche trite e polverosità videoludiche a cogliere l’essenza stessa del videogioco come strumento di sfida visiva e pragmatica. SotD andrebbe fatto studiare a chi si appresti ad intraprendere al via di game designer, per capire come bisogna fare e per comprendere quanto e cosa abbiamo perso in questo periodo di asfissiante omologazione ludica.

Anche il bestiario è molto convincente, per quanto pecchi forse in varietà assoluta. Dispiace che la prima ora tradisca lo spirito di sparatutto intelligente che in realtà caratterizza il titolo. Lo scopo era quella di presentare tutti i meccanismi progressione del titolo (luce/tenebra, portali assortiti, deambulazioni strane ecc.) in una volta per poi non doverci più tornare e lasciare libero spazio al design però l’effetto finale è quello di una frammentazione eccessiva dell’azione di gioco a scapito dell’anima action che poi viene fuori con prepotenza e forza. Io credo che molti si siano fatti un’idea sbagliata del gioco a causa di questa cosa.

L’apporto di Suda è quanto mai evidente in questo frullato horror pop capace di cambiare inaspettatamente registro con il procedere del gioco. Come da consuetudine, c’è un occhio rivolto al consumatore occidentale attraverso quella simulazione di opera di serie Z che nell’ultimo lustro esalta l’utente ultratrentenne, soprattutto al cinema. Al troncone principale della vicenda/ambientazione, ossia l’idea di un viaggio nel luogo del male assoluto e della disperazione si innestano una serie di stranezze ragguardevoli che privano il giocatore di qualsivoglia punto di riferimento. Grottesco, horror, ironico, poetico, languido, irriverente, volgare, epico: Garcia Hotspur è la parte idiota del Dante di DMC, tutto quello che rimane al netto di un cacciatore di demoni senza le suggestioni della paternità demoniaca e del cuore di carne che batte sotto la cristallizzazione del character design. Garcia è veramente un latin lover dal sangue caliente che rivuole la sua baby perché scopa bene e perché cucina da dio ma l’inferno che lo aspetta è più bizzarro di quanto possa esserlo lui. Una città di entità demoniache con tanto di società, hobby, peculiarità in cui però pesano le narrazioni gotiche dei demoni maggiori che abitano questo luogo, simile al contrappasso di Silent Hill. Praticamente ogni aspetto dell’horror è contenuto in questa piccola antologia e, pur assomigliando un po’ a tutto in realtà è anche originale. Il citazioni e l’autocitazionismo sono così radicati che ogni idea che vi si trova, seppur già digerita, è amalgamata in un tutto incoerentemente logico: da Rodriguez a Del Toro, da Lovecraft a Tarantino, da Poe a Ozzy Ozbourne, una spruzzata di narrativa alla Bukowski con immagini inquietanti alla Edward Gorey, il tutto in una girandola glam metal narrata attraverso al genialità dei testi di Johnson, il teschio parlante/arma che funge da Virgilio nel viaggio verso il male assoluto. La quantità immane di cazzate, freddure, idiozie e spontaneità che vomita per tutta la durata lo rendono una spalla irresistibile e assolutamente necessaria alla narrazione. Ovviamente il creatore di Killer 7 e No more Heroes non ha la carta bianca dell’opera totale e globale, i paletti dell’opera horror del 2011 rappresentano una strada ben definita e poco orchestrabile ma all’interno di questo contesto il lavoro svolto ha dell’eccellente. Il lavoro di design estetico sovrappone ovvietà catacombali con bizzarrie nipponiche ottenendo infine una varietà intrinseca che non trova momenti di stanca. Città trasudanti sangue, foreste demoniache, biblioteche dei morti, bordelli spiritici, caverne stillanti umori terribili, villaggi di dannati, bowling (?) pachinko (?) shoot’em up 2d alla R-type con grafica cartonata, tiro a segno, fughe disperate, navigazioni nell’ombra, nudità e doppi sensi ginecologici.
Ripeto, il tutto confezionato con sapienza per il palato occidentale che vuole stranezze e oscenità, anche simulate.

La colonna sonora è parte integrante del titolo al pari delle altre componenti. I temi del loading e del retry sono già nenie leggendarie però come per tutto il resto è la varietà a sorprendere. Da temi in puro stile Silent Hill a brani composti esclusivamente di urla laceranti a pop trash nippo irresistibili (il Sushi Lamp!) la disarticolazione musicale si equipara a tutto il resto contribuendo a formare questa follia che pervade anche l’udito. Canzone nippo punk d’ordinanza per i titoli di coda.
SotD è comunque tutt’altro che un titolo perfetto. La realizzazione tecnica nei freddi numeri è abbastanza povera e viene salvata dall’eccezionale direzione artistica. Glitch, bug e una tenuta non ottimale sono all’ordine del giorno e l’effetto è quasi quello di un titolo tecnicamente agli esordi di questa generazione. Inoltre ogni tanto, come per esempio al boss finale, qualche linea di programmazione sballata prevede colpi che non vanno a segno e portali che non si aprono, nonostante la procedura effettuata sia quella doverosa. La cosa più grave e che in più di una occasione inficia la prestazione ludica è una retinatura del puntamento non uniforme che tende a non inquadrare bene gli oggetti a cui sparare e che a volte fa sparire il mirino. Questa cosa, a livello Difficile, fa la differenza tra la vita e la morte.

