WATCHMEN di Zack Snyder
Noui consilia et ueteres quaecumque monetis amici,
«pone seram, cohibe».
sed quis custodiet ipsos custodes?
cauta est et ab illis incipit uxor.
Il film impossibile, la trasposizione inattuabile, l’impresa utopistica.
Invece Watchmen, dopo vent’anni di attesa, è realtà. Una bella realtà.
Un’opera complessa, lunga e sfaccettata come quella vergata da Alan Moore (come al solito non accreditato) e Dave Gibbons poteva correre tanti rischi in un adattamento cinematografico. Uno, in particolare: quello di vedersi ridotta a inconsistente Bignami volto a descrivere solo le sequenze spettacolari, di azione e combattimento, tralasciando la psicologia dei personaggi e le atmosfere della storia originale.
Se Zack Snyder avesse seguito i canoni classici che hanno caratterizzato le trasposizioni da fumetto degli ultimi anni (da sempre, a dirla tutta) oggi saremmo di fronte ad un ben triste spettacolo. Pericolo quasi del tutto scampato: il regista di 300, pur dimostrando di non aver ancora acquisito del tutto la padronanza dei mezzi e del linguaggio cinematografico, ha pianificato attentamente il progetto e ha messo in scena un’opera maestosa, che può essere apprezzata sia dai fan del fumetto (tutti probabilmente in sala al primo spettacolo con il coltello tra i denti) che da tutti gli “altri” spettatori. La prima, ottima, idea, è produttiva: Watchmen si presenta come un’opera modulare: tre versioni distinte, pensate e realizzate per soddisfare ogni palato.
In sala, per ora, arriva la versione più breve (2 ore e 40 circa). E tanto basta.
L’adattamento del fumetto è quasi perfetto: stesse inquadrature, stessi stacchi, buona parte dei dialoghi sono riprodotti fedelmente con la voce fuori campo, di stampo chandleriano, di Rorshach, che racconta quello che lo schermo spesso non vuole e non può spiegare. Copiare pedissequamente però non basta (ed il film su 20th Century Boys lo dimostra ampiamente) e Snyder, ove possibile, ci mette del suo per amalgamare e rendere più cinematografica e veloce una storia dal passo lento e dal ritmo sincopato. Perse inevitabilmente per strada le appendici degli albi che, raccontando il passato e le esperienze dei protagonisti, fungevano da “storia nella storia”, si ricorre al buon vecchio flashback per esporre lo stato dell’arte e le gesta dei vecchi supereroi senza poteri, esseri umanissimi in lotta contro sé stessi e contro il crimine.
Snyder porta sullo schermo le immagini più spettacolari della graphic novel e firma due sequenze meravigliose: i titoli di testa del film, che raccontano in meno di cinque minuti il mito dei protagonisti, l’ambientazione storica, la leggenda dei Minuteman in quello che è un vero miracolo di sintesi ed il lungo flashback sul passato del Dr.Mahattan, doloroso, solenne, mistico, emozionante, commentato dalla musica di Philip Glass, mai così efficace. Proprio sulla colonna sonora il lavoro svolto è curioso e accattivante: si passa senza soluzione di continuità dalla musica classica a Dylan, attraversando il pop anni 80’ di Nena e la (dimenticabile) partitura originale.
Quel che più conta però è che lo spirito dell’opera originale non subisce significative alterazioni: oltre all'introspezione psicologica sui temi della vendetta, alle reazioni personali e alla presentazione di uno dei personaggi più carismatici mai apparsi sul grande schermo, c’è lo sguardo desolato e scettico sul mondo d'oggi, sulla politica corrotta, sull’umanità che forse non merita di essere salvata e la guerra come superficiale,frettolosa e drammatica soluzione per ogni attrito.
Il finale del film, certo, farà discutere. I fans potrebbero trovarlo un po’ troppo dissimile da quello ideato a suo tempo dall’inquietante duo, ma la coerenza tematica di quello qui proposto è comunque da apprezzare, visto che ne conserva i tratti distintivi: poco consolatorio e assolutamente pessimista..
Solo in alcuni casi Snyder si fa prendere la mano: troppa indulgenza nel mettere in scena le scene di sesso e violenza, sangue e splatter vagamente compiaciuti ed esibiti, meglio, ostentati,là dove il fumetto lo permette, qualche slow motion di troppo, un accoppiamento musica/sequenza discutibile (la scena di sesso sulle note di "Hallelujah" di Leonard Cohen).
Globalmente positivo il giudizio sul cast: la scelta di affidarsi per lo più ad attori poco noti al grande pubblico si rivela felice ma le prestazioni dei singoli variano parecchio. I più carismatici sono senz’altro Jackie Earle Haley (assolutamente da recuperare nello splendido Little Children, forse il migliore tra i film non distribuiti in Italia negli ultimi anni) e Jeffrey Dean Morgan ossia Rorschach e The Comedian. Piace molto Billy Crudup, che descrive con triste e rassegnata umanità gli asettici sentimenti dell’unico vero supereroe del gruppo, Dr.Manhattan; convince la bella e magra Malin Akerman che avevamo ammirato (discinta) come strampalata moglie di Ben Stiller nel poco riuscito Lo Spaccacuori, anche se il suo rapporto con Patrick Wilson/NiteOwl avrebbe potuto essere più romantico e meno sessuale, mentre Adrian Veidt alias Ozymandias alias Matthew Goode appare spesso fuori registro e poco adatto ad incarnare l’ambivalenza del personaggio che interpreta (qui in effetti, il megalomane Tom Cruise ci sarebbe stato a pennello).
Si poteva fare meglio? La graphic novel sarà sempre un passo avanti, ovvio, ma quello che abbiamo di fronte è comunque un risultato positivo e per certi versi insperabile.
Watchmen – il film, è un’opera reinventata, fedele allo spirito dell’originale ma non ad esso asservita, capace di reggersi con le proprie gambe e correre incontro ad un pubblico più vasto che, pur inizialmente frastornato dalla diversità del film dai canoni delle pellicole superoistiche finora proposte da Hollywood , dovrebbe capire e apprezzare: è al contempo grande spettacolo, omaggio citazionista, riflessione sulla società moderna e monito alle coscienze. E’, cioè, Cinema.
In sala dal 6 marzo