Recuperato.
Riassumerei il mio giudizio con un tautologico "The Last Guardian si fa voler bene tutte le volte che non si fa detestare". A voler entrare con serietà nei meriti e demeriti del titolo di Ueda, credo che la lettura di questi due documenti sia imprescindibile tanto quanto aver giocato l'opera in questione:
*
トリコの動かし方 (genDESIGN CEDEC2017 Presentation)*
Special symposium with the staff of The Last Guardian Part 1-5Le informazioni che raccolgono hanno confermato e approfondito quelli che sono stati i miei sentori titolo alla mano. In tutta onestà penso che il problema fondamentale del Progetto Trico sia stato quello di non aver saputo esprimere in maniera del tutto compiuta il lavoro incredibile svolto in tutti questi anni di travagliato sviluppo.
TLG è stata una sconsiderata quanto lucida follia. È iniziata dal proposito di fare qualcosa di tecnicamente semplice che lasciasse spazio a una cura maniacale del level design e si è risolta infine nel suo esatto opposto.
Solo l'idea di far muovere un AI di un quadrupede gigante in spazi angusti, accidentati, verticali, che risulti credibile in ogni contesto, già di per sé farebbe alzare più di qualche sopracciglio. Ma intestardirsi poi nel voler farla muovere in maniera (quasi) del tutto procedurale significa fare i funamboli sulla sottile linea di confine fra il genio e la pazzia.
TLG è Trico. Trico è TLG.
Questo è il nocciolo della questione. Nonostante i buoni propositi iniziali, Ueda e colleghi si sono impantanati su un concetto astratto, un'idea appunto, tanto suggestiva quanto sfuggente. I primi a cercare di domare Trico sono stati loro, e avranno sputato più sangue e sudore di tutti noi messi insieme.
E quando finalmente quell'idea è divenuta realtà, il problema è diventato un altro: come esprimere tutta la grandiosità della loro impresa? Ecco, qui, secondo me, sono iniziati i problemi.
Game e level design di TLG non riescono a rendere giustizia al motore procedurale che muove Trico. Stiamo parlando di un AI che, senza fare una piega, è in grado di adattarsi a qualunque tipo di ostacolo, pendenza, pertugio. Ogni suo passo è puntuale, preciso, naturale. Il suo sguardo animale è in grado indagare l'ambiente che lo circonda, seguendo l'oggetto del suo interesse a qualsiasi condizione.
Tutto bellissimo sulla carta. Tutto incredibile in una demo tecnica.
Ma in un videogioco fatto e finito?
TLG tradisce se stesso a più livelli.
Innanzitutto, l'interfaccia che permette al giocatore di entrare in contatto con quell'AI e con quel mondo è estremamente respingente. I comandi impartiti al protagonista (si badi bene: al protagonista, non a Trico) sono imprecisi, scomodi e non sempre eseguiti a dovere; in particolare, muoversi, saltare e scendere dalla bestia risulta spesso difficoltoso, con il bambino che sembra non volersene staccare mai (lascia perplessi il fatto che questa modifica sia stata apportata all'ultimo momento, in maniera forse inspiegabilmente affrettata, ritenendola migliore di quella originale alla SotC, che riduceva la presa alla pressione/rilascio di un singolo tasto).
Allo stesso modo, il movimento erratico della visuale sembra recalcitrante a ogni tentativo di addomesticamento; è più in difficoltà lei negli spazi stretti di quanto lo sia lo stesso Trico, agile e impeccabile in ogni strettoia.
L'unione delle due cose è ciò che rende inevitabilmente più complesso non solo il direzionamento della bestia, ma pure la semplice lettura e navigazione degli spazi (anche qui, la decisione di modificare il design originale, che prevedeva l'uso della prima persona per impartire comandi a Trico, solleva qualche perplessità).
Altro problema è legato al level design stesso. Anche in questo caso lo sforzo concettuale che sta dietro alla scelta di creare un'unica, gigantesca architettura organica e coerente (intuizione già partorita per ICO e probabile ispirazione per quello che sarebbe stato il primo Dark Souls), non riesce mai veramente ad emergere. Le singole aree a compartimenti stagni la fanno apparire più frammentata di quanto non sia in realtà e la chiusura di campo della telecamera non riesce quasi mai a restituire la grandiosità del sito, fornendone sempre e comunque una visione estremamente parziale.
Non solo. La linearità con la quale i livelli sono costruiti non esaltano nemmeno l'adattabilità procedurale di Trico, e anzi più volte la imbrigliano ad animazioni precalcolate funzionali all'enigma specifico. Hanno insomma dato vita a una creatura libera per poi tenerla a guinzaglio. Viene da chiedersi se la dimensione ideale per Trico non sarebbe stata forse quella sandbox. Tanto più se il level design di TLG non riesce comunque - e più volte non riesce - a creare le condizioni affinché tutta la fisica e l'AI che muovono il mondo risultino inattaccabili da chi le sperimenta.
Per questo non credo faccia un buon servizio al risultato straordinario raggiunto da genDESIGN per la realizzazione della creatura Trico, chi posta video o gif in cui la bestia manca di afferrare il bambino al volo, portandolo però come esempio positivo della bontà del lavoro svolto. Non era certo intenzione di Ueda regalare momenti di frustrazione al giocatore. E di sicuro l'IA non è stata concepita affinché fosse incensata per le sue incertezze. Tuttavia - e qui sta il punto - la colpa non va secondo me attribuita alla fallacia delle regole che sottendono il suo comportamento (che anzi sono state maniacalmente curate) ma a un level design che non guida sufficientemente bene il giocatore affinché questo comportamento venga esaltato, invece che mortificato.
Dell'importanza del level design in questo senso gli sviluppatori ne erano ben consci - come si evince dall'intervista - ma, evidentemente, non abbastanza preparati.
Allo stesso modo, non credo gli rendano veramente giustizia i commenti di chi esalta il valore emozionale del titolo, enfatizzandolo per controbilanciare i problemi di cui sopra e di cui tutti, grossomodo, hanno fatto esperienza. Perché, sentimentalismi a parte, credo che l'intelletto, più del cuore, sia quello più adeguato a cogliere l'azzardo concettuale e l'impresa tecnologica realizzata da Ueda e colleghi.
Un'impresa - qui forse sta la follia - che è però stata fine a se stessa, inespressa (e forse inesprimibile?) in tutta la sua complessità e difficilmente riutilizzabile in contesti diversi. Questo il cruccio.