SotD è una sorpresa, un piccolo grande titolo di pura scuola nipponica che si distingue per particolarità e divertimento. Non è il God Hand con pistola ma rimane un action game robusto e teso che fa quello che deve fare, divertire.


Assaporato tutto come sempre, in parte d'accordo, la splendida parabola Gladiatoresca non rimuove molte delle mie perplessità sulla bontà del gameplay.
Lieto di constatare cmq che l'essenza del gioco l'ho recepita in pieno...iniziavo a sentirmi uno stronzo che di colpo sputa nel piatto dove ha mangiato per anni e anni.
meno male ^^o
 

Offline AIO

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #327 il: 11 Lug 2011, 22:53 »
Dopo aver giocato qualche ora, mi rammarico degli spazi troppo limitati, e comunque dell'assenza delle "grandi mattanze endurance" alla RE4. Ci si muove troppo poco in questi livelli angusti, peccato assaje!
Adesso non vorrei che il gioco mi smentisse ma vedo che è abbastanza coerente con se stesso (EDIT: via forum un altro giocatore mi ha assicurato che la cosa progredisce nel prossimo atto, troverò qualcosa di simile... poi mi ha fatto uno spoiler megabastardo al di là di questo, però avviso gallata stilosa), ed effettivamente è sconsigliabile giocarlo a Normale, possibilità di curarsi quasi infinita. Speravo che con tre livelli il Normale fosse la scelta migliore, e invece... Colpa di Suda (v. la difficoltà di No More Heroes..)  :D

A parte che nei titoli di testa arriva Suda: Executive Producer, poi Mikami: Creative Director e infine Massimo Guarini: Director! Avevo letto la sua intervista su Unlimited Ammo (che è un sito ITA molto carino), che veniva identificato come "responsabile del progetto"...
Anvedi ahò! http://www.massimoguarini.com/profile/
« Ultima modifica: 12 Lug 2011, 11:15 da AIO »

Considero i videogames un'immane perdita di tempo, un veicolo di fuga dal reale, nonché un pericoloso generator

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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #328 il: 12 Lug 2011, 11:51 »
Finito due volte, prima a Difficile e poi a Normale. Nonostante ogni buon proposito, resto convinto della bontà del primo giro a Difficile, soprattutto per la non eccelsa lunghezza del titolo. Sì, ci sono passaggi un po’ ostici, soprattutto qualche boss che in principio fa di tutto per mascherare il metodo di approccio, però i checkpoint sono piuttosto vicini e il titolo così dà il meglio di sé. Il tutto, ovviamente, se si prevede una sola run altrimenti ogni pensiero è buono. Geniale l’idea di non accorpare gli obbiettivi dei livelli di difficoltà decrescenti, chi vuole platinarlo o millarlo deve farsi tre giri. Ehheehheheh.
Sì, ci sono degli spoiler su ambientazioni e sezioni. A mio avviso, vista la natura del titolo nulla di grave ma se preferite non sapere proprio nulla smettete di leggere.

Che l’opera sia geneticamente superiore si comprende già dalla mappetta in 2d alla Ghost & Goblins. L’incontro tra queste 3 menti eccelse ha partorito un gioco sfaccettata in cui ognuno ha messo a frutto quel talento specifico nell’arte dell’intrattenimento, non di certo un’opera paradigmatica in senso stretto, ormai da tempo, soprattutto Mikami, è più concentrato su un principio semplificativo del videogioco in senso assoluto, attraverso una filosofia di radicalità, di ritorno al gameplay in senso stretto. Della tripartizione, il terzo mikamiano si esplica nel cuore ricreativo. Questo concetto va subito chiarito: la pregevolezza del titolo sta proprio in quella filosofia del tutto arcade di stampo nipponico che vuole il videogioco un veicolo “semplice”di divertimento strutturato. La semplicità è un concetto molto frainteso e in parte detestato da chi non comprendere che i pochi elementi di partenza non per forza diventano automaticamente una povertà di utilizzo. God Hand, PN03, Vanquish, Shadow of the Damned: si privilegia un sistema di gioco riassumibile in pochi enunciati la cui discrezionalità e ricchezza sta nel uso che il giocatore vorrà farne. Comprendere la meccanica di un Vanquish è questione di decimi di secondo però allineare la propria bravura a tutte le possibilità che si dispiegano man mano è scienza del videogioco che, per essere chiara, non è e non sarà mai la somma accatastata di elementi che saranno al massimo sincretici ma non veramente essenziali. Certo, questo SotD non la sua opera migliore ma un prodotto che anche così è ben distinguibile dalla pochezza che impera in questa generazione “migliore di sempre”.

