Quentin Tarantino: La poesia del sangue
Tarantino è un regista anomalo, pochi pochissimi film al suo attivo, pulp fiction la perla.
Cosa deve allora aspettarsi di vedere chi si reca nella stanza dei sogni a vedere Kill Bill vol. 1? Prima di tutto deve rassegnarsi a questo trend commercial - contemporaneo di dividere un opera in capitoli; il cinema è diventato una prostituta. Si paga ad ore.
Ma poi, scremata la rabbia data dal “vol. 1”, bisogna vedere quanta sostanza è compressa in 135 minuti. Tanta, tantissima!
Lascerei perdere la storia, copia e incolla di una sceneggiatura sparsa tra le migliaia di simili o identiche. Una ragazza ( Uma Thurman ) stila una top 5 dei cinque cattivoni di turno che l’ hanno ridotta in coma, stuprata e derisa, e inizia a sistemare a proprio modo le cose. In sintesi è la rivisitazione del “giustiziere della notte” con un fallo in meno e due tette in più. Così come Tomb Raider lo è di Indiana Jones. Ma è proprio nel modo di sistemare le cose che si vede la classe del film. Violento, violentissimo, tanto da disgustare chi guarda. Per poi, dopo il massacro, farlo ridere.
Perché dietro cisterne di sangue ci sono due cose, ironia e poesia. E far ridere lo spettatore non significa (solo) prenderlo in giro (cosa voluta e ben realizzata da Gus Van Sant in Elephant) quanto piuttosto enfatizzare l’azione trascorsa, creare spazi di respiro, fare del riso una piega passeggera ma efficace sul viso. A livello estetico alcune inquadrature sono fantastiche, la goccia purpurea che scende dolcemente su un abito giapponese durante lo scontro, la limatura della pistola all’esplosione del colpo, la testa mozzata che dipinge la stanza.
Ma dove Tarantino sorprende è nell’idea, perfetta e perfettamente riuscita, di inserire un anime (cartone animato detto volgarmente) giapponese nel racconto della storia. Fantastico.
Sono quindici minuti di pura meraviglia. Dove Pulp fiction era intersezione di spazi temporali,
Kill Bill è gioco di colori, dello stile che il colore comporta. Si attinge a piene mani dal panorama orientale, il teatro delizioso delle ombre, la scenografia, le armi.
L’uso del Dolby sorround è veramente efficace, a patto che il cinema lo sappia esprimere adeguatamente.
Kill Bill è un film portato all’estremo, soggetto a facili critiche etiche e morali, che può non piacere per questo. Ma per questo può essere amato, che significa poi essere capito.
S-r