Inception di Christopher Nolan
"La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio?"
Prendete Matrix, il primo, quello bello, Paprika (quello di Satoshi Kon, non di Tinto Brass...) e Synodoche, New York: mischiateli. Ecco Inception. Non siete fuggiti? Bene. Lo spettacolo sta per cominciare.
Inception è drammaticamente complicato e non lineare. Christopher Nolan gioca con lo spettatore mescolando le carte, creando con esse esilissimi castelli che distrugge subito dopo. Quando credi di avere avuto l'illuminazione, torna il buio. Quando pensi di aver capito, ti rendi conto che la soluzione è lontana. Inception sta al cinema come il cubo di Rubik ai giocattoli: in tanti hanno provato a risolverlo, ma pochissimi ci riescono al primo colpo. Un cupa rassegnazione si dipinge sui volti di coloro che sono adusi riempire le loro recensioni con la trama del film. Di che cosa parleranno? Perché Inception riesce a essere originale anche e soprattutto nella sua struttura narrativa e riuscire a spiegare la trama con un linguaggio diverso da quello utilizzato da Nolan e dalle sue "creature" sarebbe quasi impossibile. Nolan non usa twist, Macguffin o colpi di scena nel senso convenzionale del termine ma elabora una strategia più sottile e complessa per avvincere lo spettatore, sfruttando tempi e luoghi, persone e spazi, dimensioni reali e oniriche, in un meccanismo di rara complessità e indubbia efficacia.
Inception racchiude in sè due nature, quella del blockbuster spettacolare e costoso (170 milioni di dollari senza contare promozione, marketing e distribuzione) e quella del film intellettuale e macchinoso che miete premi su premi ai Festival in giro per il mondo. Proprio questa sua doppia anima, il suo essere Giano Bifronte, rappresenta il suo principale punto di forza. Coloro che amano inzuppare il pane nei puzzle proposti dalle sceneggiature cinematografiche più complesse (contorte?), hanno di fronte una gigantesca scarpetta da portare a termine. Coloro che si lasciano affascinare dall'aspetto visuale dei film, saranno blanditi e appagati da sequenze di grande impatto visivo.
Tra le tante qualità che Nolan ha dimostrato nel corso degli anni, una delle più importanti è la costruzione del cast e la direzione dello stesso. Inception non fa eccezione. Leonardo Di Caprio, trasformatosi nel corso degli anni da idolo delle teen in professionista di grande spessore, compie con Inception il passo finale verso la sua definitiva consacrazione come attore di serie A, uno di quelli a quali l'Oscar si dà col sorriso e non con un'espressione di disgusto. Senza Di Caprio, non c'è Inception, visto che l'attore, oltre a interpretare l'unico personaggio che interagisce con tutti gli altri, si prende sulle spalle il film dal primo minuto e non lo molla fino alla sequenza finale. Ma non solo a lui spettano i complimenti. Tutto il gruppo è incredibilmente affiatato, saggiamente guidato dal sempre splendido veterano Michael Caine, anziano feticcio del regista. La sopresa, per tutti coloro che non avessero avuto la fortuna di ammirarlo nell'estremo Bronson, convulsa e isterica opera del regista Nicolas Winding Refn (da recuperare all'istante), è Tom Hardy. Fa piacere vedere che un attore altrimenti destinato ad essere identificato con produzioni off e "da festival" abbia la possibilità di farsi conoscere grazie ad un palcoscenico così prestigioso. Peccato che lo spazio a sua disposizione non sia stato più ampio, ma con tanti nomi nel roster, già essere presenti è un successo.
Nella sfida tra attrici la malinconica Marion Cotillard, qui moglie di Di Caprio in una delle tante sottostorie in cui è diviso il film, vince il confronto con la comunque valida Ellen Page. Omaggiata da Nolan, che le dedica una (forse casuale, ma in ogni caso amorevole) citazione musicale tratta dal film che le ha fatto vincere il Premio Oscar, la Cotillard è straordinaria nel suo mettere a nudo la fragilità del personaggio che interpreta, attraversando l'intera pellicola come se fosse una presenza impalpabile, trasparente, capace di suscitare emozioni vere e forti. Un grande lavoro è stato realizzato coi personaggi. Dom Cobb (Di Caprio, per la seconda volta alle prese con psicosi e subconscio dopo la gita a Shutter Island) è una "spia dei sogni" che sembra uscita da un noir degli anni '50 e a tutti i comprimari lo script regala almeno un momento di gloria (Page/Ariadne in testa) : una squadra votata al successo, guidata da un allenatore vincente. Grandiosi fotografia e montaggio, ad opera dei fidati Wally Pfister, qui in versione "Escheriana" e di un redivivo Hans Zimmer che, una volta tanto, non scopiazza da par suo ma prova, con buoni risultati, a creare uno score originale.
L'unico difetto di Inception è rappresentato, e stiamo comunque cercando il proverbiale pelo nell'uovo, dalla sua durata: 148 minuti per un'opera così densa possono risultare davvero impegnativi, specie per un pubblico distratto e visivamente atrofizzato dalla pletora di inutili blockbuster in 3D che Hollywood, in barba alle giuste reprimenda diRoger Ebert, sforna a getto continuo.
Film dell'anno? Forse. Molti potrebbero uscire dalla sala frastornati, confusi e delusi, per altri potrebbe essere il film della vita, per tutti Inception rappresenterà un'esperienza importante, perché siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita. Almeno, così diceva William.Una cosa però, è certa. Se oggi esiste un regista capace di stupire il pubblico con film davvero originali e senza la truffa delle tre dimensioni e degli occhialini, questo è Christopher Nolan. Da vedere.
in sala dal 24 settembre (ultimi al mondo!)