Pur trattandosi di uno sparattutto in terza persona alla stregua di un Resident Evil 4 più vivace, il titolo presenta una concezione più sofisticata attraverso l’introduzione di numerose interazioni arma/contesto/nemico. L’idea dell’oscurità onnipresente e asfissiante che uccide il giocatore in pochi secondi è una trovata che esclude ogni tranquilla scampagnata nel mondo della malvagità. Inoltre, il medesimo meccanismo innesca soluzioni offensive alla Ikaruga e il gioco è molto felice nel cambiare sempre le carte in tavola e non far adagiare il giocatore nell’abitudinaria pratica sparacchina. Il sistema a 3 armi la cui potenza è sempre inversamente proporzionale alla velocità e alla facilità di utilizzo è classicistica ma non per questo perdente. Dato l’estremo equilibrio delle forze in causa non esiste un elemento di spiccata utilità tale da affossare tutto il resto, in realtà ogni arma trova una sua giusta collocazione all’interno della tattica che si vuole adottare senza che vi sia la banalizzazione questa arma per quel nemico. Gli elementi di offesa e di difesa sono a disposizione di ogni interpretazione possibile e il gioco è particolarmente brillante nel restituire soddisfazioni e risultati, a patto di esprimersi al meglio. Energia finalmente non infinita, anche se il numero praticamente infinito di item curativi inficia un po’ questo brillante ritorno al passato.

Questi concetti respingono al mittente ogni possibile critica in merito al design ludico dei boss, troppo spesso additato come eccessivo e ridondante. Alla prova dei fatti SotD presenta boss di pregiatissima scuola nipponica, legati a pattern ben precisi e dalla pulizia esemplare la cui cattiveria è materia relativa all’approccio conoscitivo ed ermeneutico del giocatore. Nella durata standard del titolo possono trovarsi scontri giocati sulla comprensione di un meccanismo di fondo elementare ma sempre caratterizzante. Gli scontri con le Sorelle inanellano squisite procedure di osservazione, tattica ed esecuzione che la scontatezza di boss di matrice occidentale ci ha privato per lunghissimo tempo e non c’è uno scontro che sia uguale all’altro. In particolare, il boss di fine gioco si basa proprio ed esclusivamente sul principio di competenza del giocatore, la cui scarsa attitudine può trasformare un boss di massimo una decina di minuti in una battaglia di quasi un’ora e mezza. Leggibilità, tatticismo, applicazione, esecuzione: ovviamente chi sa creare e progettare videogiochi validi si muove agevolmente nella semplificazione del gesto, laddove pregiatissimi emuli non riescono, nell’affastellarsi di armi, meccaniche trite e polverosità videoludiche a cogliere l’essenza stessa del videogioco come strumento di sfida visiva e pragmatica. SotD andrebbe fatto studiare a chi si appresti ad intraprendere al via di game designer, per capire come bisogna fare e per comprendere quanto e cosa abbiamo perso in questo periodo di asfissiante omologazione ludica.

Anche il bestiario è molto convincente, per quanto pecchi forse in varietà assoluta. Dispiace che la prima ora tradisca lo spirito di sparatutto intelligente che in realtà caratterizza il titolo. Lo scopo era quella di presentare tutti i meccanismi progressione del titolo (luce/tenebra, portali assortiti, deambulazioni strane ecc.) in una volta per poi non doverci più tornare e lasciare libero spazio al design però l’effetto finale è quello di una frammentazione eccessiva dell’azione di gioco a scapito dell’anima action che poi viene fuori con prepotenza e forza. Io credo che molti si siano fatti un’idea sbagliata del gioco a causa di questa cosa.

L’apporto di Suda è quanto mai evidente in questo frullato horror pop capace di cambiare inaspettatamente registro con il procedere del gioco. Come da consuetudine, c’è un occhio rivolto al consumatore occidentale attraverso quella simulazione di opera di serie Z che nell’ultimo lustro esalta l’utente ultratrentenne, soprattutto al cinema. Al troncone principale della vicenda/ambientazione, ossia l’idea di un viaggio nel luogo del male assoluto e della disperazione si innestano una serie di stranezze ragguardevoli che privano il giocatore di qualsivoglia punto di riferimento. Grottesco, horror, ironico, poetico, languido, irriverente, volgare, epico: Garcia Hotspur è la parte idiota del Dante di DMC, tutto quello che rimane al netto di un cacciatore di demoni senza le suggestioni della paternità demoniaca e del cuore di carne che batte sotto la cristallizzazione del character design. Garcia è veramente un latin lover dal sangue caliente che rivuole la sua baby perché scopa bene e perché cucina da dio ma l’inferno che lo aspetta è più bizzarro di quanto possa esserlo lui. Una città di entità demoniache con tanto di società, hobby, peculiarità in cui però pesano le narrazioni gotiche dei demoni maggiori che abitano questo luogo, simile al contrappasso di Silent Hill. Praticamente ogni aspetto dell’horror è contenuto in questa piccola antologia e, pur assomigliando un po’ a tutto in realtà è anche originale. Il citazioni e l’autocitazionismo sono così radicati che ogni idea che vi si trova, seppur già digerita, è amalgamata in un tutto incoerentemente logico: da Rodriguez a Del Toro, da Lovecraft a Tarantino, da Poe a Ozzy Ozbourne, una spruzzata di narrativa alla Bukowski con immagini inquietanti alla Edward Gorey, il tutto in una girandola glam metal narrata attraverso al genialità dei testi di Johnson, il teschio parlante/arma che funge da Virgilio nel viaggio verso il male assoluto. La quantità immane di cazzate, freddure, idiozie e spontaneità che vomita per tutta la durata lo rendono una spalla irresistibile e assolutamente necessaria alla narrazione. Ovviamente il creatore di Killer 7 e No more Heroes non ha la carta bianca dell’opera totale e globale, i paletti dell’opera horror del 2011 rappresentano una strada ben definita e poco orchestrabile ma all’interno di questo contesto il lavoro svolto ha dell’eccellente. Il lavoro di design estetico sovrappone ovvietà catacombali con bizzarrie nipponiche ottenendo infine una varietà intrinseca che non trova momenti di stanca. Città trasudanti sangue, foreste demoniache, biblioteche dei morti, bordelli spiritici, caverne stillanti umori terribili, villaggi di dannati, bowling (?) pachinko (?) shoot’em up 2d alla R-type con grafica cartonata, tiro a segno, fughe disperate, navigazioni nell’ombra, nudità e doppi sensi ginecologici.
Ripeto, il tutto confezionato con sapienza per il palato occidentale che vuole stranezze e oscenità, anche simulate.

La colonna sonora è parte integrante del titolo al pari delle altre componenti. I temi del loading e del retry sono già nenie leggendarie però come per tutto il resto è la varietà a sorprendere. Da temi in puro stile Silent Hill a brani composti esclusivamente di urla laceranti a pop trash nippo irresistibili (il Sushi Lamp!) la disarticolazione musicale si equipara a tutto il resto contribuendo a formare questa follia che pervade anche l’udito. Canzone nippo punk d’ordinanza per i titoli di coda.
SotD è comunque tutt’altro che un titolo perfetto. La realizzazione tecnica nei freddi numeri è abbastanza povera e viene salvata dall’eccezionale direzione artistica. Glitch, bug e una tenuta non ottimale sono all’ordine del giorno e l’effetto è quasi quello di un titolo tecnicamente agli esordi di questa generazione. Inoltre ogni tanto, come per esempio al boss finale, qualche linea di programmazione sballata prevede colpi che non vanno a segno e portali che non si aprono, nonostante la procedura effettuata sia quella doverosa. La cosa più grave e che in più di una occasione inficia la prestazione ludica è una retinatura del puntamento non uniforme che tende a non inquadrare bene gli oggetti a cui sparare e che a volte fa sparire il mirino. Questa cosa, a livello Difficile, fa la differenza tra la vita e la morte.

SotD è una sorpresa, un piccolo grande titolo di pura scuola nipponica che si distingue per particolarità e divertimento. Non è il God Hand con pistola ma rimane un action game robusto e teso che fa quello che deve fare, divertire.


Grande gladia , ottima analisi. Sono pienamente d'accordo. Anche se ho già preso il platino non mi è passata la voglia di giocare, ne vorrei ancora, magari un seguito. Comunque ora proverò una run a folle.
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Re: [360][PS3] Shadows of the Damned, Mikami + Suda 51
« Risposta #329 il: 12 Lug 2011, 13:15 »
Appena sconfitta la
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Complessivamente il gioco mi sta gustando e non poco, anche se il sentore di collage è forte e alcune scelte di design lasciano parecchio a desiderare (si spara tanto ma si spara male, in sostanza).

La cosa più bella del gioco comunque sono le "annunciazioni" di Garcia prima di boss-fight, che mi hanno ricordato -non chiedetemi perchè- quelle di Haran Banjo in Daitarn. "Garcia Fuckin' Hotspur - Hunter of demons, slayer of pendejos". :D
Yeah man, it's random.